La Food and Drug Administration, ente adibito alla regolamentazione dei prodotti farmaceutici, e i Centers for Disease Control, agenzia federale sanitaria, hanno deciso di non somministrare più il vaccino Johnson&Johnson al loro personale e hanno sollecitato gli Stati a un blocco immediato affinché vengano esaminati i pericoli di reazione avversa.
La scelta giunge dopo l’emersione di sei casi di trombosi a due settimane dalla vaccinazione: episodi molto rari, che hanno coinvolto solo donne età compresa tra i 18 e i 48 anni (una di esse è deceduta), sui quali le autorità desiderano fare più chiarezza: “Raccomandiamo uno stop sul vaccino per un eccesso di cautela“, rimarcano il dottor Peter Marks (FDA) e la dottoressa Anne Schuchat (vicedirettrice dei Centers for Disease Control).
A due ore dall’annuncio, il governatore repubblicano dell’Ohio Mike DeWine ha consigliato a tutti gli operatori sanitari di interrompere temporaneamente la somministrazione di Johnson&Johnson. New York, Connecticut e Nebraska hanno seguito rapidamente l’esempio.
La mossa potrebbe complicare gli sforzi di vaccinazione degli Stati Uniti, anche se la stragrande maggioranza della fornitura proviene da Pfizer e Moderna, che insieme procurano oltre 23 milioni di dosi alla settimana dei loro vaccini a doppia dose. Il vantaggio di Johnson&Johnson è che, oltre a richiedere una sola dose, è più facile da conservare rispetto agli altri perché non necessita di temperature eccessivamente basse. Circa sette milioni di americani hanno ricevuto finora il vaccino di Johnson&Johnson.
Jeffrey D. Zients, addetto al contrasto della pandemia della Casa Bianca, ha dichiarato che la pausa “non avrà un impatto significativo” sui piani dell’amministrazione Biden di vaccinare tutti i 260 milioni di adulti negli Stati Uniti entro la fine di maggio, anche contando sul fatto che una certa percentuale della popolazione rifiuterà comunque di farselo.
Gli esperti del governo temono che la patologia rara (nota come trombosi del seno venoso cerebrale) sia causata da una reazione del sistema immunitario innescata dal vaccino e temono che i medici non siano in grado di comprenderne i sintomi, limitandosi a somministrare un anticoagulante classico come l’eparina: “In questo contesto, la somministrazione di eparina può essere pericolosa e devono essere usati trattamenti alternativi”, afferma il comunicato congiunto della FDA e dei CDC.
Le preoccupazioni per il vaccino di Johnson&Johnson sembrano rispecchiare quelle su AstraZeneca, che l’EMA ha iniziato a indagare il mese scorso dopo che alcuni vaccinati hanno sofferto di coaguli di sangue. Su 34 milioni di persone che hanno ricevuto il vaccino in Gran Bretagna, Unione Europea e altri tre paesi, 222 hanno sperimentato trombi legati a un basso livello di piastrine. La maggior parte di questi casi si è verificata le prime due settimane successive alla vaccinazione, principalmente nelle donne sotto i 60 anni di età.
Il 7 aprile, l’Agenzia Europea del Farmaco ha individuato il disturbo come raro effetto collaterale del vaccino, ma al contempo ha affermato che i vantaggi superano i rischi, trovando il modo di limitarne l’uso verso i giovani e prediligendo gli anziani.
Il primo segnale di preoccupazione per il vaccino di Johnson&Johnson è arrivato il 9 aprile, quando l’EMA ha iniziato a indagare su quattro casi di coaguli di sangue negli Stati Uniti. Un caso si è verificato nella sperimentazione clinica che ha avuto luogo prima che il vaccino fosse autorizzato. Tre si sono verificati durante il lancio del vaccino. Uno di essi è stato fatale.
L’azienda ha comunicato, in accordo con le autorità europee, che le consegne nel Vecchio Continente sono state rinviate in chiave precauzionale, proprio lo stesso giorno in cui l’arrivo di 184mila dosi in Italia all’aeroporto di Pratica di Mare avrebbero dovuto dare nuovo slancio al piano del commissario all’emergenza Francesco Paolo Figliuolo. Nel piano vaccinale nazionale presentato a marzo era previsto l’arrivo di 26,57 milioni di dosi di Johnson&Johnson entro la fine del 2021: 7,31 milioni di dosi nel secondo trimestre, 15,94 milioni nel terzo e 3,32 nel quarto trimestre 2021. Quantità destinate probabilmente a variare dopo l’ennesima battuta d’arresto.
La decisione in ogni caso rappresenta un nuovo duro colpo per Johnson&Johnson, dopo che alla fine di marzo era emerso che i lavoratori di un suo stabilimento di Baltimora avevano accidentalmente contaminato un lotto di vaccino, costringendo a eliminare l’equivalente di 13-15 milioni di dosi. Come se non bastasse, l’Australia ha appena annunciato che non acquisterà più vaccini della società farmaceutica statunitense perché le sue caratteristiche sono simili a quelle di AstraZeneca: il portavoce del Ministero della Salute, Greg Hunt, ha dichiarato che “Johnson & Johnson è un altro vaccino vettoriale virale e non raccomandiamo, in questo momento, che il governo acquisti qualsiasi ulteriore vaccino vettoriale virale”.
Il vaccino Johnson&Johnson usa infatti una tecnologia diversa rispetto a quelli a mRNA di Pfizer e Moderna, avvalendosi invece di un adenovirus come vettore per far produrre l’antigene alle cellule le informazioni necessarie.