EastJournal riporta oggi un sapido aneddoto raccolto per le strade di Erevan (Vivere a Yerevan, tra Gayropa e il carovita, 6 maggio 2024):
«“Ci piacerebbe ma siamo troppo diversi”, così risponde Nikola, giovane armeno, quando gli chiediamo cosa penserebbe se il Paese entrasse nell’Unione Europea. “In Europa è normale vedere due uomini baciarsi in pubblico, ragazze con minigonne cortissime e bambini che denunciano i propri genitori. In più quasi tutti gli europei sono gay, noi no!”».
Il quotidiano online addita la propaganda russa (“un retaggio sovietico ancora in voga”) come principale responsabile del pregiudizio nei confronti della mascolinità degli uomini del Vecchio Continente:
«La macchina comunicativa del Cremlino mira a descrivere gli europei come un popolo debole, fatto di uomini gay e effeminati, a cui si contrappone il forte e rude uberman [Übermensch?] russo».
Lasciando da parte le altre considerazioni proposte dal portale (fortemente orientato a sinistra), perlopiù fuori luogo visto il clima da propaganda bellica che si respira non solo al di là della nuova cortina di ferro, trovo comunque interessanti gli accenni al concetto di Гейропа, Ghejvropa, un gioco di parole tra gay ed Europa così come viene pronunciata alla russa (Jevropa).
Ora, è anche inutile snocciolare tutte le analisi occidentali sulla secolare -o millenaria- omofobia russa, così come limitarsi a ridurre il pregiudizio a una propaganda calata dall’alto su popoli naturaliter tolleranti nei confronti dell’omosessualità (l’unico dato degno di nota potrebbe eventualmente riguardare la “femminilizzazione” del nemico, ma pare che al momento opportuno nemmeno l’Occidente tutto trans e arcobaleni sia refrattario a strumentalizzare la famigerata “mascolinità tossica” per scopi bellici).
È invece interessante osservare come l’espressione sia nata nel contesto delle rivoluzione colorate nel momento in cui, prima l’amministrazione Obama e poi il governo di Bruxelles (indipendentemente dall’orientamento politico), hanno voluto stabilire il principio che per ribellarsi all’imperialismo russo bisognava in automatico accettare i “valori occidentali”, in quel momento storico totalmente calibrati sulla propaganda LGBT, che quasi a voler stabilire la giustezza del pregiudizio che vede l’omosessuale come un degenerato sessuale tout court senza possibilità di normalizzazione, avrebbe poi aggiunto al proprio acronimo altre lettere con riferimenti piuttosto ambigui (absit iniura verbis) a “intersessuali”, “asessuali” e agender (sic).
Nel marzo scorso i media ucraini hanno parlato con scandalo di un libro per bambini patrocinato dal Ministero della Difesa di Mosca e distribuito nelle scuole della regione di Mariupol, nel quale vengono mostrate le differenze tra soldati russi e ucraini: i primi sono coraggiosi, giusti, rispettosi e soprattutto legati alla famiglia; i secondi sono nazisti, degenerati, aguzzini e, tra le altre cose, gay.
Si capisce che nemmeno agli ucraini faccia piacere questa nuova “identità”, tanto è vero che fino al 2022 tutto l’establishment conservatore era contrario, in modo esplicito, a ogni tentativo di introduzione di “nuovi diritti” per le minoranze sessuali, tollerando le manifestazioni contro la “dittatura omosessuale” delle squadracce di Azov.
E ancora oggi, del resto, i debunker di Kiev corrono a smentire qualsiasi notizia riguardante l’introduzione di “lezioni di omosessualità” nelle scuole ucraine, nonostante talvolta i troll russi si riferiscano semplicemente a quei cartelloni arcobaleno che campeggiano ormai nei corridoi di ogni scuola pubblica (ma anche privata) occidentale.
Al contrario di tutte le interpretazioni offerte da EastJournal & affini, che parlano di machismo di stato o utilizzano altri scontatissimi e anacronistici paradigmi, un dato di fatto è che con la formula Ghejvropa non s’intende che “tutti gli europei sono gay” (l’interpretazione del popolo minuto non può esser spacciata per vangelo solo quando conviene), ma che da una parte anche il più omofobo, nonché intollerante e razzista, nemico della Russia è obbligato a imbracciare la bandiera arcobaleno per combattere contro di essa, e dall’altra che l’utopia di una “decostruzione della mascolinità” in grado di ridurre la violenza e favorire la pace è smentita dall’aggressività dimostrata dagli Stati Uniti e dai suoi vassalli della NATO, che all’occorrenza -come si notava- non avranno alcuna remora ad arruolare effeminati e “checche rivoluzionarie”.