Gli irlandesi nei Caraibi

(Fonte: Views From The Lamp)

Nonostante le cosiddette “Indie Occidentali” rappresentarono per secoli un luogo di pena e deportazione, per gli irlandesi divennero una seconda patria dove poter prosperare e dar vita a nuove comunità etniche, influenzando l’identità creola delle popolazioni locali, anche attraverso relazioni interrazziali e trasmissione di cognomi.

Il primo irlandese di una certa importanza a giungere nei Caraibi durante gli anni della colonizzazione intensa a quanto risulta dai resoconti storici fu Peter Sweetman, che nel 1641 aveva lasciato l’Isola di Smeraldo con l’intenzione di far fortuna nella sua nuova “patria”, Saint Christopher o San Cristóbal (l’attuale Saint Kitts), la prima isola in cui gli europei avevano sperimentato la coltura intensiva del tabacco. E dove, a partire dal secondo decennio del XVII secolo, inglesi e francesi avevano iniziato a spartirsi l’isola con l’intento di contenere l’espansionismo spagnolo.

Sweetman, suddito di Carlo I, in collaborazione con commercianti e avventurieri inglesi che utilizzavano Cork e Kinsale come ultimo approdo della traversata atlantica, si trasferì col suo seguito (uomini e donne, soldati e servi) nella parte di San Cristóbal controllata dagli inglesi. Per sua sfortuna, lo stesso anno scoppiò una delle tante rivolte degli irlandesi contro il dominio inglese, e così il governatore dell’isola cercò di prevenire qualsiasi conflitto tra le due popolazione deportando gli irlandesi nella vicina isola di Montserrat.

Sconcertato dall’iniziativa, Sweetman invocò il sostegno del re del Portogallo domandandogli il permesso di condurre quattrocento irlandesi da Saint Christopher a un sito insulare alla foce del Rio delle Amazzoni, i quali avrebbero giurato fedeltà al sovrano lusitano.

L’idea di stabilire una piantagione di tabacco gestita da irlandesi era del resto già stata proposta al sovrano di Spagna alcuni anni prima, ma la Chiesa e la Corona, favorevoli al progetto, dovettero scontrarsi con i coloni ispanici nelle Americhe, che sospettavano dei “profughi dal Nord” come avanguardie del potere britannico ponendo addirittura dubbi sulla loro appartenenza confessionale, o comunque temendo che in un modo o nell’altro gli irlandesi prima o poi avrebbero attirato anche gli inglesi.

Giovanni IV del Portogallo cercò quindi una soluzione di compromesso, rifiutando la richiesta di Sweetman ma offrendogli un sito sulla terraferma dove stabilire una città e diventarne governatore, con l’unica clausola di osservare le regole commerciali portoghesi, un guaio per l’aspirante possidente terriero, che invece teneva a mantenere i legami d’affari con inglesi e olandesi, all’epoca un riferimento essenziale per chi volesse entrare nel commercio internazionale.

Così il tentativo di Sweetman fallì e gli irlandesi furono trasferiti a Montserrat. Nel 1667, un governatore britannico in visita affermò che l’isola era diventata “quasi una colonia irlandese”. Un decennio dopo, il censimento confermò quella impressione, registrando il 69% della popolazione bianca come irlandese. Tale particolare composizione etnica consentiva a questi coloni di avvantaggiarsi delle rivalità tra le potenze, in concomitanza con l’instabilità della divisione di Saint Christopher in settori francese e britannico nel momento in cui la Francia subentrava alla Spagna come principale potenza cattolica in Europa, e le colonie dei Caraibi passavano dalla coltivazione del tabacco a quella -più redditizia- della canna da zucchero.

Per il loro numero, dunque, i coloni di origine irlandese cominciavano a diventare politicamente influenti. Nel 1666, quando Gran Bretagna e Francia si dichiararono guerra, furono gli irlandesi a garantire il trionfo dei francesi a Saint Christopher e Montserrat. Un colono inglese commentò che “gli irlandesi nelle retrovie, da sempre un popolo sanguinario e perfido, hanno ucciso più inglesi dei nostri stessi nemici [i francesi]”. Montserrat, così come l’intera Saint Christopher, passò sotto il controllo francese, ma questa situazione si ribaltò in un anno e gli inglesi, una volta preso il potere, declassarono il governatore irlandese di Montserrat (che era comunque di fede protestante) per aver aiutato i francesi e insediarono al suo posto William Stapleton, il quale, seppur cattolico, intendeva “governare meglio i propri connazionali”.

