«Conosciamo l’Olanda e gli olandesi dal massacro di Srebrenica. Sappiamo quanto siano perversi da come hanno massacrato ottomila bosniaci [bosgnacchi]», ha dichiarato Erdoğan in seguito alla crisi diplomatica tra Ankara e Amsterdam (originale: «Biz Hollanda’yı ve Hollandalıları Srebrenitsa katliamından tanırız. Onların cibilliyetinin, karakterinin ne kadar bozuk olduğunu 8 bin Boşnağı orada nasıl katlettiklerinden tanırız»).
Finalmente questa Europa ha trovato qualcuno che la prende sul serio! Il leader turco sbatte in faccia ai “paladini della democrazia” le loro miserie e contraddizioni. È troppo facile invocare nuove Norimberghe immaginandosi sempre dalla parte dei giudici, perché ad autoassolversi sono capaci tutti; difficile invece affrontare un processo che non sia puramente formale.
I nervi stanno saltando perché il “Sultano” ha giocato la carta giusta: il conflitto dei Balcani è anche “nostro”, è un momento fondamentale della “nostra” storia e ciò comporta un’assunzione di responsabilità da parte di ognuna delle parti in causa. Perché se è vero che quella guerra fu condotta in nome dell’umanità, delle “Nazioni Unite” (in quel momento rappresentate… dalla NATO), allora i caschi blu olandesi si sono resi complici dei nemici del genere umano.
Il ragionamento stride, ma le bombe laggiù sono state buttate per questo; di conseguenza, l’argomento di Erdoğan è legittimo, e sarà imbarazzante vedere i suoi avversari arrampicarsi sugli specchi: senza fare nomi, osserviamo già che lo stesso giornale oggi tanto indignato per la “strumentalizzazione” di Srebrenica da parte del Gran Turco, è lo stesso che nel 1996 accusò lo scrittore austriaco Peter Handke di essere un “terrorista” per aver scritto sulla “Süddeutsche Zeitung” che il racconto di quel massacro era «nient’altro che la mera, lascivia, mercantilistica vendita dei fatti e degli pseudofatti».
Lungi da me voler ritornare sulle tragedie balcaniche, ma il problema si sovrappone a quello, attualissimo, rappresentato dall’Unione Europea. Anche se nessuno voleva “giocare alla guerra” (persino il peracottaro Samuel Huntington non seppe spiegare quali interessi potevano avere gli americani a difendere la Bosnia), tutti alla fine vi parteciparono, in un modo o nell’altro.
L’“Occidente” (o quella cosa che definiamo tale) ha quindi intrecciato la sua storia con quella bosniaca, e dietro di sé, come unico ricordo, ha lasciato la diserzione. Non conosciamo i motivi per cui i caschi blu abbiano consentito il massacro: il generale americano John J. Sheehan chiama in causa l’effeminatezza congenita degli olandesi. La tesi è suggestiva, ma crediamo che la realtà sia più squallida: gli olandesi, assieme a tutti gli altri, non avevano capito il senso della “guerra umanitaria” e si erano schierati con quelli che consideravano più simili a loro. Non fu solo per il famigerato Dutch courage se a Srebrenica soldati serbi e olandesi passarono ore liete scolando birra a fiumi, ballando e danzando assieme.
Gli “arancioni” preferirono però passare per codardi piuttosto che per complici. E oggi vogliono ripetere la sceneggiata, arricchita dal tipico atteggiamento chiagne e fotte a cui il blocco nord-europeo ci ha abituati; ma per le regole del gioco che hanno accettato di giocare, la ragione (se non la morale) sta tutta dalla parte del “Sultano”.