“Anche le donne sanno guidare”. La Formula 1 si converte alla diversità e all’inclusione: finalmente ora comincerà a diventare interessante

La Formula 1 ha approvato una “carta per la diversità e l’inclusione” ispirata a un rapporto commissionato da un’organizzazione che fa capo dal campione Lewis Hamilton, distintosi in questi anni anche per la sua militanza a favore di Black Lives Matter.

Il Presidente di Formula 1, l’italiano Stefano Domenicali, definendo il nuovo regolamento sulla diversità una “pietra miliare”, è riuscito a sostenere nella stessa dichiarazione che il settore è “rinomato per le sue prestazioni d’élite“, ma che l’unico modo per mantenere e migliorare tali standard sarà quello di “accogliere la diversità di pensiero, idee ed esperienze“. Inoltre Domenicali ha affermato che la Formula 1 è una disciplina è “fortemente competitiva e sempre alla ricerca dei migliori talenti”, identificando nella “carta” patrocinata dalla Commissione Hamilton una garanzia di miglioramento.

Forse non è molto chiaro al boss che “diversità e inclusione” non riguardano il “pensiero”, le “idee” e le “esperienze”, quanto l’etnia, i gusti sessuali e la culture (non riesco a tradurre “cultura” quel che intendono gli inclusologi).

L’idea che talune “minoranze” siano escluse dalla Formula Uno per razzismo o maschilismo è tanto risibile quanto l’illusione che finora non abbiano ancora gareggiato transessuali somali, maranza belgi o disabili saudite solo per una sorda di “cordone sanitario” (o “soffitto di cristallo”, come piace dire a costoro) imposto da una masnada di maschi bianchi etero europei ecc…

Peraltro negli Stati Uniti (Paese all’avanguardia in queste trovate) si è già sperimentata la diversità nella NASCAR, e come primo e -forse unico- risultato ha prodotto nel 2020 un finto scandalo a sfondo razzista, di cui si è parlato per settimane, in cui un pilota afro-americano assunto proprio in base alle “quote”, ha confuso la corda del portone di un garage con un cappio messo lì da qualche nostalgico del Ku Klux Klan (è dovuta intervenire l’FBI per accertarlo).

Dunque probabilmente ne vedremo delle belle. Del resto, anche in Europa e in Italia la diversità ha già dato delle soddisfazioni: ricordiamo il colossale capitombolo del primo Tour de France al femminile, quanto alla quinta tappa le cicliste si sono accartocciate su se stesse producendo la più grande montagna di biciclette mai registrata in una gara professionistica (commento di Euronews: “Tutte giù per terra!”),

oppure l’incidente al Salone dell’Auto di Torino del settembre scorso, provocato da una signora “grande appassionata di auto” che prima di mettersi alla guida di una Lancia 037 e piombare sugli spettatori aveva rilasciato questo proclama intriso per l’appunto di diversity: “Dedicato a tutte le donne. Mi ci è voluto molto tempo per trovare la mia voce. E ora che ce l’ho non rimarrò in silenzio. Anche le donne sanno guidare“.


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2 thoughts on ““Anche le donne sanno guidare”. La Formula 1 si converte alla diversità e all’inclusione: finalmente ora comincerà a diventare interessante

  1. Il punto è che lo sport al femminile non interessa, anche quando si tratta di sport praticati quasi esclusivamente da donne (tipo il nuoto sincronizzato). Qualcuno dirà che è colpa del patriarcato. Per me dipende dal fatto che lo sport è nato come sublimazione della guerra, e la guerra, si sa, la combattono soprattutto gli uomini.

  2. Alcune voci dicono ché Lewis Hamilton sia omosessuale non dichiarato.
    In ogni caso la formula 1 è già in crisi di spettatori.

    Poco importa che a guidare ci sia un uomo oppure una donna.

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