Fare figli MONGOLI per superare l’inverno demografico?

Il dibattito sulla denatalità non è così entusiasmante come potrebbe apparire. Ci si scontra sul fatidico dilemma “economico o culturale”, senza che i dati possano dar ragione all’uno o all’altro schieramento.

Per esempio, sembra piuttosto pacifico ammettere che “lasciate a se stesse”, le donne manifestino la tendenza a livellare il tasso di natalità di una nazione a zero: c’è chi le giustifica additando le “responsabilità” degli uomini, ma probabilmente l’unica colpa del genere maschile è quella di aver abdicato alle necessità della specie.

Chiaramente io faccio il tifo per la squadra del “culturale”, non fosse per il fatto che le motivazioni economiche siano esse stesse espressione di una mentalità “femminile”, stile mamma criceto che divora i cuccioli per “non farli soffrire”.

Non capisco infatti come un uomo possa sostenere, almeno sui social, la tesi per cui non si fanno figli perché “mancano i soldi”: ma questo sfigato se non altro è al corrente che per una donna i soldi mancano sempre? Si è mai sentito dire da una femmina che “non guadagna abbastanza” da avere il diritto di ingravidarla?

La realtà è questa e chi sostiene l’economico semplicemente maschera la sua debolezza con una finta assunzione di “responsabilità”. Del resto, sono i dati a parlare chiaro: gli incentivi economici alle nascite proposti da questo o da quell’altro governo non servono in alcun modo a convincere le donne a fare più figli.

Una prospettiva più conciliante sarebbe quella di promettere alle femmine un milione di euro, o di dollari, a figlio: gli si stampa la banconota o un assegno gigante anche con una valuta inventata, e loro se lo tengono lì come se fosse una medaglietta o roba del genere, in modo che i loro cervellini da oche ne risultino attratti e intrattenuti.

La Mongolia ha adottato una soluzione del genere, istituendo un Ordine della Gloria Materna, con premiazione speciale del Presidente/Khan di turno e un’elargizione in denaro (10 dollari a pargolo secondo il cambio attuale, che comunque per le mongole è un bel guadagno visto che lo stipendio medio nazionale è di 400 dollari).

È probabile, purtroppo, che tali iniziative risultino efficaci solamente in base al contesto: per esempio, in Corea del Nord, considerabile come una “Mongolia” da una prospettiva occidentale, i tassi di riproduzione sono piuttosto bassi, e il declino negli ultimi vent’anni si è fatto sentire (da 1,97 nel 2000 si è passati a 1,82 nel 2020).

Non è un caso che Sua Eccellenza Kim Jong-Un in persona, durante la V Conferenza nazionale delle madri a Pyongyang, sia scoppiato in lacrime  chiedendo alle donne della nazione di fare più figli

Pare dunque che il popolo nordcoreano abbia risentito della propaganda comunista più di altri, dimostrandosi piuttosto permeabile a certe istanze rispetto ad altre nazioni asiatiche (forse meno urbanizzate?). Non sembra, del resto, che lo Juche (l’ideologia controrivoluzionaria post-sovietica) abbia arginato granché la deriva, anche a fronte dell’inasprimento (ma solo nel 2015) della legislazione sull’aborto e della regolamentazione, in maniera meno “occidentale”, della diffusione dei contraccetivi.

Bisogna riconoscere al regime nordcoreano di non aver mai incentivato la pratica dell’aborto selettivo delle femmine come altri Paesi dell’area asiatica (anche non di ideologia comunista), tuttavia alcune inchieste del “Comitato americano per il rispetto dei diritti umani in Nord Corea” (da prendere ovviamente con le pinze, in quanto propaganda nemica) riportano che l’usanza sarebbe invece incoraggiata per i figli delle donne coreane vittime della tratta della prostituzione verso la Cina, con il fine di “mantenere la purezza della razza”.

Tuttavia, la conclusione è che anche una nazione come la Corea del Nord percepisce il calo demografico come una minaccia alla propria integrità e indipendenza: e allora, com’è possibile che nemmeno quello che viene descritto dai media occidentali come un regime spietato riesca a imporre il “natalismo” alle proprie donne?

È necessario forse qualche elaborazione ulteriore, per comprendere il sistema perfetto per cui le donne arrivino a concepire la prole come una forma di passatempo e svago, nonché di “guadagno” (in senso lato, nella loro prospettiva surreale e avulsa dalla realtà).

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8 thoughts on “Fare figli MONGOLI per superare l’inverno demografico?

  1. Ma caro, hai già detto tutto quando hai tradotto Kurtz. “In questa casa osserviamo le leggi della termodinamica” (cit.) e non possiamo viaggiare in universi dove i figli non siano un accollo, o non ti facciano sfigurare davanti a zoccole che la società ti dice essere più “realizzate” di te.
    I sistemi valoriali si costruiscono anche attorno alle prerogative materiali, e tu stai cercando un cambio di paradigma valoriale, antitetico a un contesto senz’anima che naufraga nella lallazione “per adulti” illudendosi in ancora un po’ di benessere. Altrimenti non convinceresti discrete porzioni di popolazione ad accettare allogeni.

