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L’esorciccio di Russell Crowe

Sono combattuto sull’interpretazione da dare a L’esorcista del Papa (The Pope’s Exorcist), opera di Julius Avery uscito da qualche settimana nelle sale italiane in cui Russell Crowe interpreta un esorcista liberamente (molto liberamente) ispirato alla figura del grande padre Amorth. Dal punto di vista della regia e della sceneggiatura è obiettivamente superiore alla media degli horror degli ultimi vent’anni, ma per questo poco ci vuole. Mi ha dato tuttavia fastidio il tradimento completo del senso dato al rito esorcistico dalla Chiesa cattolica (e da padre Amorth stesso), in un crescendo di baracconate e fuochi d’artificio al cui cospetto L’Esorcista di Friedkin sembra quasi un docu-reality.

Vado giù tutto di spoilere come al solito, quindi chi vuole può già interrompere la lettura. Il padre Amorth di Russell Crowe è un pretone buontempone in attrito con l’apparato ecclesiale perché troppo progressista e voglioso di secolarizzazione (in ogni caso la Chiesa nell’immaginario americano è sempre rappresentata come corrotta, sia che penda a “destra” sia che rincorra la “sinistra”), ma che trova una sponda in Franco Nero che dovrebbe impersonare Papa Wojtyła ma si è persino scordato di farsi la barba per il ruolo.

Nel luglio 1987 il Pontefice manda Amorth-Crowe in Castiglia per risolvere un complicato caso di possessione, che invece porterà il protagonista a scoprire un colossale complotto insabbiato per secoli dal Vaticano e riguardante l’Inquisizione spagnola, che a quanto pare sarebbe stata gestita da un esorcista posseduto a sua volta dal demone Asmodeo. Crowe si fa possedere per salvare il ragazzo e l’umanità e il mondo intero, e poi tenta di suicidarsi al grido di “Perdonami Signore”, fino a quando con l’aiuto di un giovane prete non riesce a sgominare la legione di satanassi e a farsi premiare dal Papa come eroe della fede (“Hai messo a segno un punto importante per la nostra squadra”).

La pellicola delude soprattutto perché fino almeno a metà durata il film, al di là di qualche stroppiatura da grande schermo, pare un ritratto quasi riuscito di padre Amorth: poi però i dubbi sulla trama si moltiplicano (“Ma questa cosa è successa veramente? Padre Amorth ha mai raccontato nulla del genere? Io ho letto tutti i suoi libri, com’è che non mi ricordo un casso?”) e alla fine, quando cominciano a esplodere teste, ci si rende conto di trovarsi al cospetto di una blasfemissima americanata.

Spiace che non si sia riusciti per una volta a raccontare il tema senza sfociare nel fantastico e nel grandguignolesco, ma se si guarda alla pellicola come semplici appassionati di horror si può anche ammettere che, come dicono gli yankee, il film è talmente brutto da essere apprezzabile (So Bad, It’s Good). Non so in effetti cosa ci si sarebbe dovuti aspettare da una masnada di scomunicati se non una versione “pizza e mandolino” del sacramentale, dove peraltro le incursioni nella “italianità” sono anche più subdole del previsto (come la messa in scena del suicidio di una ragazza con problemi psicologici che sembra riecheggiare il caso della sparizione di Emanuela Orlandi).

La visione è consigliata solo come passatempo per degenerati e drogati, mentre dal punto di vista della fede non ha alcun valore edificante, anzi al contrario può risultare dannoso e demoralizzante.

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