L’istituzione di un protettorato in Irlanda e la nomina di Daniel Searle, il primo governatore cromwelliano alle Barbados, suscitarono il timore che gli irlandesi potessero fare causa comune con gli schiavi. Anche la nobiltà dell’Isola di Smeraldo si trovava in una posizione di inferiorità obiettiva, poiché espropriata dagli editti protestanti, condivideva per certi versi un destino simile a quello dei figli cadetti dell’aristocrazia iberica che, esclusi dal maggiorasco, andavano a costruirsi il proprio futuro oltremare, tentando con poco successo di ricreare fortune e gerarchie.

Nel 1660, le leggi della colonia barbadoregna stabilirono una linea di demarcazione tra africani e nativi, i quali dovevano rimanere schiavi a vita, e i coloni irlandesi che sarebbero potuto restare vincolati solo per il periodo del loro contratto di servitù: almeno sulla carta tale iniziativa potrebbe essere interpretata come il solito “privilegio bianco”, ma nella pratica, tra vessazioni e condizioni di lavoro estenuanti, per uno schiavo vincolato non cambiava nulla rispetto a un indio o a un nero, considerando soprattutto che difficilmente sarebbe riuscito a sopravvivere fino all’assolvimento del contratto.

È impossibile stabilire il numero di “schiavi bianchi” (vincolati o liberi) che giunsero alle Barbados nel XVII secolo e quale percentuale di questi fosse irlandese: di certo erano un numero importante, se nel 1667 il governatore Willoughby manifestava le sue preoccupazioni per il fatto che più della metà dei suoi quattromila miliziani fosse irlandese. Ancora oggi le Barbados annoverano un numero notevole di discendenti dei coloni bianchi, soprannominati Red Legs o Red Shanks (“gambe/stinchi rossi”, probabilmente nato in seguito agli effetti delle scottature del sole tropicale sulla pelle chiara), anche se la loro origine non è pacifica, poiché c’è chi presuppone siano eredi degli scozzesi deportati da Cromwell o forse degli inglesi della rivolta di Monmouth contro Giacomo II.

La questione di quanti deportati irlandesi abbiano raggiunto le Indie Occidentali è altrettanto difficile da calcolare. La maggior parte dei soldati irlandesi partiti in seguito alle guerre degli anni 1640 e 1650 furono deportati nell’Europa continentale, ma probabilmente furono più i soldati scozzesi che gli irlandesi spediti nel Nuovo Mondo. Sembra probabile che il numero dei deportati dall’Irlanda sia aumentato soprattutto dopo l’istituzione del protettorato britannico, quando la legge Tudor che consentiva l’estradizione dei “vagabondi” verso le piantagioni d’oltreoceano fu applicata sull’isola (lasciando ai conquistatori inglesi ampia libertà nell’includere chiunque fosse ritenuto politicamente pericoloso all’interno di tale categoria). Dopo la conquista della Giamaica nel 1655, Henry Cromwell pensò di inviare duemila giovani (metà donne e metà uomini) per popolare l’isola a scopi “filantropici”, anche se avrebbe dovuto usare la forza per deportarli (gli storici non sono riusciti a stabilire se l’iniziativa sia stata poi realizzata o meno).

Le reclute per la campagna giamaicana furono prese dalle Barbados. Dato il bisogno di soldati per la spedizione e la complicata situazione politica della colonia, è possibile che alcuni deportati si siano effettivamente aggregati all’esercito di Cromwell. Nel 1685 Giacomo II ottenne il sostegno di alcuni piccoli proprietari terrieri cattolici irlandesi ai suoi deputati coloniali di fiducia. Nel 1731 il governatore Robert Hunter dichiarò che “i servi e la popolazione di rango inferiore in Giamaica sono principalmente costituiti da papisti irlandesi che ci hanno invaso in massa, come del resto hanno fatto regolarmente negli ultimi anni”. Questa osservazione fu fatta alla fine di un decennio in cui erano stati traghettati 72.689 schiavi africani, mentre la popolazione bianca si attestava a poco più di 7.000 unità.

Lo stesso discorso vale per Montserrat. Tra il 1678 (anno del primo censimento) e il 1775 il numero di irlandesi sull’isola non superò mai i 2.000. Nel 1678 la maggior parte di questi irlandesi potevano essere servi, vincolati o liberi, ma nel 1729 il loro numero si era ridotto, per decesso, per emigrazione o cambio di status (alcuni riuscirono in effetti a divenire piccoli proprietari terrieri).

L’ascesa al trono di Guglielmo III determinò la nascita di assemblee coloniali nelle isole inglesi, che resero più difficile per i cattolici ricoprire cariche pubbliche. Tuttavia, a differenza di quanto accadeva in Irlanda, non ci furono tentativi di vietare ai cattolici di acquistare terreni o lasciarli in eredità. Il trionfo britannico nella Guerra di Successione Spagnola (1713) allontanò i francesi da San Cristóbal, che venne ribattezzata con un certo compiacimento Saint Kitts (diminutivo inglese di “Cristopher”).

