«Mi sento più che mai incapace d’amare una sola donna, perché amerò sempre troppo tutte le altre. Vorrei avere mille braccia, mille labbra e mille… energie per poter abbracciare nello stesso tempo un esercito di quegli esseri deliziosi e senza importanza».
La prima volta che mi imbattei in Maupassant fu attraverso un passaggio dell’autobiografia di Nietzsche, Ecce Homo. Rimasi colpito da come, in un libro altrimenti caustico, il tono dell’autore si faceva tutto d’un tratto ditirambico nel parlare dello scrittore francese:
«lo non saprei davvero in che secolo della storia si potrebbe pescare in una volta degli psicologi così curiosi e, insieme, così delicati come quelli della Parigi attuale: Paul Bourget, Pierre Loti, Gyp, MeiIhac, Anatole France, Jules Lemaitre, o, per dirne uno della forte razza, un vero latino cui io sono specialmente affezionato, Guy de Maupassant».
Il mio secondo incontro con lui avvenne anch’esso attraverso la penna di un altro; questa volta, il colpevole fu lo scrittore spagnolo Enrique Vila-Matas, che, nel suo racconto giocoso Bartleby e compagnia, descrive con dettagli raccapriccianti il tentato suicidio del letterato:
«”Sono invulnerabile, sono immortale!” grida Maupassant. “Mi sono tirato un colpo di pistola alla testa e ne sono uscito incolume. Non ci credi? Allora guarda.” Maupassant appoggia di nuovo la canna della pistola alla tempia e preme il grilletto; una detonazione simile avrebbe potuto abbattere le pareti, ma l'”immortale” Maupassant rimane dritto in piedi davanti al letto. “Mi credi adesso? Niente può più farmi male. Potrei sgozzarmi e di sicuro non sgorgherebbe sangue.” Maupassant in quel momento non lo sa, ma non scriverà mai più nulla. Di tutte le descrizioni di questa “scena immortale”, quella di Alberto Savinio in Maupassant e “l’altro” è la più brillante, per la geniale sintesi di umorismo e tragedia. “Maupassant,” scrive Savinio, “passa senza por tempo in mezzo dalla teoria alla pratica, afferra sulla tavola un tagliacarte di metallo in forma di pugnale, si colpisce alla gola per una dimostrazione d’invulnerabilità anche all’arma bianca, ma l’esperimento lo smentisce: il sangue schizza fuori a getto, poi viene giù a fiotti sul colletto, sulla cravatta, sul panciotto“».
Inutile dire che la natura raccapricciante di questo aneddoto ha suscitato in me un certo fascino. Non che io sia una persona attratta dal macabro, tutt’altro, ma ho trovato piuttosto curiosa la resistenza alla morte, quasi alla Rasputin, dimostrata dal celebre maestro del racconto.
Cercando su Google fotografie di Maupassant, ci si imbatte nei ritratti di un uomo attraente e vigoroso, un appassionato di canottaggio, attività di cui ha descritto le complessità in alcuni dei suoi racconti. In effetti, tra gli studiosi della sua opera, è noto che Flaubert una volta rimproverò il suo protetto di dedicare troppo tempo all’esercizio fisico e a rincorrere le donne. Che la sua forma fisica olimpica fosse in parte responsabile della sua straordinaria resistenza alla morte? Forse…
Il mio terzo incontro con Maupassant è avvenuto nell’Antologia della letteratura fantastica, compilata dai leggendari Jorge Luis Borges, Adolfo Bioy Casares e Silvina Ocampo. E qui, finalmente, ho avuto accesso diretto, quasi carnale, ai suoi testi. Il testo scelto per il mio debutto è stato Chissà?, un racconto brillante e inquietante, un perfetto esempio della vena letteraria più misantropica e squilibrata del francese.
Da lì, sono passato ai suoi racconti classici, quelli considerati “essenziali” dalla critica: Boule de Suif, Le Horla, La collana e così via. Il fatto è che, una volta finiti questi, l’opera di Maupassant continua. E come! Lunga e prolissa, perché durante la sua carriera, il francese poteva vantarsi di essere uno scrittore torrenziale, riuscendo, all’apice della sua creatività, a pubblicare in media uno o due racconti al mese, per lo più su giornali di tendenza conservatrice. Questo, tra l’altro, non dovrebbe sorprendere nessuno: a ben guardare, tutta la sua opera rivela un’intransigenza e una mancanza di illusioni che potrebbero essere descritte solo come “di destra”.
