La notizia che l’FBI stia pianificando “iniziative” contro i “cattolici tradizionalisti radicali” ha fatto il giro del mondo (mentre in Italia è stata snobbata dalle grandi testate e ripresa solo da “La Verità” e “Il Secolo d’Italia”, oltre che da qualche meritevole portale “cattolico tradizionalista radicale”).
Il documento di cui si parla, un rapporto ad uso esclusivamente interno (nel frattempo ritirato), risale a gennaio 2023 ed è stato divulgato dall’ex agente Kyle Seraphin, divenuto “gola profonda” dopo la sua cacciata dall’agenzia proprio per alcune dichiarazioni riguardanti le azioni del Deep State (e probabilmente certe soffiate agli attivisti di Project Veritas).
Il titolo della nota è Interest of Racially or Ethnically Motivated Violent Extremists in Radical Traditionalist Catholic Ideology Almost Certainly Presents New Mitigation Opportunities, cioè “L’avvicinamento di estremisti violenti ispirati al razzismo o alla discriminazione etnica all’ideologia cattolica tradizionalista radicale presenta quasi certamente nuove opportunità di contenimento” (la lingua di legno è in realtà abbastanza comprensibile, anche quando i “tradizionalisti” diventano RTC e i racially motivated violent extremists RMVE).
Le liste di proscrizione sono state tratte di peso da una “inchiesta” dal famigerato Southern Poverty Law Center (SPLC), organizzazione sinistroide-liberal che giustamente addita ai servizi segreti i “nemici del sistema”. Nell’elenco, risalente almeno al 2007 e aggiornato anno per anno, compare sin dalla prima stesura il commentatore cattolico (“cattolico tradizionalista radicale”, sorry) E. Michael Jones, che sulla sua rivista “Culture Wars” (e in una delle sue “dirette” su Cozy.tv del 10 febbraio 2023) ha voluto offrire una lettura del documento alternativa a quella proposta sia dai media conservatori mainstream che dalla stampa cattolica più orientata a destra (per la quale la questione si ridurrebbe alla “messa in latino”).
Per il professor Jones, ciò che accomuna i nomi della black list non è l’orientamento “tradizionalista” in sé, quanto l’interesse verso l’insegnamento cattolico sulla cosiddetta JQ (Jewish Question): in effetti è singolare che tra i “tradizionalisti” vengano annoverati organizzazioni e intellettuali che accettano senza problemi il Novus Ordo, mentre non risulti, giusto per fare un nome, la Fraternità Sacerdotale San Pio X (o la Fraternità sacerdotale San Pietro, in comunione con Roma), prima promotrice negli Stati Uniti della messa tridentina.
L’opinionista tuttavia giunge ad affermare, forse con un po’ di egocentrismo, che l’accozzaglia di nomi sia stata messa insieme esclusivamente per attaccare lui e le sue iniziative editoriali da parte di una certa Heidi Beirich (impiegata del Southern Poverty Law Center) nel lontano 2005: riassumiamo brevemente la versione del Nostro, soprattutto per avere uno spaccato di un certo sottobosco americano di cui l’opinione pubblica italiana è totalmente all’oscuro.
Jones parte dalla figura di Samuel T. Francis (1947–2005), intellettuale della Guerra Fredda seguace di James Burnham che avrebbe voluto sovvertire il potere delle élite manageriali sugli Stati Uniti fomentando l’americano medio, ma che venne “impallinato” dal più noto commentatore William F. Buckley (giornalista conservatore “istituzionale”), il quale lo fece cacciare dal “Washington Times”. A quel punto Francis passò dal conservatorismo al cosiddetto “suprematismo bianco”, forgiandosi un’identità non più politica ma razziale.
Jones ricorda una conferenza del 2004 dell’estremista britannico John Hutchyns Tyndall, animatore del National Front e del British National Party, organizzata a Washington dallo stesso Francis, nella quale, dalla prospettiva della white supremacy, si esaltava l’Inghilterra elisabettiana, un luogo in cui i sacerdoti cattolici venivano impiccati e sventrati per aver celebrato la messa. Jones ricorda che il suo amico James G. Bruen (anch’egli scrittore cattolico statunitense) chiese perplesso a Tyndall se gli irlandesi fossero bianchi, ricevendo una risposta indignata: “Certo, gli irlandesi sono bianchi. Mia madre è irlandese”, e a quel punto Sam Francis colse la palla al balzo per proporre un altro quesito ancor più sconcertante per il suo ospite inglese: “Gli ebrei sono bianchi?”, costringendo Tyndall ad ammettere: “Non lo so”.
