Gli uccelli riconquisteranno la terra per vendicarsi della nostra irresponsabilità nei loro confronti

Partiamo da un assunto: gli uccelli derivano dai dinosauri. Questa ipotesi è ormai abbastanza consolidata a livello scientifico, ma nella cultura popolare fatica ancora a trovare la propria dimensione nonostante allo stato attuale sia protagonista di diversi meme.

A supporto di tale teoria esistono numerosi elementi, come i tratti morfologici condivisi, tra i quali: piume complesse presenti in molti teropodi non aviani, utilizzate inizialmente per la termoregolazione; strutture ossee specializzate come lo sternum rovesciato e la furcula; piedi tridattili e ossa cave tipici delle specie moderne; sistema respiratorio con sacchi aerei. Le evidenze genetiche e filogenetiche sono ancor più valide: ad esempio i polli preservano geni attivabili per sviluppare denti ancestrali, mentre analisi genomiche su decine di specie di uccelli hanno disegnato l’albero filogenetico aviario e confermato un antenato comune con dinosauri e coccodrilli.

L’Archaeopteryx, dinosauro-teropode piumato del Giurassico superiore, è la prima prova, a livello fossile, di una possibile transizione, che il paleontologo americano John Ostrom negli anni ’70 del secolo scorso solidificò con l’ipotesi di una discendenza diretta dei volatili da teropodi come Tyrannosaurus Rex e Velociraptor. Da allora, decine di reperti hanno reso il quadro più preciso: ad es. l’Anchiornis (Giurassico superiore, Cina) possedeva piume non solo sulle ali ma anche sulle zampe posteriori, suggerendo una “fase a quattro ali” nella transizione verso gli uccelli.

Un dato invece più controverso e dibattuto riguarda l’estinzione della cosiddetta “megafauna”: a livello di grande pubblico, il saggista israeliano Yuval Noah Harari ha reso popolare l’idea che l’uomo sia l’animale più feroce della terra (manco avesse una divisa dell’esercito israeliano cucita sulla pelle!) e che la sua comparsa in qualità di “super-predatore” abbia portato a un “ridimensionamento” lato sensu dei grandi mammiferi.

A parte l’intento ideologico con cui vengono divulgate taluni tesi, bisogna ammettere che la sincronizzazione del fenomeno con l’espansione dell’Homo sapiens è notevole: le grandi estinzioni si concentrano subito dopo l’arrivo di cacciatori moderni in ogni continente, dalla Piattaforma di Sahul alle Americhe.

In Nordamerica, per esempio, siti come Folsom e Clovis mostrano ossa di mammut e mastodonti con punte di selce infisse, segno di caccia umana; analogamente in Sudamerica e Australia si rinvengono strumenti litici associati a resti di megafauna. Contrariamente, l’Asia e l’Africa hanno subito poche perdite, coerente con la coevoluzione uomo–animale. Indagini sui resti fossili (ad es. datati mediante radiocarbonio) evidenziano che in molti casi le ultime testimonianze di specie giganti coincidono con l’arrivo dei cacciatori.

La comunità scientifica comunque valuta altre ipotesi al di là di quella tendenza definita grottescamente overkilling antropico, come, per dire, i cambiamenti climatici post-glaciali (argomento però a ben vedere sempre sostenuto perlopiù per motivi ideologici e non scientifici).

Ora, arriviamo a una schizoteoria costruita semplicemente valutando gli elementi messi sul tavolo finora: da una parte, grandi predatori che si estinguono per l’impatto antropico; dall’altra, creature che si rimpiccioliscono conservando la memoria genetica dei “giganti” da cui provengono. È noto che la “pressione venatoria” abbia influenzato il percorso di estinzione dei famigerati “uccelli elefante”, gli Aepyornithidae, i cui ultimi esemplari sarebbero scomparsi addirittura nell’anno Mille (dopo Cristo!) e avrebbero lasciato come “parenti prossimi” i kiwi, quei simpatici quagliotti incapaci di volare conosciuti internazionalmente come animale-totem della Nuova Zelanda.

Ora, a ben vedere l’umanità non è mai stata né eccessivamente generosatotalmente crudele verso la fauna: taluni atteggiamenti rispondono semplicemente ad angosce ancestrali e timori di perdere il dominio. L’ominizzazione però ha poi portato a una sorta di sfiducia nei confronti della propria stessa specie, rappresentata come naturaliter sadica tramite una disonesta operazione di occultamento della millenaria storia da “predati” (dunque vittime elettive della Natura Matrigna).

L’essere umano è perciò smarrito, disorientato, e invece di cercare un equilibrio con gli uccelli prova ambigui sentimenti di attrazione e repulsione, per esempio vedendo un magnifico pappagallo in cattività e immaginando che la bestiolina potrebbe essere “più felice” chissà quando e chissà dove o come, ma al contempo non potendosi del tutto privarsi della possibilità di possedere una gabbietta con dentro qualche vivacissimo e intelligentissimo volatile, fonte di gioia perpetua.