    Sono d’accordo che “ci vorrebbe una bella guerra” sia una triste uscita da boomer, ma proprio non si vede come uscirne. Ti faccio presente che l’ultima volta che la maggioranza si è sentita minacciata esistenzialmente è stato con la truffa del raffreddorino, e per l’ennesima volta i vecchi hanno schiacciato i giovani.

    Stai cercando la bacchetta magica della psyop della “Guerra contro Antares” ma condotta dai buoni.

    1. Aggiungo: per noi credenti è facile vedere nella cifra dei nostri tempi ANCHE la proterva fuga della donna dal destino a lei comminato durante la cacciata da Eden. Se poi anche l’uomo mashculo desideri la fuga dal lavoro, e in un certo senso la desidera da sempre, è argomento per altri giorni…

  2. Mister, finché si continua a trattare la questione con approccio (involontariamente?) parodistico, avvitato su di una soggiacente polemica fossilizzata, polemica che non è più nemmeno antifemminista ma schiettamente misogina (dal politico allo psichiatrico), è difficile che si arrivi non dico a elaborare una soluzione, ma anche solo a non scambiare le cause con gli effetti. È la stessa trappola in cui sono cadute le arcifemministe, ignare delle proprie nevrosi e che proiettano i variegati disagi personali sul feticcio patriarcale. Gli apparati ideologici sono lì pronti a offrire a chiunque concetti e strumenti per organizzare (in-formare, di-vertere) malesseri profondi e vaghi complessi mentali. È evidente che le ideologie correnti non fanno che tradurre e sistemare in apposita dialettica quelle che spesso sono nude circostanze preesistenti, tendenze subcoscienti, insoddisfazioni che hanno altra origine, traumatica o ridicola.

    Non sono un fanatico delle spiegazioni positiviste e prettamente economiche, ma neanche mi illudo che la sola propaganda culturare abbia effetti così dirompenti su una faccenda come la riproduzione. A operare nel profondo ci sono fattispecie di scarsissimo interesse per un discorso sociologico che abbia il fumo della dotta analisi, circostanze troppo semplici e perciò accantonate; a volte la verità è così inutile anche per farne un uso strumentale. Per non dire il caso che tra le cause dello sfascio umanitario c’è proprio quella cosa a cui teniamo tanto, il viatico cui abbiamo dedicato tempo ed energie, l’indicibile eresia.

    Maschi e femmine insieme vivono in una contesto dove non c’è un orizzonte di senso presente proiettato nel futuro, che veda in ciascuno un elemento di valore per sé e contemporaneamente in funzione del bene della comunità. Piuttosto vediamo solo l’individuo in lotta e nessuna comunità (che appare odiosa e ostile, fatta com’è di individui odiosi e ostili). Il futuro è fondamentalmente in mano alla tecnica posseduta dal grande capitale (o vice versa, è lo stesso), di cui la politica è l’ancella con le dimissioni già firmate. Che interesse può avere una persona a sacrificare qualcosa della sua individualità se non ha alcun potere di influenzare l’andazzo, che gli si pone quasi come un fenomeno naturale, che sta semplicemente capitando come la neve o il bradisismo. Ci si sente fuori dall’umanità. Tra gli occidentali nessuno è veramente religioso, il sacro non ha ruolo in società. Il trascendente al più è solipsistico, ridotto allo stile scaramantico, ci si immagina dio come un avvocato di fiducia spesso irreperibile: ma alla fine verrà raddrizzare i miei torti. La virtù è defunta per inefficacia. Non c’è progresso in vista, solo opportunità nella battaglia. In questo clima di ceto medio depressivo, che senso ha fare figli, se non per un valido calcolo? I bisogni materiali sono sostanzialmente soddisfatti, la gente è pessima e in giro ci sono sempre più negri, la vita nell’oltretomba non esiste. Non facciamo figli perché in realtà siamo troppo ricchi e soddisfatti, ancora troppo adolescenti a 40 anni, c’è troppa offerta di passatempi e nessuno è malvisto se gioca alla play con i capelli grigi, per cosa e per chi dover rinunciare ai piccoli spassi del mondo? Con tutte le preoccupazioni, anche quella di crescere un figlio sanguisuga, se poi sarà il diluvio? Se abbiamo un po’ d’ansia è solo perché non sappiamo a chi lasciare la casa e gli averi, perché sfortunatamente dobbiamo morire e difficilmente avremmo accesso ai più moderni ritrovati per l’immortalità.
    Si farebbe la figura da pagliacci ad additare l’agio materiale e le cazzatine divertenti come il miele tossico che alimenta la muffa di risentimento e indifferenza delle nostre vite. Ma perché non dovrebbe essere così volgare, la faccenda? Che alla fonte vi sia questo insieme di cause di basso livello, materiali e psicologiche, e dopo vengono le costruzioni ideologiche, come una superfetazione barocca (per restare in tema) su una casetta rurale.
    Non ci si possono scrivere saggi di sociologia della denatalità su queste banali osservazioni. Come scrivere un saggio che originasse tutto Leopardi dalla sua gobba: potrebbe essere e non sarebbe così riduttivo, ma è una verità di quelle che non soddisfano, che sbarrani le porte ad altre chiavi interpretative false ma fertili di infinitudine.
    Non facciamo più figli perché siamo diventati come i panda senza che nessuno ce lo abbia imposto, per tendenza naturale in un contesto artificiale, e la cosa non ha rimedio perché la condizione di panda è irrinunciabile. È più consolante disperarsi recriminando sulla donna secondo il vangelo incel o sulla pidocchiosità dell’uomo con basso potere d’acquisto: queste e altre spiegazioni danno almeno l’illusione di poter combattere l’emergenza.

