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Altın Gün Milano’da

L’altra sera sono andato a vedere gli Altın Gün, una band turca di Amsterdam, alla Santeria Toscana 31 a Milano. I motivi per cui apprezzo questa band non hanno naturalmente nulla a che fare con quelli dei normaloidi, ma per spiegarli forse val bene un esempio: mutatis mutandis, i “Giornata dorata” (traduzione letterale del nome, con tutta l’ampiezza di significato che anche la nostra lingua conferisce all’espressione) mi evocano quel milieu d’emigrazione italica splendidamente ritratto da Carlo Verdone in Sono pazzo di Iris Blond.

Per capire questo gruppo da diaspora dovreste immaginare un complesso italo-belga che rifà i classici di Mino Reitano in versione folk-psichedelica. Esisterebbe qualcosa di meglio? Perciò il concerto me lo sono goduto in un trionfo di cope, nonostante abbia passato il tempo con un bicchiere in mano e scattato delle “foto depresse” (come ha commentato una biondina di cui magari parlerò).

A un certo punto è partita Halkalı şeker, motivetto tradizionale interpretato appunto da un Mino Reitano turco, Kubat (nato in Belgio!) e in quel momento qualcosa si è mosso.

Halkalı şeker, hasiretlik çeker
Çok salınma güzel yarim
Cahilim aklim gider

Un bastoncino di zucchero mi fa sospirare
Non farmi aspettare, mia dolce metà
Sono un imbranato e vado in agitazione

Comunque, veniamo ai motivi per cui devo imbandirvi un intruglio di turcherie, inceldom e ubriachezza molesta: il fatto è che non ho mai fatto amicizia con così tante persone (come minimo una trentina) in una sola serata (anzi, a pensarci bene in una sola vita). E per giunta solo attraverso gli ingredienti di cui sopra, cioè come dicevo la turcofonia, la mancanza di figa e l’alcol.

Purtroppo ho bevuto talmente tanto che non l’ho ancora smaltita e questo è uno dei motivi per cui sto andando in overdose di paratassi e anacoluti: ma non venitemi a scassarmi la minchia con politica geopolitica e metapolitica, quando l’unica cosa che volete da me è “la Posta di Cioè coi peli de cazzo in mezzo” (cit.).

[Apro parentesi: la maggior parte di quelli che mi criticano sono gli stessi che non hanno mai letto una riga delle cose “serie” che ho scritto finora e preferirebbero semmai pendere dalle labbra di un 25 years old happener che in poco più di un mese di 2020 gli ha già fatto credere a una guerra mondiale e alla peste. Diciamoci la verità: se questo blog fosse rimasto nei “binari”, avrebbe venti visualizzazioni al giorno e due commenti al mese. Perciò i lettori che ora mi consigliano di tornare alla “rispettabilità” di una volta, probabilmente non mi hanno mai letto (né rispettato)].

Ma andiamo avanti. Mi piacerebbe stilare una tassonomia delle persone che ho conosciuto e ricapitolare minuziosamente gli argomenti di cui si è discusso, ma al contempo non voglio fare la figura del coglione che corre a riempire internet di dispense su “scuola della vita” e “università della strada”. Però non ho mai sentito empatia e vicinanza da parte di sconosciuti come l’altra sera, per giunta impostando ogni discussione su quanto siano cattive le donne.

Partiamo dalle turche: mi ero messo in testa di attaccare bottone con tutte e l’ho fatto. Alla fine della serata è pure saltata fuori qualche vera orospu (quando ci sono i turchi le puttane non mancano mai), ma io non ci vado perché sapete che faccio sesso solo per sentirmi umano (anche se il vero motivo è che sono ipocondriaco). Comunque ho preso i numeri delle studentesse, delle zitelle (evde kalmışlar), delle squatter, delle fighette e persino di una estimatrice di Sabahattin Ali (è stato appena tradotto in italiano lo struggente Madonna col cappotto di pelliccia, leggetelo). Non le chiamerò mai, ma fa sempre piacere.

Sempre a proposito di turche, mi ha colpito una coppia formata da un bellissimo Chad meridionale e una bionda slavata con l’anello al naso (che avevo conosciuto davanti ai cessi): ipergamia portami via, ma probabilmente le levantine compensano l’estetica con altro. Terron Chad poi è stato talmente superiore da concedermi di chiamare ripetutamente “puttane” le due donne con cui stava (ne aveva pure una terza in giro per il locale) e di fotografarle in tutte le pose assieme ai membri del gruppo (vedi gallery in coda alla review).

