Come rappresaglia per la morte di una trentina di soldati turchi in un attacco aereo russo a Idlib, il presidente turco Erdoğan minaccia l’apertura del confine siriano e il passaggio di centinaia di migliaia di profughi dalla Turchia all’Europa.
Le immagini che arrivano da Edirne/Adrianopoli sono già drammatiche: per tutta la giornata le televisioni turche hanno annunciato a reti unificate il “via libera” ai rifugiati siriani e decine di autobus sono partiti da Istanbul alla volta della Grecia (secondo l’analista Abdullah Bozkurt a organizzare i trasporti sarebbe stata una ditta vicino ai servizi segreti, la Metro Turizm, ma l’indiscrezione sembra una fake news), e adesso l’esercito greco sta sparando lacrimogeni sui migranti mentre quello turco impedisce loro di tornare indietro.
Via @salam_aldeen1
'This is the Greek /Turkish border near #Edirne, and the people are stuck and can’t go back to #Turkey because the Turkish soldiers will not let them come back, and now the Greeks are throwing teargas on refugees.' pic.twitter.com/mmJVeAGG7C— Riam Dalati (@Dalatrm) February 28, 2020
Un dato rilevante di queste ore è che la maggior parte degli immigrati ammassati al confine sarebbero i più “sprovveduti”, quelli da Afghanistan, Iraq o Palestina: pare invece che i siriani vogliano essere assolutamente certi che una volta giunti al confine della Grecia gli venga consentito di passare. Col senno di poi una scelta saggia, visto che stamane Atene ha deciso di interdire Kastanies (il passaggio principale) a chiunque non sia greco: ad ogni modo la voce si è ormai sparsa e anche i siriani si stanno già muovendo a piedi oppure di nuovo su gommoni di fortuna alla volta di Lesbo.
Pare che la base elettorale del “Sultano” non disdegni questa scelta, come dimostra la propaganda incredibilmente aggressiva sui social, a partire dall’esultanza di una giornalista filo-governativa (“Che anche l’Europa bruci!”),
#YansınSuriyeYıkılsınİdlib Avrupa da yansın!!! #SehitlerimizVar https://t.co/YFrjEQT9Xq
— Hilâl Kaplan (@hilal_kaplan) February 27, 2020
fino alle centinaia di account che stranamente non sembrano subire le conseguenze dei ricorrenti “oscuramenti” dei principali social network e che ora auspicano che gli immigrati sciamino per l’Europa più velocemente del coronavirus (tweet in turco) e che essi portino appunto il coronavirus e magari anche un po’ di terrore.
Non sappiamo come si evolverà la situazione, ma un punto rimane fermo: non si vede all’orizzonte alcuna guerra tra Ankara e Mosca. Ciò non toglie che lo scontro in Siria si possa inasprire fino all’estremo, ma ragionare continuamente (come fanno la maggior parte dei siti di analisi geopolitica italiani) in termini di tifoseria non serve a nulla: l’orso russo non “farà il culo” ai “kebabbari” né il Sultano perderà una briciola del suo potere (anzi, se egli ha fatto bene i suoi calcoli lo consoliderà ulteriormente).
Nello scenario più favorevole per Erdoğan, le trattative coi russi porteranno alla creazione di una zona-cuscinetto sotto il controllo di Ankara al confine con la Siria (il resto, ribelli e curdi compresi, finirà tragicamente dove finisce tutta la carne da cannone).
Se invece al Gran Turco non dovesse andare così bene, allora dovrà impegnarsi in una ritirata la meno disonorevole possibile: qui forse si riesce a comprendere quale senso abbia la “bomba migratoria” sganciata sull’Europa. Di primo acchito, infatti, non si capisce quale sia il vero obiettivo del Presidente turco: il pensiero corre subito alla Nato, verso la quale Ankara cova un certo risentimento, sentendosi trattata da sempre come “parente povero”. Tuttavia di mezzo ci sono, oltre -naturalmente- a Washington, anche Mosca, Bruxelles, Berlino e persino Atene.
Contro chi è veramente puntato questo “cannone di immigrati” pronto a far precipitare l’Europa in antiche e nuove psicosi? L’ipotesi più plausibile, alla luce dello stile dimesso e accondiscendente con cui l’Unione tratta regolarmente con Erdoğan, è che qualche emissario di Bruxelles o Berlino (o la Merkel in persona, visto che negli ultimi tempi ha continuato a fare avanti e indietro dalla Turchia) abbia offerto garanzie al Sultano riguardo al suo piano di creare un’enclave turca in Siria dove reinsediare i rifugiati siriani (abbiamo approfondito il tema nei due articoli qui sotto).
Costretto a fare marcia indietro, il Presidente turco pone in atto la sua rappresaglia (“Non me li avete fatti rispedire in Siria, ora ve li mando tutti a Bruxelles”). Comunque vada, è prevedibile che a livello di politica interna la mossa risulti vincente: anche perché solo mostrando più risentimento nei confronti dell’Unione Europea che della Russia, Erdoğan potrà raggiungere un accordo con Putin sulla Siria e al contempo addossare ogni responsabilità di una eventuale ritirata al mancato soccorso da parte di Nato, Europa e America.
In tutto questo l’Europa appare, come al solito, spacciata: con tutto ciò, non siamo più nel 2015 e i tedeschi non accolgono i siriani con cartelli e applausi alla stazione. La linea ora la dettano gli Orbán, non le Merkel: la scelta della Grecia di assumersi l’onere di difendere e il proprio confine nazionale e il limes esterno dell’Unione è la dimostrazione di questo cambio di rotta.
Apparente o effettivo, si vedrà: in ogni caso nelle circostanze attuali il coronavirus offre -è brutto dirlo- l’opportunità a tutti i governi europei di non far passare nemmeno un immigrato, mascherando una scelta al 100% politica con gergo tecnocratico e medicale. Tale mossa spiazzerebbe Erdoğan e addirittura potrebbe far precipitare i suoi consensi: non vediamo però dei Machiavelli all’orizzonte, anzi il timore è che, in un crescendo di autolesionismo, molte nazione europee ripeteranno gli stessi errori di cinque anni fa, condannando il Vecchio Continente oltre alla peste che viene anche al terrore che ritorna.