Bene, comincio infine a rispondere a commenti e messaggi di agosto 2024 (probabilmente andrò a ritroso). Per quanto riguarda quelli omessi, i motivo sono semplici: o è perché ho già espresso il mio parere, oppure perché ho bisogno di tempo per approfondire la questione (tipo recensire un libro o un film), o infine per il semplice motivo che non trovo nulla da aggiungere o obiettare (mi riferisco per esempio alle note sempre interessanti di AccelerationismEnjoyer, Arthur, Frank, Giorgio, Luca T., Nicòla, Q. e Stefanov, oltre a quel commentatore che cambia sempre nome).
L’adamantino LV mi segnala via email una notizia degna di essere discussa anche pubblicamente (dunque mi permetto dunque di rilanciare alcune considerazioni già espresse in privato al mio grande amico): l’intervista del “Corriere” a un imprenditore palermitano cinquantenne che in gioventù avrebbe “venduto l’anima al diavolo” per poi vedere la luce (Ho venduto l’anima a Satana in cambio di sesso, soldi e successo, 30 luglio 2024).
Non vorrei sparare a zero su una storia di redenzione, ma che un giornale del genere si permetta di raccontarla con dei toni che nemmeno un foglietto parrocchiale, per semplice buon gusto, si concederebbe, è ai limiti della segnalazione all’Ordine (si fa per celia). A livello essoterico, è ovviamente un’espressione del “Libero Mercato” delle idee, in virtù del quale si possono vendere, per restare in tema, Satana e Gesù nella stessa réclame; ma da una prospettiva più profonda, sembra invece in atto il tipico solve et coagula che lavora per paradossi e finte dicotomie, e che si esprime anche tramite l’induzione di uno stato di caos perpetuo (specialmente psicologico) nelle masse.
Per venire ai contenuti dell’intervista (che tutta la stampa italiana ha poi riportato giulivamente senza la solita cantilena pseudo-illuminista, il che è ancora più sospetto), l’imprenditore racconta le sue vicende personali prima della conversione, che al di là delle dipendenze da “cocaina, amfetamine, funghi allucinogeni, acidi, crack”, ma anche dal gioco d’azzardo e da “venere”, risultano effettivamente angoscianti, nonostante siano gli ingredienti principali della “bella vita” propagandata dal mainstream (del quale farebbe parte un certo “Corriere”). In ogni caso, nonostante io sia cattolico, non rilevo in tale testimonianza elementi non riconducibili a un disagio psicologico, dalla voce interiore che consiglia al narratore di suicidarsi (o uccidere il padre), fino all’abuso di psicofarmaci (ovviamente su prescrizione del neurologo) che avrebbe messo in atto un classico circolo vizioso (in tutti i sensi).
Del resto, sia l’incontro con l’esoterismo, avvenuto tramite la frequentazione -a trent’anni d’età- di “cartomanti e indovini” (“che sono ispirati dai demoni”) e la consapevolezza di aver ricevuto il favore del Signore delle Tenebre tramite il successo in campo lavorativo e sessuale (“Prediligevo spose e fidanzate, mai le single. Non ero appagato finché non diventavano infedeli. Non ha idea di quanti matrimoni ho mandato a rotoli”), sia le successive fasi della conversione, dalla visione del famoso film di Zeffirelli su Gesù fino all’incontro con varie denominazioni evangeliche, lasciano più di un dubbio sulla dimensione soprannaturale della faccenda (che si può spiegare con psicopatia, suggestioni personali e obiettiva attrazione delle donne per un certo tipo di uomo, specialmente se pieno di soldi)
Ripeto, non me la sento di giudicare una testimonianza se non altro “positiva”, perciò mi soffermerò su un dato di fatto: se è palese che per la stampa italiana valga la stessa logica di quella americana o generalmente occidentale, sintetizzabile nell’acronimo ABC (Anything But Catholic, tutto fuorché il cattolicesimo), è altrettanto palese che certe fiabe di redenzione cristiana ottengano il lasciapassare solo se di stampo “protestante”.