A lungo andare, il disfattismo psico-socio-biologico rischia di portare la nostra specie verso uno scenario in cui gli uccelli potrebbero colonizzare nicchie ecologiche tradizionalmente dominate da mammiferi. Insomma, questo folle ecologismo potrebbe quasi costringere i nostri cari amici canarini a dismettere certi deliziosi tratti neotenici che li rendono apprezzabili per istinto (gli occhioni, il becco tendente al sorriso, il piumaggio morbidissimo, il canticchiare infantile paragonabile alle movenze da bimbo curioso ecc..) e rispedirli nel fondo melmoso e oscuro della matrice, dove riposano zanne, artigli e ossa mastodontiche.

Le aquile, del resto, sono sopravvissute a ricordarci lo sforzo collettivo messo in atto per poter avere “un canarino sopra la finestra”: ancora oggi la loro potenza potrebbe trasformare in preda non solo un neonato, ma anche un ragazzo appena adolescente. Gli uccelli poi, in generale, sono dotati di un’alta plasticità genetica e di un altrettanto rapido ciclo vitale, che si manifestano nella loro “insolita” capacità di adattamento in base al clima e alle possibilità predatorie. La paleontologia, inoltre, documenta che, senza mammiferi concorrenti, gli uccelli possono divenire dominanti (si ricordano i Phorusrhacidae, non a caso conosciuti come “uccelli del terrore”), oppure sviluppare fisiologie estreme. Di conseguenza, nel giro di pochissimi milioni di anni (veramente pochi), potrebbero emergere nuove forme simili ai dinosauri estinti, adattate ai futuri ecosistemi.

Dobbiamo perciò continuare a portare rispetto agli uccelli, il che non significa consegnarli alla Mater horribilis dal quale li abbiamo emancipati rendendoli degli eccezionali animali da compagnia proprio nella misura in cui sono assolutamente disarmati nei nostri confronti.

Certo, talvolta la bestialità dell’uomo ispira fantasie di riscatto da parte di povere cocorite e calopsite, come testimonia uno dei più grandi film di tutti i tempi, Chicken Park diretto e interpretato da Jerry Calà nel 1994, il quale sin dal principio venne condannato a una insopportabile damnatio memoriae, talmente esagerata e distruttiva da risultare più che sospetta.

Che il buon Calogero Alessandro Augusto Calà, nelle sue lunghe frequentazioni del sottobosco dello spettacolo, sia incappato in un mistero tramandato da secoli nelle logge al riparo dai “riflettori della ribalta”, il quale è stato espresso dal tanto osannato Jurassic Park nelle forme ridicolmente “umanistiche” e asettiche con cui Steven Spielberg ha cercato di turlupinare le masse sulle sorti magnifiche e progressive del prometeismo occidentale, le cui conseguenze nefaste sarebbero “risolvibili” nella stessa misura in cui invece l’onesto Calà ritrae la brutalità del disorientamento post-umano o transumano nella commovente amicizia tra un uomo e il suo pollo, che restituisce il nucleo della questione più di qualsiasi effetto speciale hollywodiano.

La cosiddetta “evoluzione” è una spirale che rischia di riportarci perennemente nel gorgo muto della bestialità. Ogni cinguettio o battito d’ali mantiene, come una macchina del tempo genetica, memoria dell’epoca in cui queste creature, ora minuscole e familiari, regnavano sovrane sul mondo. Se l’uomo dovesse “abbandonare la scena” – per esaurimento, hybris o cupio dissolvi – non saranno le macchine a ereditarla, né simulacri senz’anima. Forse saranno loro, gli uccelli, a risorgere, testimoni di una potenza imprevedibile che non si è mai estinta, ma solo ridotta, mascherata, nascostasi in un involucro capace di sopravvivere per eoni.

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One thought on “Gli uccelli riconquisteranno la terra per vendicarsi della nostra irresponsabilità nei loro confronti

  1. A prescindere da tutto ciò, da un paio d’anni allevo galline e lo consiglio a tutti. È forse l’animale domestico che da più soddisfazioni. Porta un minimo di “autarchia” alla famiglia, donando uova, carne e fertilizzante. Permette di minimizzare gli sprechi di cibo. Non richiede grossi costi né attenzioni spropositate. Inoltre le galline sono ipnotiche: passeresti ore a guardarle muoversi, beccare, razzolare. Anche il canto del gallo è utile, in quanto dà gioia e ricongiunge con i ritmi della natura. Oltre ciò la triste necessità che presto o tardi si presenta di macellare dei capi, fa riflettere sulla necessità e preziosità del sacrificio che ci porta la carne in tavola. Consiglio l’allevamento di galline a chiunque abbia la fortuna di avere lo spazio necessario al pollaio e un minimo terreno da adibire al pascolo.

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