Se entriamo nel merito politico, parte delle opere di Guy de Maupassant potrebbe persino prefigurare la Red Pill, Andrew Tate e tutto quel realismo smargiasso che i giovani sembrano amare. Perché sì, è vero che nella sua vasta opera, Maupassant annovera i noti racconti di orrore, follia e guerra, ma ha anche una significativa selezione di racconti incentrati sulle relazioni amorose dei parigini durante la Belle Époque di fine Ottocento, racconti che, a loro volta, potrebbero essere la rappresentazione più cruda della psicologia femminile mai messa su carta.
Detto questo, prevengo il lettore scettico che, leggendo queste righe, potrebbe immaginare Maupassant come l’ennesimo autore misogino e arrabbiato che vuole solo inveire contro le donne e la loro risaputa frivolezza. Nulla potrebbe essere più lontano dalla verità. Maupassant è spietato con le donne quanto con gli uomini e, nei suoi racconti, riconosce implicitamente che, nella modernità, quando si tratta di relazioni, entrambi i sessi si ingannano a vicenda sulle proprie aspettative.
Il cinico e conciso Sul bordo del letto è un buon punto di partenza per questo aspetto della sua opera. La sua breve trama si svolge nell’abitazione di una coppia di piccola nobiltà – l’equivalente, a quell’epoca, della sempre più rara convivenza di breve durata tra due membri della nostra classe professionale e accademica – ed è strutturata attorno a un dialogo tra marito e moglie dopo aver partecipato a una festa dell’alta società parigina. La storia in sé è deliziosa e mette a nudo, senza autoinganni, la farsa del matrimonio civile e laico, che, agli occhi di Maupassant, funziona come una sorta di unione a breve termine, e interessata, tra uomini e donne di città, “uguali”, ma non più complementari; sostenuta esclusivamente da ragioni economiche e dalla necessità di salvare le apparenze:
«Amico mio, siate sincero: il fatto è che oggi non la pensate più come un anno fa. Quando seppi che avevate un’amante della quale eravate innamorato, voi non badavate se ci fosse qualcuno o no a farmi la corte. Vi dissi il mio dispiacere; vi dissi, come avete fatto voi stasera, ma con maggior ragione: “Mio caro, voi compromettete la signora di Servy, addolorate me e mi coprite di ridicolo”. Che rispondeste? Mi faceste chiaramente capire che ero perfettamente libera, che il matrimonio, fra persone intelligenti, non è altro che un’associazione d’interessi, un legame sociale ma non morale. È vero o no? Poi mi faceste capire che la vostra amante era assai meglio di me: più seducente e più donna. Diceste proprio: più donna. Tutto questo mi diceste, lo riconosco, con maniere educate, con una quantità di complimenti ed una delicatezza a cui m’inchino. Nondimeno capii benissimo.
Restammo d’accordo che da allora in poi avremmo vissuto insieme, ma completamente divisi. Nostro figlio rappresentava l’unico legame tra noi.
Mi faceste quasi capire che volevate soltanto salvare le apparenze; che, se mi fosse piaciuto, avrei potuto prendere un amante, purché non si sapesse della mia relazione. Faceste una lunga dissertazione, molto bella, sull’astuzia delle donne, sulla loro bravura nel salvare le convenienze, e via dicendo.
Capii, amico mio, capii benissimo. Allora eravate molto innamorato della signora di Servy ed il mio affetto legittimo e legale vi era venuto a noia; sì, io vi privavo di qualcuna delle vostre risorse. Da allora in poi vivemmo separati: andiamo insieme in società e torniamo a casa insieme; poi ognuno va dalla sua parte».
La storia si conclude con la moglie che cinicamente si presta a far sesso con il marito in cambio di denaro, una transazione che lui accetta con riluttanza. La storia convalida uno dei tipici riflessi del mondo della “Pillola Rossa” e della Manosphere: quella logica disillusa secondo cui, oggi, i rapporti tra uomini e donne ruotano esclusivamente attorno al piacere per i primi e al denaro e all’attenzione per le seconde. La conclusione di Maupassant è chiara: il rapporto tra marito e moglie differisce poco da quello tra clienti e prostitute. Una storia brillante, particolarmente piacevole da leggere ad alta voce!