    1. A me sembra che tu la faccia tutt’altro che semplice, tanto è vero che il punto è talmente complicato e confuso che nemmeno riesco a elaborare una risposta. Mi viene solo da osservare che una preoccupazione legittima che non contempli (forse perché hai tutto questo timore ingiustificato di incolpare le donne?) è quella di un uomo che, diventando padre, sa già che farà uno o due figli che a) non crescerà lui; b) verranno tirati su solo dalla madre; c) in caso di divorzio, non li vedrà mai; d) in un modo o nell’altro saranno sempre degli estranei.
      Nessun uomo rinuncerebbe alla paternità per una partita in più ai videogiochi o per andare a vedere la squadra nel cuore in trasferta tutto l’anno. Il discorso cambia nel momento in cui deve rinunciare praticamente a esistere per mettere al mondo un estraneo, che a un certo punto smetterà pure di chiamarlo “papà” (o forse non lo chiamerà mai). Questa è la prospettiva davvero insopportabile, altro che morire di lavoro per avere una prole, come gli uomini fanno sempre da millenni. Avere figli non significa creare biomassa. Quello è lo scopo che manca, altrimenti i trastulli ce li saremmo pure inventati ai tempi delle palafitte: prima di qualsiasi morale o religione, c’è la funzione del padre, che non è solo culturale (o forse sì, ma di una cultura che si fa natura).

      1. Mister, sincero, non ho nessun timore di responsabilizzare le donne e posso andarci giù anche più pesante. Ti invitavo a riconoscere che l’antropologia femminile secondo la manosfera è una barzelletta irricevibile, soprattutto nel metodo e nell’espressione: quando nella sfera si menziona la femmina, immancabilmente il tono è un misto tra Superquark (documentario etologico sui pavonidi), Mxxxo Mxxxxi (Bxxxa sxxxxxa, 1995) e cherem stizzosi alla maniera dei Savi Anziani che tramano vendetta nel cimitero di Praga (a mezzanotte). Lo stile recriminatorio-aggressivo finisce per contagiare anche gli spiriti più sorvegliati, e tutto ha l’aria di una disputa coniugale diffusa. Capisci che in tutto ciò si è persa ogni traccia di maschia imperturbabilità e virile stoicismo. Eh, ma stiamo soffrendo davvero, mica per posa! Perché non abbiamo il diritto anche noi il diritto di esprimere la frustrazione? Ce lo abbiamo il diritto, perché sappiamo come prendercelo. Ma al di fuori dello sfogo personale, se questa è una faccenda di respiro sociale, è meglio mettere da parte lo stile checchevole di certe lagnanze passivo-aggressive, meglio evitare una messinscena da dissidio matrimoniale diffuso, con migliaia di coniugi Roses che si fanno una guerra di meschinerie rinfacciate senza neanche essersi conosciuti (in senso biblico e non).

        Sono al corrente dei problemi che un ex compagno/marito si trova ad affrontare, ce ne sono anche di peggiori di quelli che hai elencato ed è nota l’asimmetria dei tribunali, quando si tratta di scegliere chi tutelare di più tra marito e moglie. Ma questo è un altro problema, e se non sbaglio, almeno in Italia, è un problema figlio di una legge sul divorzio che ha subìto un apposito trattamento da chi la legge sul divorzio non la voleva punto: visto che volete divorziare, fatelo, ma sarà un inferno. È facile oggi, da sinistra, difenderla tal quale, perché così com’è la legge ha l’aria di garantire la tutela del soggetto debole, che essendo sempre la donna consente pure di fare un po’ di quel femminismo ambiguo e contraddittorio (maternalistico?) che tanto piace.

