FMI: la Brexit è una figata

(da Le Figaro, 21 gennaio 2019: Brexit: pour le FMI, l’apocalypse promis n’aura pas lieu, di Paul Sugy, con intervista a Nicolas Goetzmann, responsabile della centro studi e strategia macroeconomica presso La Financière de la Cité, una società finanziaria parigina. Trad. it. di Gog&Magog)

FIGAROVOX. — Il FMI prevede che la crescita del Regno Unito supererà la zona euro nei prossimi due anni. Ma ci è stato detto che dopo la Brexit ci sarebbe stata l’apocalisse…

Nicolas GOETZMANN. — Il FMI ha pubblicato, il 20 gennaio, le sue nuove prospettive economiche mondiali che, di fatto, rivedono al ribasso la crescita della zona euro per l’anno 2020 all’1,3%, mentre quella del Regno Unito rimane invariata all’1,4%. Per l’anno 2021, il Regno Unito si attesta all’1,5% contro l’1,4% dell’Eurozona. Per gli Stati Uniti, nel 2020 dovrebbe essere il 2%, il che dimostra che l’intero continente europeo è in affanno, e che la zona euro in termini di crescita è in fondo al corteo, con il Regno Unito che sta facendo meglio. È inoltre importante notare che anche la Francia dovrebbe crescere ad un tasso inferiore a quello del Regno Unito, sia per il 2020 (1,3%) che per il 2021 (1,3%).

Ciò non è affatto sorprendente, non perché l’economia britannica sia particolarmente forte, ma perché le autorità europee hanno ancora una volta deluso per il rallentamento registrato nel 2019. Va sottolineato che questa previsione si basa su uno scenario “ordinato” di Brexit e su una transizione graduale verso le nuove relazioni che legheranno in futuro l’Unione Europea e il Regno Unito. Questo è infatti lo scenario più probabile.

Le previsioni apocalittiche per Brexit erano più argomenti politici che realtà economiche. Tuttavia, è difficile ignorare il fatto che il Regno Unito abbia gestito molto meglio la fase successiva alla crisi del 2008, rispetto ad altri governi della zona euro, per non parlare dell’azione della Banca d’Inghilterra, che è stata molto più efficace di quanto sia stata la BCE negli ultimi 10 anni. Il Regno Unito ha una solida storia di pragmatismo economico. Nel 1931, gli inglesi furono i primi ad uscire dal gold standard, e furono quindi i primi a riprendersi dal crollo della Grande Depressione. Dal 1945 in poi, il governo laburista di Clement Atlee si inserì nella visione economica dominante nel dopoguerra portò ai Gloriosi Trenta, tra la ricerca della piena occupazione e lo stato sociale. Nel 1979, il Regno Unito fu il primo a tentare l’esperimento liberale. Anche se queste fasi non hanno avuto un successo pieno, è importante riconoscere che il Regno Unito agisce regolarmente come un precursore del mondo occidentale.

Quando Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, nel 2016 è arrivato a dichiarare che la Brexit “minacciava la civiltà politica occidentale”, è diventato palese che si dovesse smettere di prendere troppo sul serio questo tipo di critiche.

Ma questo miglioramento dall’altra parte della Manica non sarà solo temporaneo?

La risorsa del Regno Unito è la forza politica che Boris Johnson ha ricevuto dalle ultime elezioni. Ha a disposizione il tempo, una maggioranza e un ventaglio di misure di stimolo economico che possono essere poste in atto. Il grande cambiamento è che i dubbi sulla situazione sono stati eliminati, le cose sono ormai chiare, e il Primo Ministro non può essere ostacolato nelle sue azioni. Questa chiarezza è un indubbio vantaggio nel contesto attuale, che si traduce in un miglioramento della percezione da parte del mondo degli affari e dei consumatori. Il Regno Unito ha appena pubblicato le sue ultime statistiche sulla disoccupazione: il 3,8%, che è circa la metà di quello che abbiamo nella zona euro. Il tasso di occupazione si attesta al 76,3%, che è il più alto di tutti i tempi per il Paese. Per il momento, gli indicatori stanno gradualmente tornando in positivo, dopo un anno difficile come il 2019.