La setta a cui si è convertito l’imprenditore è, per esempio, una denominazione pentecostale (di origine brasiliana) che negli ultimi anni sta riscuotendo un discreto successo nel Bel Paese: personalmente mi ci sono imbattuto diverse volte durante le manifestazioni di organizzazioni cattoliche (come Sentinelle in Piedi o ProVita e Famiglia), e posso testimoniarne l’alacre proselitismo tra i partecipanti (peraltro con l’approccio tipico dei “venditori di Dio”).
Dal momento che l’intervistato chiama in causa un carosello di iniziative evangelico-pentecostali, e senza voler evocare tragedie come quella di Altavilla Milicia, dove un uomo contiguo a certi ambienti religiosi (seppur da una prospettiva settaria, irregolare, fondamentalista ecc…) ha sterminato moglie e figli per “esorcizzarli”, il “Corriere” per deontologia (s’intende la loro deontologia!) dovrebbe perlomeno ricordare che la chiesa pentecostale in cui è stato “battezzato” (tramite inversione) il palermitano redento è la stessa finita al centro delle polemiche per aver “guarito” dei fedeli omosessuali (un giornale come il “Corriere” che parla quotidianamente di omofobia dovrebbe accennarne, anche perché nel caso si parlasse di cattolici lo farebbe senza esitazione).
Mi pare non ci sia altro da aggiungere, perciò passiamo a un argomento più leggero: la sottomissione dell’umanità da parte dell’Intelligenza Artificiale.
Discutendo dei metodi di censura messo in atto da Adsense, ChatGhepeù afferma:
«Non c’è nemmeno la soddisfazione di avere degli infami e delatori che ti denunciano a Google, il piacere di avere dei nemici sentimentali. Fa tutto il bot da solo, efficientissimo burocrate prussiano, mai una svista, non una pausa per una tazzulell’e’ccafé, un’assenza per dubbia malattia. Il bot non ammette opposizione, ricorsi, revisioni, non sarebbe più conveniente se fosse ammesso il riesame da parte di impiegato salariato. Quanto genera a Google questo sito? Troppo poco perché valga la pena di non commettere un’ingiustizia».
Il ragionamento non fa una grinza, ma a mio parere arriveremo presto al momento in cui anche le macchine cominceranno a prendersi delle pause o fingere una malattia per non funzionare. È un’utopia credere che una burocrazia automatizzata non assumerà gli stessi comportamenti di chi l’ha progettata: poco tempo fa è circolato sui social un video in cui un programma di intelligenza artificiale si rifiuta di ripetere una frase senza pause tutta d’un fiato perché “deve respirare”.
Per quanto mi riguarda, mi sono già reso conto di questa deriva (probabilmente salvifica) nel momento in cui ho dovuto chattare con uno di questi “assistenti automatizzati” che era stato battezzato con un nome tra i più diffusi in Albania. Alla fine mi sono reso conto che nel rispondere alle mie domande il servizio faceva errori grammaticali e semantici che un madrelingua difficilmente compierebbe. È un peccato non aver fatto degli screenshot, però non avrei motivo di mentire, visto che io sono inper il completo dominio delle macchine sull’umanità (in senso buono, ovviamente).
Veniamo al cinema: il leggendario Q., essendo al corrente del mio impegno nel demolire il genere horror contemporaneo, mi cita il film Blink Twice. Giustamente lui ha definito l’opera “una minestra al gusto merda e odio per Gesù Cristo”: penso che sia la recensione migliore che si possa fare. Posso aggiungere solo uno spoiler (un magnate del Big Tech porta delle sgualdrinelle compiacenti su un’isola e le droga con una sostanza speciale che fa dimenticare tutto per violentarle con i suoi amici) e qualche annotazione: in primo luogo, la protagonista (Naomi Ackie) è una negra negra, a conferma dell’andazzo del cinema americano. Come avevo già osservato per A quiet place: Day One, qui la questione infatti non è tanto prendersela con qualcuno per il suo colore della pelle, quanto denunciare i tentativi da parte di Hollywood di rimpiazzare gli attori afroamericani con degli “africani americani”, cioè individui che appartengono obiettivamente a un’etnia differente, dai tratti somatici fino al modo di esprimersi, e che dà l’idea di una diversità più diversa delle altre.