Sulla stessa falsariga di Incontro, un racconto panoramico in cui Maupassant mette a nudo la freddezza e il pragmatismo con cui alcune donne trattano gli uomini in ambito sentimentale. L’atmosfera fredda e impersonale dell’inizio mi ricorda Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick e il suo protagonista yuppie interpretato da Tom Cruise. La differenza è che, in questo caso, l’infedeltà non è una fantasia confessata dalla moglie di Cruise, ma una scena reale a cui il protagonista stesso ha assistito. Questo scatena immediatamente una separazione discreta, in termini apparentemente amichevoli, il tutto con il cinico obiettivo di proteggere la reputazione dell’uomo nell’alta società dell’epoca.
Con il passare degli anni, tuttavia, il protagonista invecchia e cade in una spirale di noia e disillusione. Non gli mancano né svago né distrazioni, ma nulla sembra appagarlo. Un giorno, del tutto per caso, incontra la sua giovane moglie, e il contrasto tra il suo deplorevole stato attuale e la bellezza e serenità della donna riaccende il suo desiderio. Ma a quanto pare è ormai troppo tardi, e quella che sembrava una mera coincidenza non lo è, e così, ancora una volta, la donna si rivela, agli occhi di Maupassant e ai nostri, come il più astuto e spietato dei sessi.
Se c’è una cosa che detesto del femminismo studentesco e dell’attivismo di sinistra in generale, è la loro abitudine di impiegare sistemi teorici fallaci e deliranti per analizzare l’arte o la letteratura create da uomini bianchi: invece di prenderla per quello che è, queste persone tendono a vedere nei racconti di Maupassant o i romanzi di D.H. Lawrence una misoginia esagerata, dove non c’è altro che franchezza e libera riflessione. Siate d’accordo o in disaccordo con qualsiasi cosa questi testi esprimano, è un vostro diritto, ma non usateli per sostenere e diffondere la vostra ingenua visione della realtà.
In questo senso, è impossibile non individuare in Una scampagnata alcuni elementi autobiografici che rispecchiano il proposito di mettere su carta esperienze e riflessioni personali. La trama è, ancora una volta, semplice, quasi aneddotica, ma questa volta è narrata in modo vivido ed enfatico. C’è, se vogliamo, una sfumatura sociologica nei personaggi e nelle situazioni descritte da Maupassant, ma allo stesso tempo, è difficile non immaginare l’autore francese nei panni del giovane canottiere Henri (uno dei personaggi); questo, ovviamente, prima che crescesse e maturasse fino a diventare il brillante e disilluso autore di cui stiamo parlando ora e che, forse, se fosse nato a metà o alla fine degli anni Novanta del secolo scorso, prospererebbe sui social media come uno di quegli influencer o streamer redpill che, in tono aneddotico, raccontano le loro esperienze sentimentali con le donne ai propri giovani ascoltatori.
Dopotutto, Maupassant faceva qualcosa del genere nei suoi racconti; e almeno durante il suo apice creativo, non sarebbe esagerato dire che divenne una sorta di punto di riferimento per ogni “Giovane Promessa” (basta guardare, se volete, a d’Annunzio o Horacio Quiroga, che copiarono molti dei suoi manierismi letterari e persino il suo modo di vestire. Questa è arte!).
Una scampagnata ritrae perfettamente la vita, le dinamiche e i costumi della tipica famiglia piccolo-borghese francese di fine Ottocento. In questo caso, i Dufour, proprietari di una rinomata bottega di utensili, decidono di prendersi una giornata di ferie per andare in campagna. Durante quella memorabile gita, incrociano due atletici canottieri, abituati agli svaghi rustici e alle vicissitudini della natura, e la figlia più giovane della famiglia si invaghisce di uno di loro. Henri, il giovane che ha catturato la sua attenzione, trova rapidamente un modo ingegnoso per farla staccare dalla famiglia e portarla in una radura per fare l’amore con lei. La giovane donna è, ovviamente, felicissima, e quell’esperienza si rivelerà in seguito fonte di tristezza per entrambe le parti coinvolte.
