Europa Nazione: carne e sangue, tirannia e terrore

Lo sciovinismo inconscio con cui si esaltano i cosiddetti “europeisti” è rappresentato in maniera scultorea da un’intervista dello scrittore spagnolo Javier Cercas (Nella notte di Parigi è rinata l’Europa, “Corriere”, 29 novembre 2015) rilasciata a seguito degli attentati parigini di pochi giorni fa.

Da questo scambio di battute col noto Cazzullo, emerge tutta la pericolosità di questa forma estrema di nazionalismo, la cui caratteristica più sgradevole è quello appunto di non potere o volere riconoscersi come tale.

In primo luogo Cercas, con un cinismo di cui forse non sarebbe capace nemmeno un grigio eurocrate, individua le “conseguenze positive” degli attentati:

«È nato l’embrione dell’Europa. Nessuno di noi ha pensato che fosse un attacco alla Francia; tutti abbiamo capito che era un attacco all’Europa.  […] Ci voleva ora quest’altra guerra [scil. terroristica] per realizzare che l’Europa unita è il nostro solo orizzonte. D’un tratto, quello che appariva freddo e tecnocratico è diventato carne e sangue. Divisi, i nostri vecchi Stati non contano nulla. Insieme, siamo la prima potenza mondiale».

Per fare l’Europa unita, ci vogliono quindi sempre carne y sangre, messe nel frullatore di uno revanscismo ora accettato con compiacenza perché esteso “idealmente” (si fa per dire) a un intero continente. Ricordandosi inoltre di essere uno scrittore, Cercas rincara la dose fornendo anche una base “letteraria” (ideologica, direi) al suo euro-nazionalismo: se il Vecchio Continente è superiore al Nuovo da qualsiasi prospettiva (questo è almeno ciò che egli deduce dal primato europeo in letteratura), un Super-Stato potrà finalmente godere di quella “ricchezza” (culturale?) «che l’America non potrà mai avere».

A dimostrazione che questo tipo di retorica politica serve davvero a far passare qualsiasi cosa, Cercas, dopo aver affermato che il terrorismo è uguale alla guerra (ma fuori dal paradigma europoide tale equazione sarebbe tacciata di allarmismo, razzismo e xenofobia), si lancia in un elogio della (altrui) tirannia:

«Purtroppo avevano ragione i tiranni, quando ci dicevano che l’alternativa alla loro tirannia era il fondamentalismo islamico. Al Qaeda era peggio di Saddam. L’Isis è peggio di Al Qaeda. Quello che verrà dopo potrebbe essere peggio dell’Isis».

Con lo “scudo europeista” (potenziato dalla tendencia izquierdista), lo scrittore può attaccare l’islam da ogni prospettiva: suggerire per esempio, di «chiudere le moschee dove si predica la jihad» o affermare che i turchi sostengono l’Isis («[I terroristi] hanno milioni di simpatizzanti, come si è visto allo stadio di Istanbul. Lei pensa che i turchi siano disposti a combattere l’Isis?»).

Ora, ognuno può dire quel che vuole, però se Cercas un attimo prima afferma che dobbiamo “studiare l’islam” per “sconfiggerlo” (fuor di metafora e melassa, perché ovviamente l’argomentazione per sembrare progressista chiama in causa Mandela: «Nei ventisette anni che passò nelle carceri dell’apartheid, Mandela capì che per sconfiggere l’avversario doveva studiarlo»), poi non può uscirsene con queste bufale islamofobe.

Il riferimento allo “stadio di Istanbul” riguarda infatti un episodio verificatosi a una settimana dagli attentati: i tifosi turchi hanno fischiato durante il minuto di silenzio prima dell’amichevole con la Grecia. L’autore spagnolo Cercas, seguendo l’interpretazione propagandata dalle gazzette, dimostra però di non aver studiato molto: se egli avesse fatto un minimo di ricerca (in fondo anche i turchi “vengono da Islam”), avrebbe compreso che i cori di disapprovazione non sono stati un inno all’Isis, ma una protesta contro la Francia (la quale, per una grossa fetta dell’opinione pubblica turca, “sostiene il PKK”). L’episodio è disdicevole, ma non è legittimo biasimarlo in base a una presunta superiorità da europeo civilizzato: se i nostri media possono continuare a dire che Ankara sostiene il terrorismo islamico, allo stesso modo i turchi possono legittimamente pensare che Parigi sostiene il terrorismo curdo. Pari e patta, insomma.

L’ossessione principale di Cercas resta comunque l’Europa, che nell’intervista spunta da ogni dove («Questo è il momento di costruire l’Europa: una politica comune di difesa, una politica comune dell’immigrazione», afferma d’embléementre discute delle responsabilità occidentali nella diffusione dell’estremismo islamico). Non può mancare poi l’apoteosi dell’ormai patafisico “Più Europa”:

«Dobbiamo dissolvere i vecchi Stati in una federazione europea, non crearne di nuovi. Solo così il potere politico potrà resistere al potere economico, la democrazia potrà fronteggiare le corporation globali».

Ecco le basi della nuova Europa-Nazione, in cui tutto deve confluire: non solo letteratura, storia, geografia e materie varie, ma anche il terrorismo e la tirannia, la disoccupazione e la recessione, la censura e il conformismo. E ovviamente sempre gli ingredienti base (non dimentichiamolo mai): carne e sangue.

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