Era ormai da un paio d’anni che Samuel Paty, docente di storia presso il Collège (l’equivalente della nostra “scuola media”, con un anno in più) di Conflans-Sainte-Honorine (Yvelines), durante le lezioni di educazione civica mostrava le famigerate vignette di Charlie Hebdo contro Maometto, chiedendo ogni volta agli alunni che temevano di sentirsi a disagio al cospetto di quelle immagini di lasciare l’aula o “chiudere gli occhi”.
Nella Francia del nuovo millennio tutto ciò non poteva durare a lungo. Infatti i guai sono puntualmente arrivati quando un certo Brahim Chnina, che si è spacciato come padre di un’alunna di Paty (quando invece la figlia, pur frequentando l’istituto, non aveva mai assistito alle lezioni del professore) ha cominciato a sollevare un polverone sui social, invitando i genitori di fede musulmana a chiedere l’immediata espulsione dell’insegnante “razzista e blasfemo”.
Nonostante il dirigente si sia mostrato, come prevedibile, piuttosto conciliante nei confronti del genitore, coinvolgendo addirittura il provveditorato e i servizi segreti (!), nonché chiedendo al professore di riconoscere di essersi comportato in modo inopportuno, a Chnina tutto ciò non è bastato. Ecco perché, dopo essersi rifiutato anche solo di incontrare il professore, il papà musulmano ha deciso di organizzare una manifestazione davanti alla scuola facendosi accompagnare da un certo Abdelhakim Sefrioui, imam inserito dall’intelligence nella famigerata categoria “S” (quella dei terroristi potenziali).
Dopo solo qualche giorno dalla protesta improvvisata, un diciottenne di origine cecena, Abdullah Abujezidvič Anzorov, già noto alle forze dell’ordine per reati minori (faceva quasi certamente parte di una di quelle gang che queste estate hanno animato le cronache transalpine per gli scontri con bande magrebine a Digione e dintorni) ha deciso di aspettare Samuel Paty all’uscita di scuola e (sempre secondo le dichiarazioni del capo dell’antiterrorismo Jean-François Ricard) dopo essersi fatto indicare l’insegnante da alcuni studenti, lo ha decapitato, postando le immagini della testa mozzata sul suo profilo Twitter.
Le forze dell’ordine hanno neutralizzato Anzorov a non molta distanza dal luogo del delitto, dopo che questi aveva cercato prima di aggredirli con una pistola a pallini e poi di accoltellarli una volta caduto a terra (l’esitazione ad abbatterlo è forse dovuta al timore che il ceceno indossasse un giubbotto esplosivo).
#ConflansSainteHonorine, alors qu’un terroriste vient de décapiter un professeur d’école, les policiers seront encore une fois les derniers rempart entre notre #Republique et ces monstres assoiffés de vengeance. #Eragny #attentat #Libertedexpression #JeSuisCharlie pic.twitter.com/UMsaKKxh9n
— Matricule007 (@DeltaMike59) October 16, 2020
La polizia francese ha in seguito fermato una decina di persone, fra le quali alcune provenienti dalla cerchia familiare dell’aggressore (i suoi genitori, il nonno, il fratello diciassettenne), nonché lo stesso Brahim Chnina (la cui sorellastra peraltro è ancora ricercata per essersi unita all’Isis in Siria nel 2014) assieme all’imam Sefrioui (che aveva pure lanciato una fatwa contro il professore). Agli inquirenti ora preme comprendere se tra gli indiziati vi siano stati contatti diretti o meno, oppure se il rifugiato ceceno di Évreux (in Normandia) che, ricordiamolo, ha percorso quasi una novantina di chilometri per compiere il suo attentato nell’Île-de-France, sia da considerare alla stregua dei molti altri “lupi solitari” che in questi anni hanno insanguinato la provincia francese.
Le origini dell’attentatore non sono un dato secondario, anzi rappresentano motivo di apprensione non solo per l’intelligence ma per tutto il sistema francese. Da una parte è finita sotto i riflettori mediatici la facilità con cui molti immigrati caucasici riescano a ottenere lo status di rifugiato: lo stesso Abdullah Anzorov, dopo una lunga trafila segnata dal sospetto di radicalizzazione della sua famiglia (presente in Francia dal 2008) e dalla sua stessa condotta decisamente poco esemplare, il 4 marzo 2020 era comunque riuscito a ottenere, seppur in virtù di un automatismo legislativo che scatta con il raggiungimento della maggior età, un permesso di soggiorno valido dieci anni.
Dall’altra tuttavia rischia di emergere il reale motivo per cui gli appartenenti a tale comunità godano di “corsie preferenziali”: al di là di effettivi casi di persecuzione per dissidenza o militanza, non è un segreto che le ragioni per cui la Francia abbia deciso di intitolarsi la diaspora caucasica europea siano perlopiù geopolitiche. È noto che tradizionalmente Parigi si considera “protettrice” delle minoranze presenti nel vasto spazio tra Europa e Asia; inoltre con il “nuovo corso” del conservatorismo repubblicano molti intellettuali hanno fatto della “santa causa cecena” una sorta di feticcio antiputiniano (ricordiamo le ricorrenti prese di posizione di André Glucksmann).
Ora, questa politica di “machiavellismo umanitario”, se così possiamo definirla, ha portato alla creazione di nuove sacche etnico-religiose nei ghetti già martirizzati dall’inarrestabile flusso di immigrati di fede musulmana. Solo negli ultimi anni dalla comunità cecena sono appunto usciti, oltre ad Anzorov, il ventenne Khamzat Azimov, che nel maggio 2018 nel quartiere dell’Opera di Parigi ha attaccato alla cieca i passanti, e uno studente liceale diciassettenne che nell’aprile 2019 aveva pianificato un attacco terroristico con altri tre fondamentalisti.
Non ultimo, la guerriglia urbana, a cui abbiamo accennato, scoppiata a Digione il giugno scorso tra bande cecene e magrebine. Secondo l’inchiesta del Nouvel Observateur, tra i follower del profilo Twitter di Anzorov (dal quale ha postato la foto della testa mozzata dell’insegnata accompagnata da una rivendicazione contro Macron) c’erano diversi protagonisti degli scontri a suon di molotov e kalashnikov che hanno messo a ferro e fuoco per giorni il capoluogo della Borgogna.
Infine, una parola sul senso generale di decadimento e lassismo che sembra pervadere le istituzioni transalpine, a cominciare da quelle scolastiche, che come reazione alle proteste non hanno potuto far altro che mettere sotto accusa il professore, di fronte anche allo sconvolgimento demografico e sociale che ha colpito in particolare gli istituti di periferia negli ultimi vent’anni. Che aggiungere, poi, riguardo all’intelligence francese, la quale inanella un fallimento dopo l’altro, naturalmente non solo a causa della sua inefficienza; e il mondo della politica, che moltiplica istanze e grida in una liturgia che ha definitivamente annoiato la società civile.
La cosiddetta “società civile”, verrebbe da dire, poiché la sua reazione è stata a dir poco sottotono: se Charlie Hebdo non si fosse intestato la “testa del corteo” viene maliziosamente da pensare che molte associazioni avrebbero disertato le manifestazioni con la scusa del covid. A questo punto è palese che una parte sempre più consistente di tale “società civile” non veda l’ora di alzare bandiera bianca e archiviare per sempre lo “spirito repubblicano” in nome di questa nouvelle normalité.
Dar tempo de de Gaulle il paese era infiltrato dal kgb, la Francia odierna importa comunisti sotto le spoglie islamiche ricordandoci l’impura alleanza