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Forse il vero femminicidio sono gli amici che ci siamo fatti lungo il cammino

Nelle ultime ore il sistema ha macabramente auspicato una “doppietta” facendo rimbalzare su tutti i media italiani la notizia che in Veneto si sarebbe verificato un nuovo “femminicidio”: una donna di 27 anni, madre di un bambino di 4 anni e incinta da tre mesi di un altro figlio, è stata barbaramente massacra a colpi di coltellate e martellate da qualcuno che ha sfondato la porta di casa per aggredirla.

Nei frangenti successivi al lancio della notizia, quando è emerso che l’assassino era un quarantenne kosovaro con cui la vittima aveva intrecciato una relazione da circa un anno (ma che poi aveva denunciato assieme al suo vecchio compagno), il fattaccio è irrimediabilmente scivolato nelle ultime pagine: da femminicidio a triste, ma trascurabile, episodio di cronaca nera.

Non sarebbe lecito trarre eccessive conclusioni da questa orribile storia: tuttavia, dato che il sistema ci ha allevato a bispensiero, generalizzazioni artefatte e vittimizzazioni a fasi alterne, è giusto spendere due parole sull’abominevole “bolla” sorta attorno al concetto di “femminicidio”.

Prima di tutto, più si va avanti con l’isterismo su fatti di cronaca totalmente slegati da loro, più si comprende quanto la definizione stessa di “femminicidio” non abbia alcuna base giuridica e a quanto pare neppure teoretica, ma prettamente mediatico-politica. “Femminicidio” è tutto quello che il sistema definisce tale: se il carnefice appartiene a qualche immaginaria “categoria protetta” scatta il non legitur.

Dunque per il femminicida kosovaro si impone immediatamente il più generoso dei garantismi: gli stessi che avevano crocifisso Salvini per un “se” nei confronti del femminicida italiano, ora parlano di “presunto colpevole” nel momento stesso in cui i carabinieri gli stanno sfondando la porta di casa per arrestarlo.

In effetti di fronte al susseguirsi degli eventi la domanda deve esser sorta spontanea nel petto dei padroni della voce: e adesso, che si fa? Si sminuisce l’emergenza femminicidio per non suscitare sentimenti negativi nei confronti della popolazione immigrata (in ossequio allo schema di responsabilità collettiva da essi stessi creato); si colpevolizza la vittima magari perché è fedifraga e “un po’ se l’è cercata” (invero stupisce la subitanea abbondanza di particolari sulle liaison private della donna); oppure -ipotesi la più remota- si mantiene un briciolo di coerenza utilizzando gli stessi toni solitamente riservati al femminicida italiano, settentrionale, appartenente alla classe media?

Il cervello dei “personaggi non giocanti” esplode, ma proprio il loro delirio impone di ragionare a palle ferme: in Italia i femminicidi quest’anno non sono stati CENTO come dicono, ma quarantadue, dei quali circa una ventina compiuti da immigrati e tutti gli altri da meridionali. L’unico “omicidio di una donna in quanto” di cui si è potuto parlare per settimane è in effetti accaduto in Veneto ad opera dell’unico maschio che nell’elenco svolge il ruolo della mosca bianca.

Sono del resto associazioni femministe come Non Una Di Meno ad aver appena aggiunto ai dogmi del politicamente corretto l’antimeridionalismo, lasciando a intendere che dei “femminicidi” occorsi in Campania o in Sicilia non bisogna discutere, nonostante sarebbero solo questi a poter esser eventualmente ricondotti a una presunta “cultura patriarcale” (se siete terroni fate finta di non aver letto perché siete troppo sottosviluppati per comprendere che non sto propinando i paradigmi del mainstream, come dimostrano i commenti a un mio post precedente sull’argomento).

Ecco perciò che il femminicidio compiuto dal kosovaro diventa un “omicidio di provincia”. L’atteggiamento dei mass media è talmente ridicolo che si può lasciare ai social il compito di far esplodere una bolla con un’altra bolla (così si può riassumere il poco edificante affaire #Radiosboro).

Passiamo invece a qualche considerazione più profonda. Io odio parlare delle vicende di cronaca a cadavere caldo perché è sempre un oltraggio ai parenti della vittima e alla vittima stessa; eppure in tal caso l’angoscia e la tristezza che tale vicenda mi comunica è difficile da reprimere.

Penso a come una madre di famiglia, onesta lavoratrice (faceva la commessa in un discount e così ha conosciuto il suo assassino, l’imbianchino kosovaro che nelle pause pranzo andava a comprarsi tramezzini preconfezionati), la quale in passato aveva fatto pure la catechista, abbia potuto invaghirsi di uno straniero con palesi problemi comportamentali che Repubblica (a pagina 15) descrive come “ombroso, silenzioso, sguardo da pugile” (sic).

Dopo mesi di incontri, la vittima era tornata col precedente compagno al quale aveva dovuto rivelare i dettagli della relazione clandestina perché il kosovaro minacciava di pubblicare i video dei loro convegni intimi sui social: il pover’uomo, invece di ripudiare la compagna (ma in Italia, o in Veneto, non vigeva il patriarcato?), l’aveva aiutata a sporgere denuncia e affidarsi alle forze dell’ordine per impedire allo stalker (altra definizione mediatica che a livello penale non produce alcuna conseguenza) di perseguitare la donna. È finita nel peggiore dei modi possibili.

A livello politico, le possibili reazioni si riducono a un paio: posto che il “femminicidio” è un’emergenza immaginaria come qualsiasi persona dotata di un minimo di criterio può capire, dal momento che il “governo più a destra dell’intera storia repubblicana” ha deciso di sposare in toto la “narrazione” (come si dice oggi) pseudo-femminista del campo avversario, a questo punto Meloni & co. dovrebbero “cavalcare la tigre” e strumentalizzare l’ennesimo omicidio di un* italian* compiuto da un immigrato come un espediente per espellere almeno qualche criminale straniero.

Invece i cialtroni destrorsi finiti al potere (non si sa nemmeno come), si riveleranno persino incapaci di segnare un gol a porta vuota, consegnando ancora una volta ai sinistri la conseguente “superiorità morale”: il femminicidio esiste, perché quaranta omicidi su una popolazione di sessanta milioni è un dato che DEVE causare allarmismo, e se a uccidere è uno straniero allora la colpa è comunque del maschio bianco italico, che in tal caso con la sua stessa presenza deve aver evidentemente impedito alla compagna di “fare esperienze” prima di accasarsi e figliare, imposizione che l’ha portata a tradirlo con un imbianchino kosovaro e poi suscitare l’inevitabile reazione del povero minorato etnico proveniente da un contesto sottosviluppato.

Finirà così, anzi è già finita. Per continuare il Kulturkampf non avranno ritegno, né coerenza o dignità. E tutti noi scenderemo nel gorgo muti, oltre che mazziati e cornuti.

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