Ho evocato poco sopra l’espressione orospu perché è stata la più gettonata assieme a pittoreschi sinonimi di bitch: a colpire un vero cockney è stato un “tart” che gli ho lanciato di soppiatto, non sospettando nemmeno fosse un motto così ricercato. Questo londinese di pura razza stava assieme con quella tipetta che ha definito “depresse” le foto che ho scattato dopo aver saputo delle mie tristi vicende. Alla fine i due mi hanno beccato quando ero già sfranto e non riuscivo più nemmeno a capire se stessi parlando italiano turco o inglese, perciò ormai senza freni inibitori ho esordito quasi subito evocando ancora una volta il puttanesimo delle donne, affermazione con la quale la tipetta si è trovata d’accordo definendosi apertamente “non femminista”. Lol. Alla fine non ho nemmeno capito se i due stessero insieme oppure no: il fatto che a fine settimana uno andrà a Parigi e l’altra a Manhattan (o viceversa) mi fa sospettare ci sia qualquadra che non cosa (quando invece la donna dovrebbe seguire l’uomo ovunque, mantenendosi almeno a due passi distanza).

Beh, lasciamo perdere i cazzi altrui, ad ogni modo questi due ragazzi geniali mi hanno aiutato a tirarmi un po’ su. Per giunta la tipetta, con un’anacronistica erre moscia, a un certo punto mi ha definito “un bell’uomo”, probabilmente per rincuorarmi: Tu che sei un bell’uomo avvai sicuvamente altve possibilità. Ecco, questa cosa mi manda in crisi, perché in pratica è solo da quando mi sono dichiarato incel che qualcuna ha iniziato a definirmi “bello”. Certo, mi sono sentito dare del bello da tante ultracinquantenni (zie, colleghe, tabaccaie), ma mai da una hatun ventisettenne. Io devo aver reagito dicendole di sfanculare l’amico londinese e venire con me (alcuni pezzi me li sono persi fra i troppi bicchieri), in maniera talmente cordiale da aver suscitato una divertita impassibilità dell’interessato… davvero i britannici hanno un retaggio e uno stile quasi cucitogli nel DNA (e poi hanno vinto pure l’ultima guerra, dunque è giusto si scopino le nostre donne come qualsiasi esercito d’occupazione che si rispetti).

A proposito di genetica, a un certo punto questo cockney ha iniziato a parlarmi del gene pool superiore delle donne latine rispetto alle sue connazionali. E in quell’istante ho iniziato a covare il legittimo sospetto di trovarmi in una simulazione o realtà parallela dove tutti mi danno ragione manco fossimo in una birreria di Monaco negli anni ’20. In verità la convinzione era maturata ancor prima, quando una coppia italo♀-marocchina♂ di squatters si è messa a darmi dritte su come disciplinare le donne e non permetter loro di ferirmi. Cioè questi erano due zekke antiche ed accettate e convenivano col sottoscritto praticamente su tutto, a volte quasi facendo passare me per il cuculaccio sinistrato di turno (peraltro la tizia italiana ha lievemente ipergamato -il Nord Africa ha il gene pool della concupiscenza perversa- ma è evidente che i due abbiano trovato l’amore grazie alla stessa sottocultura, il che li rende “pariestetici onorari”).

Una scena simile si è ripetuta a fine serata: maschio alfa antifa (di quelli buoni, tra CGIL e Donbass) e quarantenne bruttina coi rasta, che plaudono entrambi alle mie sbrodolate reazionarie. C’è da dire che erano alessandrini (nel senso che erano di Alessandrina, non che fossero due emistichi di almeno sei sillabe ciascuno) e anche qui il sangue non è acqua: ma la lucidità e la precisione della loro visione in materia di rapporti tra i sessi mi ha ugualmente stupito. Dove sono tutti questi “partigiani buonissimi e intelligentissimi” quando si tratta di rappresentanza politica? Addirittura il compagno sembrava quasi un incel quando si è messo a parlare della calvizie, o la “Triste Mietitrice” (Grim Reaper), come la definiamo nei nostri gruppi di recupero (in ogni caso se il problema riguardasse le donne sarebbe già stato risolto). Ora che ricordo, mi ha fatto proprio i complimenti, oltre che per gli occhi, per… l’attaccatura dei capelli (è una injoke che forse capirete leggendo i miei diari postumi). Ancora più comprensiva e adorabile la ragazza coi rasta che me le ha praticamente fatte passare tutte: Dio mio, ora adoro i rasta.

