Grazie a Kanye West l’antisemitismo negli Stati Uniti ora è mainstream

(Kanye West in fascist uniform)

Voglio ricapitolare l’affaire West perché da come lo raccontano i nostri media non si capisce nulla: stiamo parlando di un rapper afroamericano, Kanye West (noto anche come Ye), classe 1977, rimasto al centro della scena per qualche lustro fino a quando non ha mostrato aperto sostegno per Donald Trump, facendosi addirittura ricevere alla Casa Bianca nell’ottobre 2018. Da quell’episodio i suoi rapporti con lo star system si sono sempre più deteriorati, complice anche una pseudo-conversione al cristianesimo; infine il bubbone è esploso con lo sfoggio di una maglietta con su scritto White Lives Matter a Parigi, durante la “settimana della moda”.

Per spiegare la sua scelta, Kanye si è fatto intervistare dal presentatore Tucker Carlson di Fox News: un’ora di discussione farcita di attacchi al genero ebreo di Donald Trump, Jared Kushner, e di commenti antisemiti assortiti, che la stessa emittente conservatrice ha dovuto censurare. Per esempio, West ha biasimato il fatto che i figli, invece di essere edotti sulle feste cristiane tradizionali, abbiano ricevuto a scuola inutili insegnamenti sul cosiddetto Kwanzaa (una sorta di Natale per neri americani, incentrato sull’afrocentrismo), aggiungendo che sarebbe stato più contento se i suoi figli avessero imparato qualcosa su Hanukkah (una festa ebraica) almeno per scaltrirsi a livello finanziario.

Dopo l’intervista il rapper se l’è presa con un collega (Puff Daddy) che lo ha accusato in privato di “danneggiare la nostra gente”, tacciandolo di essere stato mandato dai servizi segreti e dagli ebrei. In seguito ha pubblicato un tweet affermando di esser pronto ad “andare in guerra” contro gli ebrei (sostenendo però che “non posso essere antisemita perché i neri sono i veri ebrei”, un’idea che si collega alle credenze di varie sette afroamericane come i Black Hebrew Israelite) e la reazione dell’establishment è stata piuttosto dura: la sua banca di fiducia, JP Morgan, gli ha dato all’istante il benservito senza alcuna spiegazione.

Galvanizzato dalla gragnola mediatica, Kayne West si è presentato alla premiere di un documentario dell’opinionista conservatrice Candace Owen sul movimento Black Lives Matter, nel quale viene demolito il mito di George Floyd: in tale occasione ha ammesso la sua soddisfazione per aver “superato il limite” con i suoi commenti antisemiti, auspicando che finalmente si possa tenere un dibattito aperto sulla questione.

L’ultimo capitolo della saga è una lunghissima intervista (circa tre ore) per un podcast (Drink Champs) gestito da afroamericani, nel quale West ha denunciato ripetutamente i “media ebraici” [Jewish media], ha accusato gli ebrei di controllare il 90% della scena rap, ha affermato che ogni celebrità ha un “controllore ebraico” [Jewish handler], che gli ebrei usano i neri per attaccare i bianchi, che hanno una liberal agenda messa in atto attraverso i media e il partito democratico, che hanno una morale sessuale diversa rispetto ai cristiani (attaccando in particolare il vecchio compagno della sua ex, Pete Davidson, ovviamente ebreo) e che sono favorevoli al divorzio (ritenendoli indirettamente colpevoli di aver causato il suo, con Kim Kardashian). Infine Kayne ha accusato i “media controllati da ebrei” di descriverlo come un malato mentale.

Ora siamo al punto in cui Kanye West viene paragonato apertamente ad Adolf Hitler da altre celebrità:

Non so cosa accadrà a questo ragazzo. Da tempo Kanye indossa un cappellino con il numero 2024, che sarebbe l’anno in cui vorrebbe ipoteticamente candidarsi come Presidente degli Stati Uniti (ci ha già provato nel 2020, ricevendo circa 60mila voti). La politica americana è crudele e non vorrei facesse la fine di Huey Long (1893–1935), leggendario populista democratico della Louisiana assassinato da un ebreo, oppure Charles Lindbergh, storico aviatore americano che propugnava una politica isolazionista e all’insegna dell’America First in tempi non sospetti (gli anni ’30 del secolo scorso), distrutto moralmente e umanamente nonostante fosse considerato un eroe nazionale (ricordiamo anche che suo figlio ancora in fasce venne rapito e ucciso da un certo Bruno Hauptmann).

Un dettaglio singolare è come tutta la stampa mainstream (compresa quella italiana, che riflette naturalmente quella internazionale) in questi giorni si stia esclusivamente concentrando sulle dichiarazioni del rapper riguardanti George Floyd (peraltro non farina del suo sacco, ma tratte di peso dal documentario della Owens), come se le amenità sul “dominio ebraico” non meritassero nemmeno un ditino alzato. Qualcosa bolle in pentola. E sicuramente certi exploit hanno portato a uno sdoganamento della questione, se persino Donald Trump, dopo aver stigmatizzato (anche se non pubblicato) le dichiarazioni del suo “amico”, è comunque corso sul suo social Truth (che attualmente possono utilizzare solo le persone residenti negli Stati Uniti) per denunciare l’ingratitudine degli ebrei americani nei suoi confronti nonostante “Nessun Presidente abbia mai fatto tanto per Israele quanto me” e invitandoli a “mettersi d’accordo con se stessi”.

Anche Elon Musk, astro nascente della geopolitica americana, ha espresso soddisfazione per l’annuncio dell’acquisto da parte di Kanye West del social Parler (considerato “covo dell’estrema destra”), postando un tweet (cancellato poco dopo) la cui ironia per quanto sta accadendo a livello mediatico appare totalmente fuori luogo (a meno che Musk non abbia alcun timore a considerarsi amico di un antisemita, il che è politicamente -e non solo- rilevante).

Non so cosa andrà con questo sdoganamento dell’antisemitismo come non si era mai visto, ma in ogni caso preghiamo per il nostro Kanye, come lui ci ha insegnato a fare:


2 thoughts on “Grazie a Kanye West l’antisemitismo negli Stati Uniti ora è mainstream

  1. a quell’episodio i suoi rapporti con lo star system si sono sempre più deteriorati, complice anche una** pseudo-conversione al cristianesimo**;
    Perché “**pseudo***”?!?

    1. Perché si è sempre dichiarato cristiano ma non praticante, poi ha annunciato una “ri-conversione” spettacolare dai contorni indefiniti, a volte si è proclamato egli stesso una divinità, a volte ha incorporato elementi e simboli gnostici nella sua opera. La vera testimonianza della sua fede è l’album rap-gospel “Jesus is King” ma per il resto non è possibile nemmeno sapere a quale denominazione appartenga (il che da una certa prospettiva è irrilevante, ma dall’altra almeno offre una parvenza di coerenza).

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