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Fermare la Wagner prima che arrivi a Mosca

Di fronte alla minaccia di un golpe militare ordito dagli uomini di Prigožin, dopo un inziale smarrimento Putin ha provveduto a correggere la linea, consultando anche i suoi alleati: tuttavia, se dal presidente kazako Toqaev non ha ottenuto altro che indifferenza (con tanto di comunicato ufficiale che stabilisce che quanto sta accadendo “è un affare interno della Russia”), dal caro vecchio Lukashenko ha ricevuto se non altro un po’ di comprensione, a partire dalle dichiarazioni del governo di Minsk sul pericolo estremo rappresentato dalle guerre civili nella storia russa, che da sempre si sono rivelate fonte di distruzione insensata.

Per evitare tale deriva, si rende ora necessario al Cremlino prepararsi a qualsiasi soluzione, anche la più estrema. Già diversi governatori hanno evocato per Prigožin un destino simile a quella di Boris Pugo, il Ministro che partecipò indirettamente al tentato golpe del 1991 e per evitare l’arresto si suicidò (non prima di aver sparato alla moglie). Forse ricordo male, ma una volta i russi questo genere di “lavoro sporco” non lo lasciavano all’iniziativa del singolo (dove siamo, in America?), ma provvedevano essi stessi all’esecuzione in modalità più o meno legali. Anche questo è evidentemente un segno dei tempi.

Nel frattempo la stampa occidentale (ed ucraina) gongola alle voci che si sovrappongono su una evacuazione di massa degli oligarchi da Mosca, accompagnati dal “capo dei capi” stesso, che sarebbe partito verso le 14 col suo Il-96-300PU per la volta di San Pietroburgo, accompagnato da uno stormo di aerei presidenziali e business jet [biznes-dzhet], mentre per la gente comune un biglietto per Erevan attualmente arriva a 200 mila rubli, e i voli per Istanbul, Astana e Tbilisi sono tutti esauriti.

Secondo le ultime indiscrezioni inoltre sembra che il Cremlino abbia provato a negoziare con Prigožin oltre ogni limite ragionevole, alimentando una personalità già strabordante che a quanto pare cercava solo un pretesto per creare un “culto” attorno a sé. I tentativi di integare il Gruppo Wagner nell’apparato di difesa non sono andati a buon fine, nonostante sia intuibile da chiunque la difficoltà, da parte di una tellurocrazia, di condurre le guerre attraverso “compagnie private” (ancora una volta, non siamo in America).

Adesso pare che sia già giunto il momento delle extremae rationes, ma il dilemma è più che mai lancinante: annientare i mercenari prima che si avvicinino anche solo di 10 km dalla capitale, oppure attendere che la loro minaccia appaia più angosciante agli occhi dell’opinione pubblica e dunque trasformare Mosca e dintorni in un teatro di guerra? Il tempo per pensarci sta per scadere.

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