Non parlerò degli altri perché sennò si andrebbe troppo sul personale e mi verrebbe la tentazione di spiattellare chissà che, non per fare il pettegolo (o la pettegola, a questo punto), ma per mettere nero su bianco esperienze di profondissima umanità da parte di persone che avevo imparato a considerare nemiche. Il punto che vorrei sottolineare è che mentre io trovavo conforto in un habitat a me assolutamente innaturale, su Twitter una pattuglia di pseudo-femministe gettava la proverbiale merda nel ventilatore per un mio innocentissimo tweet in risposta a un cameragno che soffre, nel quale sostenevo il contrasto tra il consiglio di “essere se stessi” e l’impossibilità di esprimere ciò che realmente si è (la questione della promiscuità femminile era solo un pretesto per rafforzare il concetto), frainteso a bella posta per il classico cringefest medio-progressista dove si cerca di umiliare il “bigotto” con battute meno divertenti di un cartone di uova vuoto.

Sinceramente l’unica cosa che mi aspetto dal mainstream è l’estensione della cosiddetta “cultura della vergogna” a un livello più intimo di quello politico: non è solo per provocazione che ho iniziato a definirmi incel non appena la stampa italiana, sulla scorta di quella internazionale, ha preso a usare il termine per identificare il nuovo nemico dell’umanità. L’intenzione pare quella di farne un’etichetta da appiccicare su chiunque rappresenti una contraddizione per il sistema perfetto di segregazione e tribalismo che vorrebbero mettere in piedi. Eppure attraverso queste inaspettate testimonianze di sympatheia ho provato nostalgia per una sinistra che dovrebbe stare dalla parte degli underdog. Che poi magari non è mai realmente esista, però fino a solo venticinque anni il suo spettro fa ispirava capolavori come I brutti anatroccoli di Piergiorgio Paterlini:

«Con gli amici non si dice mai “sei brutto, sono brutto”. È in atto una rimozione colossale del brutto. D’altronde non ho mai conosciuto nessuno che dicesse: “Sto con Maria solo perché è bella”. C’è una vera difficoltà ad ammettere di essere determinati esclusivamente dall’aspetto fisico nelle proprie scelte. In pratica però se una persona non è seducente la si ritiene meno brillante, meno interessante di un’altra. Tutto pur di non ammettere con se stessi che si evita la compagnia di una persona solo perché non suscita desiderio […]. Ieri parlavo con una ragazza che mi diceva che la bellezza non è importante e che ci sono molte altre qualità che interessano di più. Intanto lei esce con un marcantonio! […]. Perché, dico io, bisogna per forza avere delle qualità per essere amati? Perché bisogna compensare la mancanza di bellezza con l’intelligenza, la simpatia, l’originalità? Perché bisogna comprare il sesso pagandolo almeno con la simpatia e l’intelligenza?».

Sì, una volta la sinistra la pensava così. I brutti erano emarginati tanto quanto gli immigrati, le donne, i gay («Non è facile accettare che da una cosa così incolpevole e irreparabile dipenda quasi tutta la nostra possibilità di essere felici e amati»). Un attimo dopo accade però quel che Houellebecq descrive con lancinante sagacia ne Le particelle elementari (1998):

«”Per farmi accettare dagli impiegati” avrebbe detto Bruno, “basta che io mi travesta da impiegato. Cioè basta che mi compri un vestito, una cravatta e una camicia […]. Travestirmi da emarginato non mi servirebbe a niente: non sono abbastanza giovane né abbastanza bello né abbastanza cool. Perdo i capelli, tendo a ingrassare; più invecchio e più divento angosciato e sensibile, il minimo indizio di rifiuto mi da il tormento. In poche parole non sono abbastanza naturale, vale a dire abbastanza animale […]”. Bruno aveva capito che gli hippy non l’avrebbero mai accettato: non era e non sarebbe diventato un bell’animale. Di notte sognava vulve aperte».

E adesso noi incel siamo tutti fasci (qualche coraggioso amico, come William Lupinacci, sta facendo molto per riportare l’inceldom nel suo alveo politico d’elezione – lo ringrazierò sempre per avermi inserito nella Incel Wiki). Come afferma un lettore:

«Nessuna donna, per quanto sensibile sia, potrà mai comprendere un incel. Potrà tentare di empatizzare, ma non potrà mai immaginare la sofferenza che porta la consapevolezza di non poter avere uno straccio di vita sessuale o affettiva».

Beh qualcuna c’è, anche se dalla maggior parte di esse ho dovuto sentire perlopiù insulti e accuse ridicole, da “puttaniere” a fuckboy, quando il desiderio era solo che una donna non si vergognasse di abbracciarmi in pubblico. C’è persino qualcuna che mi scrive questa roba: «Lascia stare le donne, non fanno per te… evita di alimentare ulteriormente il conflitto uomo-donna. Sei impedito e brutto. Perché una donna dovrebbe prendertisi?» (sintesi di un messaggio screenshottato qui di seguito).

