“Grande è la confusione sotto il cielo”, diceva Mao – ma a differenza sua la situazione ci pare tutt’altro che eccellente, dal momento che tale confusione regna anche sopra il cielo (citazione ancor più amusant).
Entriamo subito in medias res: l’attuale Pontefice ne ha dette davvero troppe, perché sia possibile approcciare ancora alla verità cristiana attraverso l’apologetica. E’ forse questa, rotto qualsiasi argine, un’epoca di ordalie, di segni dei tempi, catastrofi, apocalissi (o qualcosa del genere)?
Temo che per la propria salute spirituale (e mentale) andrà coltivata un minimo di infedeltà in senso assoluto, come reazione speculare all’infedeltà selettiva a cui il magistero odierno vorrebbe obbligare i fedeli verso la propria fede. Sin dai primi mesi del pontificato, infatti, Bergoglio chiarì subito, dalle colonne di “Repubblica” (eh…), che «il proselitismo è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda» (1 ottobre 2013).
Nonostante fossimo ancora ai primordi del “bergoglismo”, già allora si stava imponendo la tendenza a non interpretare o giustificare il pensiero del Papa, ma semplicemente presentarlo come un dato di fatto, se non di natura. Tuttavia, fu dopo qualche anno (e numerose sparate altrettanto imbarazzanti) che Bergoglio, in un’intervista a “La Croix” (17 maggio 2016), aggiunse un oscuro corollario al motto precedente:
«Non credo che oggi ci sia una paura dell’Islam in quanto tale, ma dell’Isis e della sua guerra di conquista, in parte derivata dall’Islam. L’idea di conquista è inerente all’anima dell’islam, questo è vero. Tuttavia, è anche possibile interpretare, con la stessa idea di conquista, la fine del Vangelo di Matteo, quando Gesù invia i suoi discepoli in tutte le nazioni».
In tal caso, tutti hanno fatto finta di non sentire, eludendo per l’ennesima volta il momento dell’edulcorazione, dell’indoramento. Per dire: Papa Francesco voleva solo indicare che anche il Vangelo è suscettibile di un’interpretazione fondamentalista, non paragonare Gesù a Maometto (o direttamente all’Isis). Questa sarebbe stata una buona toppa: eppure, a forza di non mettercela (nemmeno quella “peggiore del buco”) si è finito per introiettare nei fedeli una specie di “ebbrezza della distruzione”, se non un vero e proprio cupio dissolvi.
Di questo però si è già discusso: è fin troppo noto il relativismo a senso unico con cui taluni martirizzano il loro fratelli di fede nello stesso istante in cui accettano qualsiasi tipo di aberrazione da ogni religione che non sia la cattolica. Anche Bergoglio, del resto, è a suo modo profondamente relativista, come dimostra un passaggio dell’intervista appena citata:
«Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene. […] Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce».
Facile l’obiezione: come si possono conciliare l’idea del Bene di un vegetariano con quella di un cacciatore? (Tanto per fare l’esempio più ridicolo che mi viene in mente). E’ chiaro che una sentenza del genere potrebbe essere contestata sotto qualsiasi punto di vista, ma il Papa l’ha buttata lì senza offrire nemmeno uno straccio di corollario (anche a distanza di anni). Dunque non si capisce nemmeno cosa farne; certo sarebbe il colmo respingerla (o addirittura accoglierla) in base alla “propria idea di bene”!
Capite perciò l’inghippo, il casino, che una tale leggerezza provoca in un’istituzione specializzata da secoli nella produzione di dogmi. L’umanità ha in fondo potuto resistere al dispotismo illuminato poiché esso non toccava se non incidentalmente le cose del cielo, comunque sempre conservando un alibi di “giustizia” (d’ultima istanza). Portare tale metodo di governo a un livello superiore vorrebbe dire condurci verso un dispotismo relativista, un serpente che si morde la coda senza lasciare nemmeno un po’ di “grasso che cola” (capolavori architettonici, nuove costituzioni, idee avveniristiche sull’organizzazione della società, babeliche biblioteche nazionali ecc…). Nel caso del cattolicesimo, possiamo pure scordarci quel minimo di eudemonia che esso garantiva, seppur nella confusione tra “civilizzazione” e “santificazione” rilevata da Romano Amerio nella nozione di “cristianesimo secondario”. Il Gran Liquidatore del cattolicesimo (in senso lato, includendo anche la nozione di “modernità liquidità” del suo amato Bauman) ci trascina in un’epoca di ordalia perpetua.
Mi conforta (si fa per dire) trovare conclusioni simili nel volume del prof. Enrico Maria Radaelli La Chiesa ribaltata (Gondolin, Verona, 2014), per certi versi piuttosto distante dalle mie premesse (o forse no). La dogmatizzazione di una sola delle posizioni assunte dal Pontefice rappresenterebbe a tutti gli effetti un “giudizio di Dio”, nella misura in cui essa farebbe conflagrare ogni contraddizione e ogni “non-detto” che stanno alla base della surreale rincorsa al più scioccante ballon d’essai. Nel migliore dei casi, un intervento dell’Altissimo non sarebbe neppure necessario, poiché le dinamiche stesse attraverso le quali da secoli sopravvive l’istituzione ecclesiastica farebbero piazza pulita di lunghissimi anni di chiacchiericcio; epperò uno scenario “imprevisto” potrebbe essere proprio l’ordalia, non il figliolo prodigo che va al Padre, ma il Padre che viene da noi. Questo però fa parte delle cose nascoste sin dalla fondazione del mondo, e quindi non ne parleremo.