L’idea, forse poco considerata dagli uomini dell’epoca, che la donna sia un essere erotico altrettanto desideroso, se non di più, della sua controparte maschile, viene esplorata in profondità da Maupassant, solitamente in alcuni dei suoi racconti più esilaranti e, al tempo stesso, incisivi. Ancora una volta, leggendo questi pezzi, è impossibile non immaginare il Francese come una sorta di Andrew Tate ante litteram, che smonta nei suoi racconti l’idea che le donne siano più “buone” ed “empatiche” dell’uomo medio e istruisce il suo pubblico maschile sulla necessità di non rinunciare alle donne, ma di trattarle come “esseri deliziosi e senza importanza”.
Un uomo saggio è una storia su quanto possa essere insaziabile la sessualità femminile – un malessere diffuso al giorno d’oggi, in cui le donne sono costantemente incoraggiate a cercare piacere e approvazione online – e su quanto questo possa essere estenuante per gli uomini. La sua morale è divertente perché sembra suggerire l’inevitabilità dell’infedeltà, sia maschile che femminile, per mitigare questo squilibrio mentale.
Il sistema di Roger, invece, narra le tribolazioni di un giovane e timido verginello che sposa esattamente il suo opposto, una donna che potrebbe essere il suo peggior incubo: una vedova astuta e prepotente che, la prima notte di nozze, gli rinfaccia la sua goffaggine e inesperienza a letto. Frustrato, il nostro omonimo protagonista scopre l’afrodisiaco perfetto da offrire alla sua ardente moglie. Si reca in un bordello a pochi isolati da casa e, dopo aver assaggiato con entusiasmo il menu delle donne disponibili, torna dalla moglie avendo finalmente trovato la soluzione al suo problema:
«Non risposi. Mi spogliai con sicurezza. E, come un padrone trionfante, ripresi il posto da cui ero fuggito. Era stupita e convinta che avessi fatto ricorso a qualche misterioso segreto».
Il più divertente di tutti i racconti di Maupassant è forse Lapidi. La storia parte da un gruppo di giovani amici che, dopo aver bevuto abbondanti quantità di alcol, iniziano a raccontarsi storie di alcune delle loro avventure amorose. Joseph de Bardon, la voce del protagonista nel racconto, narra con umorismo e apparente distacco il suo incontro con una bellissima ragazza nel cimitero di Montmartre. La ragazza sa come raggiungere la sua anima nel modo più efficace con cui una donna può controllare un uomo: attraverso le lacrime. Bardon ne è immediatamente invaghito, e così inizia una breve ma istruttiva storia d’amore, che riassume perfettamente lo spirito della citazione dell’autore che ho scelto per aprire questo articolo:
«Andai per la mia strada, pieno di stupore, chiedendomi cosa significasse tutto questo, a quale razza di esseri appartenesse questa cacciatrice di tombe? Era forse una ragazza comune, una che andava a cercare tra le tombe uomini in pena, perseguitati dal ricordo di qualche donna, una moglie o un’innamorata, e ancora turbati dal ricordo di carezze svanite? Era unica? Ce ne sono molti? È una professione? Sfilano al cimitero come sfilano per strada? Oppure era solo colpita dall’idea ammirevole e profondamente filosofica di sfruttare i ricordi d’amore che rivivono in questi luoghi funerei?».
Fonte: Felipe Villamayor, Maupassant as the Original Red Pill Guy, “Counter-Currents”, 5 giugno 2025.
“caro Guy, non si deve mai andare in Germania!”
La ragione sociale del blog la conosciamo e ci piace anche per il metodo metariflessivo.
Maupassant nel pantheon rojapastillado, profeta della verità sulla donna, smascheratore di infami manipolatrici e infedeli, difensore del desiderio maschile in purezza, oggi criminalizzato, etc.
Non si sa che questo Felipe Villamayor sia un’astro nascente della manosphera latina, purtroppo ci sembra il solito giochino per elevare esteticamente il discorso.
Ognuno si sceglie il suo ”maledetto”, il “tormentato” martire della verità rifiutata, delle cose che non si possono dire: “vedete? Lo dicevano già allora, è sempre stato così, oggi ci è vietato ammetterlo. E noi siamo colti, pensiamo leggiamo, non siamo bestie da palestra o gamers rachitici…”. Vabbè
Grazie per la citazione.
L’articolo è una brodaglia amerinda: Maupassant aveva parole di disprezzo fin maggiore anche per gli uomini, che certo non riteneva vittime eticamente superiori delle donne… come dispone la finocchiopill.