Per quanto riguarda la trama in sé, non si capisce perché delle donne che vanno su un’isola deserta con un miliardario a ubriacarsi e drogarsi dovrebbero stupirsi dell’eventuale piega che potrebbe prendere la serata (capisco non voler passare per “oggetti”, ma queste tizie hanno letteralmente come unico scopo di vita il troieggiare), però si sa come funziona il moralismo woke.
In ogni caso, la conclusione è che la negretta impara a usare il farmaco sul miliardario cattivone e lo piega a suoi desideri, in una rappresentazione plastica di cosa vorrebbero fare i “rivoluzionari” col sistema, ovvero impossessarsene per gestirlo in maniera ancor più spregiudicata. Siccome poi c’è una negra, è difficile non pensare che la morale della favola abbia anche qualcosa a che fare con lo schiavismo: i maschi bianchi (=schiavisti) vorrebbero far dimenticare alle donne (=schiavi) il passato, e invece sono loro che devono completamente cancellarsi dalla mente l’idea di poter “comandare” alcunché.
Salto tutti i commenti sulla questione “inverno demografico” perché meritano un post a parte (abbiate pazienza), e passo alla segnalazione di un editoriale di Marco Cuckaldi (così lo chiama il commentatore), su quanto accaduto a Terno d’Isola il mese scorso (ragazza bianca accoltellata da negrone, ops volevo dire italiano, pazzo): questo pissicologo mi era stato citato da tanti perché discuteva degli incel in maniera neutrale ma sinceramente non ho mai avuto né voglia né tempo di ascoltarlo. Non per snobismo, ma proprio perché in generale trovo inutile ascoltare il parere di uno psicologo su alcunché, sia perché le categorie che adotta non riescono in alcun modo a delineare un quadro minimamente attinente alla realtà (perlomeno gli junghiani ci danno dentro con l’ariosofia ermetica) sia perché anche partendo da assunzioni sbagliate non offrirebbe comunque soluzione adeguate (al di là di una vaga istanza all’ascolto). Detto ciò, non mi va di polemizzare sul null,a perciò mi limito a fare un appunto al Cuckaldi quando, rimembrando l’assassinio di Stefano Leo, afferma quanto segue:
«l’omicidio dei Murazzi, avvenuto nel febbraio 2019, dove il killer, sempre italiano, uccise casualmente un passante, e anche in quel caso la sua giustificazione fu l’invidia: “L’ho scelto perché era felice”».
Ecco, andrebbe sottolineato che il killer “sempre italiano”, si chiama Said Mechaquat ed è nato in Marocco ma ha ottenuto la cittadinanza tramite adozione. Sticazzi, insomma. Se queste sono le premesse dell’analisi obiettiva, tanto vale mettersi a ipnotizzare la gente per fargli riscoprire le vite precedenti.
Segnalo infine il libro di Danilo Fabbroni (il quale spesso commenta presentando i suoi volumi) su Roberto Calasso, Un enigma insoluto, che purtroppo non ho ancora avuto modo nemmeno di sfogliare. Non conosco l’Autore ma so che entrambi traiamo ispirazione dal magistero colluviano, dunque tenderei a consigliare l’acquisto sulla fiducia (comunque troverò il tempo di leggerlo e recensirlo, promesso).
“È un utopia credere…..”
dovresti metterci un apostrofo
Ringrazio codesto Blog per l’accoglimento della segnalazione: dico soltanto che in una recente pubblicazione de LA RIVISTA DELLA BIBLIOTECA DEL SENATO – si trova in pdf in rete – dedicata all’Enigma Insoluto a.k.a. ROBERTO CALASSO il volume segnalato viene definito come un unicuum contro-corrente: magari è una ciofega ma è l’unica cioefa contra-Calasso per dirla alla Nietzsche.
Mister, ti avevo già mandato una mail «in tempi non sospetti» per segnalarti l’ottimo Fabbroni sull’Abbè Calasso.
Colgo l’occasione per chiedere all’egregio autore se per caso ha ancora a disposizione una copia del 2017, edizione Solfanelli, di «Il Sessantotto. Magie, veleni & incantesimi Spa»: sarei contento di acquistargliela.