        Che la ragione fondamentale del maschio renitente la riproduzione sia il prospettarsi il tristo canovaccio – accasamento, prole, divorzio, mantenimento a distanza dei figli ormai sconosciuti nonché della “grandissima bottana”, per finire a vivere dentro una macchina con il tesserino della Caritas – io ci credo poco. A dispetto delle statistiche clamorose sui divorzi, a dispetto delle troppe storie di ex mariti rovinati, io non ci credo neanche un po’ che in occidente i maschi rifuggano di farsi una famiglia perché hanno meditato su questi esiti infelici. A queste cose ci pensano solo quelli che vogliono accampare una scusa presentabile e molto pratica in luogo delle vere motivazioni (che essi probabilmente neanche sanno indicare). Esattamente come alcuni sfortunani si iscrivono agli incel solo per razionalizzare con una bella teoria generale il loro NON voler scopare.
        Lo ripeto, i divorziati spesso fanno una vita di merda, la legge è ingiusta, la femmina se ne approfitta. Tutto vero. Ma non posso credere che veramente la denatalità sia frutto della lungimiranza degli uomini che non figliano alla luce di ciò. Se no, mi aspetto che i più si sottopongano già a 13 anni a vasectomia, per azzerare sùbito il rischio. Se ci fosse uno scapolo che facesse veramente questa partita doppia di quanto gli costa il futuro divorzio da una moglie che non ha e con figli che non esistono ancora, è chiaro che costui non si sposerà e non figlierà mai: non perché il calcolo è corretto e si sceglie, ma perché uno che ha questo genere di pensieri non si sposerebbe nemmeno se la probabilità di divorziare fosse del 1 parte su 10 milioni, perché con questo atteggiamento chi vuoi sposare? È una barzelletta

    2. dici cose vere (anche se troppo supercazzolesche), ma resta un fatto: il monopolio della riproduzione ce l’hanno le donne, quindi la volontà maschile è del tutto irrilevante

      1. Stefanov, allora possiamo essere più drastici. La denatalità urge agli stati, solo una faccenda di forza lavoro giovane per le necessità della produzione, il sostentamento della previdenza sociale e il finanziamento dei servizi. Dice il Mister che avere figli non significa produrre biomassa, approvo, ma gli incentivi a fare figli sono proprio un invito a produrre biomassa utile fino quando se ne potrà fare a meno grazie al perfezionamento dell’automazione, dopodiché non sarà più dovuto alcun servizio né pensioni, e si potrà morire tranquillamente male.
        Fare un proprio figlio è cosa diversa dalla necessità strutturale di fare più figli, la questione della “paternalità” come desiderio e natura che si fa cultura è vera ma è fuori dall’ottica degli stati e del discorso demografico, la crisi delle nascite finisce per essere un problema politico. Se nemmeno le soluzioni del governo sono utili e altro non si può fare, è segno che i governanti (come individui) hanno già accettato il fatto che si vada verso la sostituzione o l’estinzione etnica, perché (come individui) non avranno da perdere granché dal disfacimento (fughe all’estero e Via del Bosco Dorato). Le sole cose che potrebbero invertire la tendenza sono di natura culturale ma, date le condizioni materiali in cui viviamo, una cultura natalista avrebbe scarso seguito. In giro non c’è tutta questa passione di essere padri (nel senso più nobile, pedagogico, ispirato), probabilmente non è mai stata una cosa diffusa nemmeno nei secoli trascorsi (il padre-amico e maestro di vita mi sa che è un prodotto piuttosto recente), e il maggior indice di natalità del passato era il frutto di altre circostanze, materiali e culturali.
        Nello scenario attuale, il monopolio uterino non è così rilevante, perché la fisiologia umana è sempre esistita. Una differenza ci può stare nelle nascite accidentali, che un tempo era rischiosissimo abortire, mentre oggi, con la farmacologia…
        Continuo a pensare che se uno evita di fare figli perché conclude in un futuro divorzio o perché tanto è solo la femmina che decide, costui in verità non aveva voglia di figliare neanche prima di fare ragionamento. Poco importa se le statistiche gli danno ragione. È il tipico approccio da razionalizzazione evitante che conta. Meditare sul rapporto costi/benefici smonta qualunque romanticheria.
        I divorziati non sono pentiti dei figli che hanno fatto, al massimo maledicono la Grande Meretrice (nell’ipotesi inverosimile che i divorzi non siano mai una conseguenza del fatto che il marito è una testa di cazzo).

  3. A questo punto l’unica cosa interessante è capire se ci sarà il crollo delle istituzioni del Primo Mondo (e anche del Secondo, che non fa molti più figli) o se la robotica sopperirà al declino demografico, concedendo una morte lenta e dolce alle società sviluppate. Viviamo in tempi interessanti, allucinanti ma interessanti

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