La maggior parte delle donne purtroppo sono questo, e il conflitto tra i generi non è solo necessario, ma essenziale alla prosecuzione della specie. Essendo un signore, non pubblicherò altre cose che mi sono giunte da femmine con tanto di nome, cognome e avatar (quella sopra è stata la più educata), tuttavia ci sarebbe abbastanza materiale per un Libro nero della femminilità.

Ok, non so cosa diavolo c’entri ‘sta roba col concerto da cui ero partito, ma il wall of text da sanguinamento intraoculare è un modo per rendere illeggibile ciò che è potenzialmente sotto gli occhi di tutti. L’essenziale era offrire un’immagine assolutamente fedele di me stesso e  di quello che è la mia vita; se Ortega y Gasset stabiliva generosamente a 26 anni l’apice della maturità intellettuale di un uomo («Los veintiséis años – entiéndase, claro está, con alguna holgura la cifra – es el momento de más esencial partida para el individuo»), allora io che ne ho quasi 35 posso chiaramente identificare le direttive sulle quali essa proseguirà per l’altra parte del cammino, cioè le stesse a cui accennavo prima: turcherie e inceldom più qualche citazione di Houellebecq (lasciamo da parte l’ubriachezza molesta, ché ormai non mi riprendo più).

Credo che la felicità esista, ma pare che per raggiungerla si debbano imboccare sentieri grotteschi e surreali. Mi sovviene quel famoso aneddoto riguardante il finale de Il Sorpasso (1962), vero e proprio anatema contro l’Italia del benessere:

«Mario Cecchi Gori, produttore del film, aveva pensato a un finale differente rispetto a quello deciso da Dino Risi, cioè quello di inquadrare i due protagonisti mentre sfrecciavano verso l’avventura, ma questo finale non fu adottato: infatti, i due avevano scommesso che se il giorno seguente all’ultima ripresa ci fosse stato bel tempo avrebbero girato il finale voluto da Dino Risi; in caso contrario avrebbero chiuso il set e adottato il lieto fine di Mario Cecchi Gori. Ma il sole di quel giorno, a detta di Dino Risi, fu bellissimo e splendente e questo comportò la scelta del finale tragico».

Sette anni dopo Risi girò Il giovane normale, praticamente la versione de Il Sorpasso che Cecchi Gori avrebbe voluto: un “Roberto Mariani” meno impacciato che scopre i piaceri sconosciuti in Tunisia ma che invece di morire darwinianamente (o niccianamente) in un incidente da maschio beta che vorrebbe fare l’alfa, fa tesoro delle sue esperienze orgiastiche. In tal caso esiste un altro aneddoto emerso di recente, a mio parere altrettanto significativo:

«Alla Festa del Cinema di Roma del 2016, in occasione del centenario dalla nascita di Dino Risi, Lino Capolicchio ha dichiarato che durante la produzione del film giunse a tentare il suicidio, lanciandosi dalla finestra, e che fu bloccato in extremis dallo scenografo Ricceri».

Insomma, si può essere felici solo con un po’ di figa e musica, oppure è sempre un suicidio o un morire male? La questione era solo questa. Come cantano gli Altın Gün (sempre citando il Mino Reitano di turno, Neset Ertas),

Tatlı dile güler yüze
[Di parole dolci e un bel viso]

Doyulur mu doyulur mu
[Puoi averne mai abbastanza?]

Aşkınan bakışan göze
[Di due occhi innamorati]

Doyulur mu doyulur mu
[Puoi averne mai abbastanza?]

*

Doyulur mu doyulur mu
[Puoi averne mai abbastanza?]

Canâna kıyılır mı
[Potresti far del male a chi ami?]

Canâna kıyanlar
[Quelli che lo fanno]

Hakkın kulu sayılır mı
[Si possono ancora considerare esseri umani?]

*

Zülüflerin dökse yüze
[I suoi capelli le cadono sul volto]

Yar bâdeyi sunsa bize
[L’amore ci offre del vino]

Lebleri meyime meze
[Le sue labbra da assaggiare]

Doyulur mu doyulur mu
[Puoi averne mai abbastanza?]

*

Garibim geldik gitmeye
[Siamo tutti qui per una corsa]

Muhabbetimiz bitmeye
[Sperando di non smettere mai di parlare]

Yar ile sohbet etmeye
[di parlare con chi ami]

Doyulur mu doyulur mu
[Puoi averne mai abbastanza?]

Harika bir gece oldu. Bir gün bir kız bana sor: sadece görmek için tüm Avrupa’ya hangi müzik grubu için seyahat edersin? Şimdi cevabı biliyorum. (Yukarıdaki her kelimeyi göz ardı edebilirsiniz, konuşkanıyım…)

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