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Gli immigrati ci pagheranno le pensioni

Il presidente dell’Inps Tito Boeri non perde occasione per ricordarci che “gli immigrati ci pagheranno le pensioni”. Lo ha fatto anche ieri a un “festival del lavoro” (sic), suscitando la reazione immediata dell’attuale ministro dell’interno Matteo Salvini: una prima dimostrazione che i tempi sono cambiati e che dunque anche l’illustre tecnocrate, per quanto legibus solutus, dovrebbe talvolta mordersi la lingua. In particolare quando, per affermare che l’immigrazione regolare è utile a sostenere il nostro welfare, si mette indirettamente in contrapposizione con un governo che sta appunto cercando di regolare i flussi migratori.

Continuare a ripetere a macchinetta che “gli immigrati ci pagheranno le pensioni” può alla lunga diventare un atteggiamento controproducente, soprattutto nel frangente politico attuale, poiché rischia di instillare nel pensionato medio (tutto sommato ancora piddino) qualche dubbio riguardo al modello di “immigrato” sostenuto da Boeri. È sospetto infatti l’accomunamento del venditore ambulante, dello spacciatore o del mendicante a tutti quei lavoratori stranieri non sbarcati dalla nave di una ONG (per esempio, domestici filippini, badanti ucraine e ristoratori cinesi): la sicurezza con cui il Presidente dell’Inps pontifica sull’argomento puzza un po’ di propaganda.

Per certi versi, il rispetto di questa nuova “sensibilità” politica andrebbe proprio nell’interesse dello stesso Boeri: far balenare il collegamento tra barconi e pensioni, giusto per fingere di essere ancora di sinistra, è il modo peggiore per rivelare la vera natura della “posta in gioco”, che è quella di smantellare il welfare attraverso gli immigrati (che fa più “sinistra”) e non i tagli (che fa più “destra”, anche se da Tsipras in poi nemmeno così tanto).

Perché, al di là delle rispettive posizioni ideologiche, chiunque è in grado di rendersi conto che un’immigrazione incontrollata distrugge il welfare: il “caso scandinavo” è del resto sotto gli occhi di tutti. Quando lo stato sociale di un Paese diventa un “magnete” per i disperati del mondo, la conseguenza immediata è lo sconquasso delle finanze pubbliche, che a sua volta pone i governi di fronte alla dura scelta tra la riduzione degli ingressi degli stranieri e il livellamento della spesa sociale.

L’aspetto più ridicolo della faccenda è peraltro che la rappresentazione del sistema pensionistico come una specie di marketing piramidale (se non uno “schema ponzi” tout court) non è affatto una trovata del buon Boeri, ma uno storico cavallo di battaglia della propaganda rosso-verde europea. La balla è stata infatti ripetuta anche da politici di Paesi dove, oltre a un sistema previdenziale profondamente diverso dal nostro, non esiste neppure il terrorismo psicologico che contraddistingue l’approccio italiano al tema pensioni: ed è appunto uno dei tanti elementi che hanno contribuito all’esplodere della destra in tutto il Vecchio Continente.

Lo spiega bene in un capitolo del suo libro The strange death of Europe (che forse verrà tradotto in italiano da Neri Pozza) il giornalista conservatore Douglas Murray: non è possibile che gli stessi partiti che per decenni hanno intimato ai rispettivi elettorali di non fare figli per vivere meglio, ora obblighino gli stessi ad “adottare” dieci immigrati a testa, in base alla mitologia che un lavoratore straniero è più produttivo, più sano, e addirittura non invecchia mai (perché magari, lui così “coraggioso” e “frugale”, morirà facendo un lavoro sottopagato e pericoloso: il cuore d’oro della sinistra!). Per citare direttamente Murray:

«I governanti europei si illudono di sapere come la prossima generazione di immigrati contribuirà alle economie nazionali, in realtà non c’è alcun dato a confermare le loro supposizioni. Al contrario, ci sono tanti fattori prevedibili generalmente ignorati: per esempio, il fatto che gli immigrati invecchiano come gli autoctoni. Tanti politicanti si accorgeranno dunque con sorpresa che importare un numero enorme di giovani immigrati non risolve il problema dell’invecchiamento della popolazione, perché gli immigrati appunto invecchiano, e quando lo fanno giustamente gli vanno riconosciuti gli stessi diritti degli altri. La conclusione logica è che le soluzioni a breve termine diventano un grattacapo a lungo termine, perché in tal modo si genererà un bisogno costante di importare un sempre più alto numero di immigrati, come in uno “schema piramidale”, allo scopo di permettere a sempre più persone di mantenere lo stile di vita a cui si sono abituati».

Alla luce di queste obiezioni basilari e comprensibili anche agli “immigrazionisti” più esagitati, non sarebbe il caso di piantarla? O, ancora meglio: chiunque sia convinto che il welfare italiano vada ridimensionato, esprima onestamente le proprie opinioni senza nasconderle dietro il buonismo e la filantropia. Soprattutto perché ormai certe trovate non funzionano più, in Italia come in Inghilterra o in Svezia.

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