Nel 2007 E. Michael Jones riprese quell’aneddoto durante una commemorazione di Francis (a due anni dalla sua scomparsa) e cercò di rispondere alla domanda, provocando uno shock nell’uditorio, tra chi cercò di interromperlo con urla, chi tentò persino di aggreddirlo e chi lasciò la conferenza per protesta. Il punto della questione era proprio l’impossibilità di rispondere dalla domanda sulla “bianchezza” degli ebrei da parte di razzisti così tanto agguerriti (tra i quali, peraltro, comparivano ovviamente pensatori di origine ebraica, come il paleoconservatore Paul Gottfried).
Così prosegue Jones:
«Inutile dire che tutto il lasciò una profonda impressione su Heidi Beirich, che aveva assistito in prima fila alla mia demolizione delle categorie conservatrici e razziali. Invece di celebrarmi come un crociato antirazzista e abbracciarmi di fronte a quegli indignatissimi white boys, Beirich mi descrisse nel bollettino dell’SPLC come “paonazzo in volto e vociante”, senza dire una parola su ciò che avevo detto o su come avessi abbattuto il castello di carte della narrativa razziale tanto apprezzata da quelli dell’SPLC, invocando categorie teologiche cattoliche. Gli ebrei possono o meno essere “bianchi”, ma la fonte dell’identità ebraica non è razziale, ma teologica, ed è puramente negativa. Gli ebrei divennero rivoluzionari quando invocarono la crocifissione del Logos incarnato, e questo è stato il nucleo della loro identità fino ai giorni nostri.
Fu in quel momento che il cliché [trope] del “cattolicesimo tradizionale radicale” si formò nella mente di Heidi. Come già detto, non aveva nulla a che fare con la messa latina, ma con l’apertura di un nuovo fronte nelle guerre culturali, tramite l’interpretazione della questione ebraica in termini religiosi e non razziali. […] Adescare i razzisti bianchi era diventato pane quotidiano per l’SPLC, un mezzo infallibile per raccogliere fondi dai suoi finanziatori in gran parte ebrei […]. Quindi perché non usare gli stessi cattolici che gli ebrei odiano tanto quanto i “nazi” (o forse di più) per raccogliere ancora più soldi? Riesco quasi a vedere il pensiero formarsi nella mente eccitata di Heidi”».
L’Autore afferma dunque che i veri “contendenti” della guerra culturale non sono progressisti e conservatori, bianchi o neri, ma ebrei e cattolici, dal momento che a suo parere “tutta la storia umana è una battaglia ebraico-cattolica tra i discendenti di quegli ebrei che accettarono Gesù Cristo come Logos incarnato e quegli ebrei che lo crocifissero e divennero rivoluzionari”, ricordando, in maniera quasi scontata, che tra le “fonti” dell’FBI senza alcun dubbio il Souther Poverty Law Center viene scalzato dalla Anti-Defamation League (ADL).
Infine Jones ricorda il caso di Mark Houck, attivista anti-aborto che nel settembre 2022 si è visto assaltare la casa da una trentina di agenti dell’FBI venuti per arrestarlo all’alba di fronte alla moglie e ai suoi sette figli solo per aver manifestato davanti alle cliniche della Planned Parenthood (“reato” per il quale è stato poi assolto).
Partendo dall’assunto che a suo parere l’aborto è un “valore ebraico” (Jones specula spesso su tale affermazione, effettivamente espressa da decine di organizzazioni ebraiche americane), l’Autore conclude che la questione della “messa in latino” sia solo un modo per manipolare il senso dei documenti divulgati e acuire le divisioni interne al cattolicesimo, mentre in realtà l’indiscrezione sarebbe segno di come la vera “guerra culturale” sia penetrata profondamente nello stesso Deep State, e di come tutti i nodi stiano venendo al pettine “nel modo misterioso in cui solo il Logos sa agire”.