Nel corso del XVIII secolo, la comunità creola irlandese di Montserrat raggiunse un certo benessere. Le famiglie più importanti, come gli Skerret, i Galway, i Kirwin e i Farrell, iniziarono ad acquistare proprietà e attivando contatti a Bristol e Cork, importarono schiavi e risorse. I rapporti con Guadalupa e Martinica, le isole francesi avide di carne manzo per nutrire i propri schiavi, e le importazioni illegali di schiavi a basso costo dalla Gran Bretagna, aiutarono a espandere il mercato.

Nel 1670, circa il dieci percento dei proprietari terrieri in Giamaica era irlandese. Nel 1685, quando Giacomo II salì al trono, trovò utile il sostegno di costoro per promuovere la sua politica di rafforzamento del cattolicesimo e del potere reale, incoraggiando l’esercizio della libertà religiosa all’interno dei suoi domini. Il trionfo di Guglielmo III capovolse la situazione, ma nel 1729 circa il venti percento dei membri dell’assemblea coloniale possedeva nomi irlandesi. All’inizio del XVIII secolo, diverse famiglie irlandesi cominciarono a ricoprire le più alte cariche della colonia, il che favoriva anche l’acquisizione di terreni da parte di proprietari con cognomi come Kelly, O’Hara, O’Conner, Talbot, Coulthurst, Herbert, Gregory, Martin, Madden, Forde, Richards, Dobbs….

Gli irlandesi non avevano mai limitato le loro destinazioni caraibiche alle colonie britanniche. Alla metà del XVII secolo, un visitatore si imbatté in un insediamento di circa 200 irlandesi a Guadalupa, che vivevano “come a casa, in piccole capanne, coltivando patate e tabacco, e tante piante da indaco da permettersi di usarle come colorante e distillato, senza però rivolgersi alla coltivazione della canna da zucchero”. Altri gruppi, come i Kirwan, i Lynch e gli Skerret della vicina Martinica cercarono di ottenere un titolo nobiliare dalla Corona francese, sostenendo di aver scelto di lasciare l’Irlanda per servire il Re di Francia. L’integrazione per i cattolici irlandesi nelle colonie francesi e spagnole fu del resto abbastanza agevole. Alla fine del XVII secolo, per esempio, John Stapleton e sua moglie Helen Skerret lasciarono l’Irlanda per la nuova colonia francese, Santo Domingo, dove acquisirono un tale patrimonio da potersi permettere di acquistare terreni direttamente in Francia, a Nantes (alcune famiglie di origine irlandese, nonostante abbiano perso quasi tutti nei tumulti della Rivoluzione, possiedono ancora ai giorni nostri qualche castello o terreno in Francia).

Le relazioni tra uomini irlandesi e donne africane sono un elemento fondamentale dell’esperienza caraibica, ma si tratta di un aspetto che raramente è testimoniato dalle fonti, perlopiù dalle lettere che gli emigranti inviavano a casa. Nel 1775, per esempio, il diciannovenne Charles Fitzgerald, ufficiale di marina, fratello di Lord Edward Fitzgerald e terzo figlio di Emily, duchessa di Leinster, scrisse alla madre: “Le nerissime signore delle sabbie ardenti dell’Africa mi hanno fatto dimenticare le acerbe bellezze delle nordiche“, aggiungendo che la famiglia avrebbe dovuto aspettarsi “un nipotino color rame”.

Le contese per l’eredità rivelavano talvolta segreti di una vita, tenuti nascosti alla famiglia in patria. Così, nel 1834, Richard Robert Madden (noto come abolizionista) si addentrò nelle alture della Giamaica per visitare la piantagione di un parente defunto, da tempo oggetto di una causa giudiziaria. Lì fu sorpreso di trovarsi diversi cugini meticci e la loro anziana madre, la concubina mulatta di suo zio Garret.

Il documentario The Black Irish of the Caribbean (1976), del quale compaiono alcune parti su YouTube, testimonia la presenza di diversi discendenti africani degli irlandesi nelle colonie caraibiche, i quali tengono ancora viva l’eredità dell’Isola di Smeraldo tramandando diverse tradizioni culturali (a Montserrat, per dire, San Patrizio è festa nazionale).

Le osservazioni dell’articolo sono basate sullo studio di Nini Rodgers The Irish in the Caribbean 1641-1837 (“Irish Migration Studies in Latin America”, vol. 5, n. 3, nov. 2007)

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