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Giuli suonava il corno nella foresta…

Vabbè dai, adesso salta fuori che Alessandro Giuli è veramente pederasta, invertito, sodomita, finocchio, frocio, ricchione, buliccio, femminiello, bardassa, caghineri, cupio, buggerone, checca, omofilo, uranista, culattone (ringrazio il Generale Vannacci per la tassonomia)? E allora Aridatece Sangiuliano.

L’affaire Spano, absit iniura verbis, si sta allargando. E sinceramente, al di là della frociaggine (dopo Vannacci voglio citare anche Bergoglio) l’assunzione di un personaggio del genere come “braccio destro” (in senso metaforico) era di per sé un oltraggio. Davvero, che schifo (sessualità a parte).

Forse avrei dovuto sospettarlo sin dall’inizio, ma è questione di sottise, sicuramente anche i camerati secchioni ci sarà qualche maschio scaltro che annusa subito l’odore di vestaglie profumate e roscezza interiore. Io ho conosciuto sia Giuli che Sangiuliano, ma a questo punto mi tengo ben stretto il puttaniere fedifrago perché il dilemma rimane sempre lo stesso: chi vorresti a capo del tuo plotone?

Con Gennaro rimembro (anzi, ricordo, lasciamo stare il membro) fruttuose discussioni sul Vico, la cui eredità gli balenava sempiternamente al passaggio della Piazza dedicata al Filosofo a San Carlo all’Arena, dove tra nu panuozzo e na tazzulella e cafe e quelle altre cose che ingurgitano i napoletani ebbe di certo più volte modo di meditare sull’importanza capitale dell’Autore dei Principj di una scienza nuova per la sopravvivenza della Cultura Di Destra in Italia.

Giuli mi era parso di tutt’altra pasta, forse più affine alla mia, ma col senno di poi è stato tutto un inganno: il vero intellettuale era Sangiuliano. Giuli ha svilito la “professione” riducendo il fiumanesimo, il dandismo e il black metal alla pederastia.

Se non altro, da questa lezione ho capito finalmente che Hitler era proprio froscio. Probabilmente devo ringraziare il governo Meloni per aver raffigurato in maniera plastica l’eterno dissidio che caratterizza i destrorsi: o fascista, o nazista. Da una parte Dioniso, dall’altra Apollo. Da una parte il puttaniere, dall’altra il sessuofobo (che è probabilmente solo un ricchione mascherato). In una parola, appunto, Benito vs Adolf.

Giusto per precisare: verso la fine degli anni ’90 Gennaro aveva già smesso di studiare, interessarsi, approfondire, praticamente aveva smesso di leggere, adagiandosi sugli allori della “carriera” e dedicandosi in sostanza solo alla figa (l’espressione è metaforica), cioè all’idea che una volta raggiunto il “successo” ci si potesse semplicemente concentrarsi su come conservarlo. Ecco dunque, dopo gli straordinari esordi per Edizioni Scientifiche Italiane e Giunta (il fior fiore dell’eterno vichianesimo che contraddistingue una Napoli in grado di parlare al mondo senza dover essere sgarruppata e gomorriana), una ridda di volumi su Putin, Hillary e Trump che solo un Rampini avrebbe potuto permettersi.

Al contrario, Alessandro Giuli non ha mai cercato figa (sempre entro metafora, ma purtroppo i risvolti sono amari e non hanno nulla a che fare con gli austeri apoftegmi dei Padri del Deserto). È sempre stato austero, algido, aspro (ho voluto utilizzare solo aggettivi con la A, come A’ FROSCIONE). Non ha mai smesso di studiare e al ridosso dei quarant’anni ha pubblicato un volume non trascurabile sulla tradizione religiosa romana arcaica per la Settimo Sigillo (un ministro che pubblica per Settimo Sigillo… il prezzo si paga comunque).

Per uscire dalla ghettizzazione, uno si attacca a qualsiasi cosa. La destra italica per circa due secoli ha rappresentato il “Partito della Cultura”: come amava ripetere Giano Accame (“maestro segreto” del sottoscritto, come di Sangiuly & Giuly e tanti altri), in Italia l’equazione tra destra è incultura è stata una operazione di guerriglia psicologica ante litteram orchestrata dai comunisti, che invidiavano a Mussolini il coraggio di aver abbandonato i finti “popolani” dell’epoca (socialisti mainstream) per rivolgersi alle schizoteorie futuriste, dannunziane e papiniane.

Aveva però ragione Leo Longanesi nel coniare il motto A Monaco di Baviera / mutande di lamiera, divenuto proverbiale dal periodo della “Notte dei Lunghi Coltelli” (quando le SS eliminarono i catboy dell’epoca) all’omicidio dell’indimenticabile Dolfuss (che si dice fu preceduto da un inculamento reciproco dei suoi sicari). Sua Eccellenza Benito Cavaliere Mussolini quando incontrò quel beta del Führer corse subito dal console Filippo Anfuso a confessare il suo sconcerto: Ragassi, l’è un buson. Eh sì, perché Adolf tocchignava, baciava lascivamente, accarezzava le spalle ed emetteva risolini stile loli nazi cosplayer.

Adesso capisco anche tutta questa mania per BurzumDet som engang var er nu borte…. “Ciò che era una volta ora non c’è più… Non siamo morti… Non abbiamo mai vissuto”. Eh beh sì insomma, se permetti ora preferisco una canzuncella napolitana sull’inscalfibile zoccolaggine delle femmine. Non ci rivedremo più al Ragnarök, piuttosto che entrare in ‘sto Valhalla röhmlisch preferisco O’ Paravise d’a Pucchiacca.

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