Gentiloni, ce n’est qu’un début… de la fin

Quando Gentiloni si firmava con falce e martello (Ansa)

Paolo Gentiloni Silverj, nella prima conferenza stampa del 29 dicembre, ha voluto citare uno storico slogan sessantottino, Ce n’est qu’un début, continuons le combat (“È solo l’inizio, continuiamo la lotta”), per rivendicare la continuità del suo governo con il “riformismo” renziano (che è solo un’altra declinazione di quello montiano, a sua volta generato dalla letterina della Bce del 2011, che a sua volta ecc..).

Da questo vezzo già possiamo rilevare due elementi costitutivi della forma mentis geniloniana-silverjana: il primo è la rivendicazione diretta del “sessanottismo”, nonostante la redenzione democristiana della maturità, come metodo di governo; il secondo, all’apparenza trascurabile, è la percezione della francofonia come lingua elettiva dell’europeismo.

Della filiazione del sessantottismo di alcuni dei protagonisti dell’attuale stagione politica abbiamo appena discusso; possiamo aggiungere che, col senno di poi, quella fase di “praticantato” ha generato la famigerata invasión vertical de los bárbaros di cui parlava Ortega y Gasset. I “barbari verticali” stanno facendo razzia dei diritti e delle conquiste sociali degli italiani effettivamente in nome della “fantasia al potere”.

Cade a proposito una citazione del giornalista de “Il Sole 24 Ore” Fabrizio Galimberti, che in un libretto del 2001 allegato al quotidiano (Euro: come e perché) scrisse che «l’Europa ha realizzato il sogno sessantottino dell’imagination au pouvoir. L’immaginazione al potere ha reso reale il sogno della moneta unica» (p. 30). Dieci anni dopo, lo stesso avrebbe confermato la sua opinione, in un articolo del quale consigliamo la lettura solo ai meno impressionabili: Perché facciamo il tifo per la Grecia nell’euro (“Il Sole 24 Ore”, 27 maggio 2012).

Ora, la fantasia non è sempre una cosa positiva: negli schizofrenici, per esempio, essa si impone sulle facoltà razionali e li porta a confondere la realtà con i propri ghiribizzi, in una terrificante escalation di allucinazioni percettive. Ciò può forse spiegare perché negli ultimi anni alla parola “Europa” hanno corrisposto entusiasmi, deliri e contorsioni mentali che un giorno sarà interesse e dell’antropologia, e –appunto– della psichiatria, analizzare.

La destra se non altro aveva l’alibi del romanticismo politico e della mitologia regressiva per esaltare l’europeismo come valore in sé, mentre la “sinistra” ha voluto prendere in prestito il linguaggio degli avversari senza averne la stoffa. L’impegno per un “sogno” è un modo come un altro per disimpegnarsi, conservando però il vantaggio di occupare una posizione di dominio irresponsabilmente, senza alcuna coerenza (neppure quella ideologica).

Venendo al secondo punto, potrebbe essere interessante approfondirlo se l’Unione non mostrasse preoccupanti segni di cedimento, che sostanzialmente rendono qualsiasi discorso su di essa una perdita di tempo.

Diciamo giusto due parole: un’impressione che ho avuto dagli ultimi quattro governi, quelli più genuinamente “europeisti” in quanto poco sensibili al rispetto della democrazia e dei diritti, è che esista una sorta di alternanza tra filo-tedeschi e filo-francesi. Oppure, per dirla meglio, che tra i vari vassalli quelli con una cultura politica più sviluppata (come Letta e Gentiloni, nonostante l’inconsistenza) guardano naturalmente a Parigi, mentre chi proviene dalla tecnocrazia (Monti) o semplicemente non ha alcuna competenza (Renzi) si trova altrettanto naturalmente subalterno al potere economicamente più forte (Berlino).

Non c’è bisogno di essere teorici del complotto per intuire questa cosa: bastano le storie personali dei soggetti, anche se tra i due quello che può vantare più meriti è sicuramente l’ineffabile Enrico Letta, il quale insegna a Sciences-Po e ha pure la Legion d’onore (altro che Pauvre Belgique!).

Gentiloni invece per ora si è limitato, nelle vesti di Ministro degli esteri, a cedere acque territoriali ai francesi (cfr. “Il Secolo XIX”, “Il Fatto Quotidiano”, “Ansa” e “Repubblica”); tuttavia il suo arrivo al governo promette l’acquisizione di nuovi crediti almeno dal punto di vista politico, se è bastata la sua presenza per sbloccare, come a un segnale convenuto, una serie di iniziative finanziarie italo-francesi (la cessione ad Amundi di Unicredit Pioneer, che gestisce i risparmi di milioni di italiani; la scalata di Mediaset da parte di Vivendi; la fusione Luxottica-Essilor).

È ipotizzabile l’esistenza di una linea “flessibile” (rappresentata ora da Moscovici e Juncker) e una “austera” (i numerosissimi tedeschi ai vertici delle istituzioni europee); lo si è visto anche in concomitanza con l’ennesima crisi greca, nella quale i socialisti, per far rientrare coi crediti le banche francesi, col loro tentativo di mediazione hanno finito per schiacciare Tsipras (probabilmente più insipiente che connivente). Assomiglierebbe, tale dicotomia, alla tecnica del “poliziotto buono e poliziotto cattivo”, se francesi e tedeschi stessero effettivamente dalla stessa parte: ma sappiamo che non è così e che più a lungo dura l’Unione e più la Francia finirà per “meridionalizzarsi”, in barba a qualsiasi grandeur.

Del resto, non credo che agli italiani interessi più di tanto indagare sulle varie “correnti” all’interno del Partito Unico Europeo, così come non interessava a un ungherese o a un polacco dei tempi dell’Unione Sovietica: anche la nostra EURSS, in un modo o nell’altro, è destinata presto a crollare.

Sembra che uno dei pochi a non averlo ancora capito sia proprio Gentiloni (ovviamente assieme alla classe dirigente che rappresenta): i ruggiti di coniglio e i morsi di pecora a cui abbiamo assistito nelle ultime settimane dimostrerebbero il contrario, se non fosse valido quanto appena detto, e cioè che in questo momento abbiamo un “francofilo” al potere che ha interesse a far la voce grossa contro la Germania. In effetti non esiste solo la sudditanza culturale di chi è senza cultura; esiste anche quello di chi viene da une certaine culture. Ma di questo discuteranno gli storici, se non avranno nulla di meglio da fare. Cher Paolo, ce n’est qu’un début, mais un début de la fin.

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