Per quanto riguarda l’avvenire, tutto dipenderà dalla capacità di Boris Johnson di mantenere le sue promesse. Il suo governo vuole compiere massicci investimenti, sia nel sistema sanitario (NHS), sia attraverso opere infrastrutturali nel nord dell’Inghilterra. L’obiettivo è quello di riequilibrare l’economia del Paese e rompere l’attuale tendenza di un paese a due velocità, diviso fra Londra e la “provincia”Si tratta anche di consolidare la nuova base politica sottratta ai laburisti alle ultime elezioni, in “zone rosse” che da quasi 80 anni non votavano Conservatore.

Boris Johnson vuole anche sostenere il settore della ricerca e della robotica, e quindi “sfruttare” la Brexit per una trasformazione duratura dell’economia del Paese. In questa prospettiva, dovrebbe logicamente poter contare sul pragmatismo della Banca d’Inghilterra, il cui nuovo presidente è stato appena nominato. Se tutte le le leve economiche vengono utilizzate per sostenere l’economia, allora Boris Johnson può riuscire nella sua scommessa della Brexit. I veri rischi sono più di tipo politico, e riguardano la capacità di Boris Johnson di radunare il suo partito attorno a un tale pacchetto di misure di intervento nell’economia — in senso opposto alla dottrina Thatcher–, di negoziare adeguatamente il futuro commerciale dell’Unione Europea (le difficoltà economiche europee potrebbero spingere Berlino e Parigi a essere più concilianti), e di ottenere un buon accordo con gli Stati Uniti.

Ma molti studi prevedono una contrazione del potere d’acquisto delle famiglie britanniche — e quindi un indebolimento del mercato interno. Di quali vantaggi potranno usufruire le aziende britanniche per compensare questa situazione?

Il rischio “Brexit” riguardava principalmente la questione del commercio con l’Unione Europea. E’ vero, il mercato britannico è fortemente dipendente dalle esportazioni verso l’UE, ma mi sembra che la questione delle eccedenze sia stata troppo spesso ignorata. La zona euro, con la Germania in testa (anche la Francia), ha un grande surplus commerciale con il Regno Unito, che è un cliente chiave per il continente. In una simile configurazione, e considerando che la Germania è in un periodo di stagnazione (crescita dello 0,5% nel 2019 secondo il FMI), sarebbe pericoloso per Bruxelles tagliarsi fuori in modo radicale dal mercato del Regno Unito, a meno che non voglia “punire” Londra. Emmanuel Macron e Angela Merkel hanno un interesse personale a garantire che le trattative vadano bene, se non vogliono compromettere le possibilità di crescita interna dei loro paesi.

Le imprese britanniche dovrebbero poter contare su un sostegno alla domanda interna nel Regno Unito, sia di tipo fiscale sia monetario. La prossima decisione della Banca d’Inghilterra è prevista per il 30 gennaio e sarà importante a questo proposito. Ovviamente, ci sarà una flessione come risultato del distacco dalla UE, e l’intera questione per il governo è di sostenere i settori innovativi per aiutarli a compensare questi costi. Il resto dipenderà dalla capacità delle autorità inglesi di condurre una politica macroeconomica oculata, e su questo punto i precedenti per il Regno Unito sono favorevoli.

Ironia della sorte, si può ritenere che il rischio principale per le prospettive di crescita del Regno Unito sia…l’incapacità dell’area dell’euro, per il momento, di uscire dalla stagnazione. Il permanere di una domanda asfittica in Europa è un problema anche per gli inglesi.

I dati del FMI evidenziano anche quanto lenta sarà la ripresa della crescita in Europa…

Sì. Lo scenario tanto temuto dagli europei, quello di una Brexit che si rivolge a vantaggio del Regno Unito, è ormai probabile. Ma al di là di questa sfida economica tra Londra e Bruxelles, è la posizione di Boris Johnson che può avere un impatto in Europa. Il Primo Ministro britannico, con la sua nuova maggioranza, e senza la UE, si trova nella posizione di agire su tutte le leve economiche. Questa sua libertà politica, se si concretizzerà in risultati economici e di pacificazione sociale, potrebbe avere un effetto sugli altri leader europei. È probabile che Emmanuel Macron si troverà ad invidiare Boris Johnson.

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