Dopo aver passato mesi a far fuoco e fiamme contro le cosiddette politiche DEI (Diversity, Equity, and Inclusion) tacciandole come “anti-bianche”, Elon Musk in seguito al trionfo di Trump ha immediatamente cominciato a rilanciare l’idea di importare un gran numero di lavoratori indiani perché “noi [intende i bianchi] siamo stupidi” e perché gli Stati Uniti in fondo sono da considerare più una “squadra di basket” che una nazione.
Maybe this is a helpful clarification: I am referring to bringing in via legal immigration the top ~0.1% of engineering talent as being essential for America to keep winning.
This is like bringing in the Jokic’s or Wemby’s of the world to help your whole team (which is mostly… https://t.co/mtd0cgkNvE
— Elon Musk (@elonmusk) December 26, 2024
Alla fine l’incontenibile Elon si è incaponito (non va dimenticato che è affetto da Asperger) e ha iniziato a mostrare un’affezione spropositata verso gli ingeneri informatici indiani, le cui “superiori capacità” rispetto all’americano medio sono ancora tutte da dimostrare, giungendo a censurare diversi account che lo criticavano.
Se questa “svolta” era già stata prevista da diversi analisti americani (la “piccola” Silicon Valley che attornia il Partito Repubblicano per garantirsi manodopera a costi bassissimi), stupisce però che il patron di X sia “uscito di testa” così rapidamente, scatenando una rivolta in una parte consistente della base di Trump, il quale peraltro si è dimostrato assolutamente favorevole al cosiddetto “programma H-1B”, che garantisce visti d’ingresso a lavoratori stranieri “qualificati” (ma in realtà vale un po’ per tutti, persino giardinieri o commessi).
Probabilmente Musk può farsi forte della totale approvazione da parte del nuovo Presidente di tutte le richieste dei magnati del Tech che lo hanno sostenuto: non è un caso che durante la campagna elettorale il candidato repubblicano abbia più volte ripetuto la necessità di associare il conseguimento della cittadinanza a un percorso accademico (idea che poi i nostri burocrati hanno copiato col grigio ius scholae). Inoltre il vecchio Donald ha anche assunto come “consigliere sull’Intelligenza Artificiale” l’indiano Srirnam Krishnan, un personaggio che ha come scopo politico manifesto quello di togliere qualsiasi limite ai visti H-1B.
Un risvolto interessante di tutto questo bailamme è rappresentato dal crollo del mito secondo il quale gli indiani sarebbero naturaliter portati all’informatica (in base alle ipotesi più fantasiose, da “Hanno il sistema scolastico migliore al mondo!” a “Il sanscrito è la lingua della programmazione informatica per eccellenza”). Al contrario, è saltato fuori che i fratelli indù sono sovrarappresentati nel settore in virtù della loro tendenza al nepotismo e ai raggiri. Del resto, fra i tanti esempi che si possono fare c’è quello delle Olimpiadi internazionali di informatica, nelle quali i tecnici di Nuova Delhi sono sorpassati da mezzo mondo (Cina, Russia, Corea, Polonia, Giappone, Romania, Iran, Canada, Croazia, Svezia, Ucraina… gli italiani sono sotto solo perché hanno vinto una medaglia d’oro in meno, ma complessivamente ha ottenuto più titoli degli indiani).
Come sostiene in una testimonianza consegnata direttamente a X un anonimo americano che lavora nel settore informatico, “gli indiani sono tribali fino al midollo”.
«Ho assistito al palese nepotismo da parte dei responsabili delle assunzioni indiani: assumevano sempre altri indiani. Prendono sistematicamente il controllo delle aziende assumendo posizioni strategiche, e poi riempiono l’intera organizzazione di altri indiani. I candidati bianchi non possono competere con questo tipo di networking etnico. Era molto comune che i fratelli dei manager indiani ricevessero offerte di lavoro e in alcuni casi anche le loro mogli ottenevano un lavoro. Tutti i dipendenti bianchi erano al corrente di quanto stesse accadendo, ma nessuno osava dire nulla per paura di essere accusato di “razzisti”. […] Gli indiani sono degli spudorati “promotori di se stessi” e si assicurano che i dirigenti siano a conoscenza di ogni piccola cosa che realizzano. Molte volte, i miei colleghi indiani mi rubavano le idee e presentavano il lavoro ai dirigenti come se fosse esclusivamente opera loro. Un atteggiamento sconvolgente ai miei occhi. I bianchi non si comportano in questo modo. Tendiamo a tenere la testa bassa e a lavorare in silenzio per portare a termine il lavoro. Non è nella nostra natura fare di tutto per cercare riconoscimenti. Purtroppo, questo dà ai dirigenti la falsa impressione che gli indiani “facciano tutto il lavoro” e i bianchi “non facciano niente”, il che porta a valutazioni delle prestazioni ingiuste».
— American Renaissance (@realAmRen) January 7, 2025
Proviamo allora a comprendere a palle ferme i motivi della confusione: negli Stati Uniti le politiche per la “diversità” hanno causato un effettivo calo della crescita economica, poiché continuare a privilegiare l’inclusione rispetto a qualsiasi altro fattore ha portato a quella che gli yankee chiamano “crisi delle competenze”.
Tale “schema ponzi” non è sostenibile, non fosse che per il fatto che un’economia basata sulla competizione non può impiegare risorse per rendere “competitivi” fasce della popolazione che non lo sono. Poi sarà colpa dei fattori ambientali, della società e di tante altre cose brutte brutte, ma è un dato di fatto che il “giochetto” dell’inclusione non può durare più di una generazione: le donne, gli afro-americani, i trans, i disabili e tutte le altre categorie protette avrebbero dovuto dimostrarsi “integrabili” in meno di mezzo secolo per garantire al sistema un minimo di sostenibilità.
Ora, succede che una parte di imprenditori del Tech ha l’assoluta necessità di opporsi a tali politiche da una mera prospettiva pecuniaria e non ideologica (o anche morale). Ciò però non esclude di voler continuare a recitare le varie commedie libertarie con cui sono giunti ai vertici della piramide industriale americana. Quindi la conclusione, per quanto banale, è che individui come Musk si stanno letteralmente tirando la zappa sui piedi per un “pugno di dollari”: dopo aver intrapreso una rivoluzione culturale, si sono accorti di non poter alzare lo stipendio ai lavoratori bianchi perché ciò costituirebbe -a detta di loro stessi- una versione destrorsa del woke (mentre più che altro provocherebbe sulla breve distanza un’ulteriore stagnazione). E dunque allora, complice forse una dose eccessiva di autismo, si giocano tutto sulle proprie fissazioni tra il filantropico e il meritocratico. Il plano sembra fallito ancor pima di cominciare, e con l’approvazione del vecchio Donald.