The Jew who worked for the Nazis and hunted down refugees in WWII Greece
(Sarah Abrevaya Stein, “The Times of Israel”, 23 gennaio 2020)

Ho imparato una lezione facendo ricerche per il mio libro appena pubblicato Family Papers: a Sephardic Journey Through the Twentieth Century: ho infatti scoperto la storia dimenticata di un giovane ebreo, una vicenda che mi ha insegnato che né l’appartenenza culturale e neppure l’attaccamento filiale aiutano a comprendere i comportamenti di un uomo. L’identità non è un destino e tutti noi possiamo incappare nei rivolgimenti della storia.
Vital Hasson, originario di Salonicco, capitale culturale dell’ebraismo sefardita e città che un tempo vantava una enorme comunità che considerava Salonica la sua casa, proveniva da una famiglia della classe media di giornalisti, scrittori, insegnanti e leader politici.
Egli però si allontanò fatalmente dai valori della sua stirpe, lasciandosi ammaliare da un regime populista (sic) e travolgere dalla violenza, dalle bugie, dall’odio. Abusò del suo potere per prendersela con i più deboli e per le sue malefatte è stato ripudiato dalla sua stessa famiglia. Dopo la Seconda guerra mondiale, Hasson fu l’unico ebreo in tutta Europa [assieme alla collaborazionista olandese Ans van Dijk] a essere giustiziato per aver aiutato i nazisti.
La famiglia di Hasson, come la maggior parte dei sefarditi di Salonicco, discendeva dagli ebrei espulsi dalla Spagna nel XV secolo i quali parlavano una lingua giudeo-spagnola conosciuta come ladino. Per cinque secoli hanno trovato casa nell’impero ottomano, nell’Europa sud-orientale e a Salonica.
Prima della guerra Hasson “non contava nulla”, a detta di una delle decine di sopravvissuti che avrebbero successivamente testimoniato contro di lui. Quando la sua città era ancora ottomana, negli anni 1870 e 1890, il suo bisnonno patrocinò i primi giornali in francese e ladino, raccontando la modernità vissuta dagli ebrei dell’Europa sud-orientale.
Col tempo, la guerra ridisegnò i confini attorno alla famiglia, trasformandoli da ottomani a greci. L’emigrazione li spinse in molte direzioni, con i cugini che si trasferirono in Inghilterra, Francia, Spagna, Portogallo, India e Brasile. Hasson stesso si trasferì in Palestina per un certo periodo, tornando nella sua città natale nel 1933.
Poi venne la guerra, che trasformò Hasson da un signor nessuno a un “pezzo grosso”.
Quattro generazioni degli Hasson vivevano a Salonicco quando le forze tedesche occuparono la città nell’aprile del 1941. Due anni dopo, Hasson divenne capo della polizia ebraica di Salonicco in circostanze ambigue. In quel ruolo ebbe a disposizione duecento uomini non armati, tutti ebrei del posto. Tra le prime “imprese” di Hasson si registra quella di offrirsi volontario come cacciatore di ebrei, eccedendo i limiti della sua carica.
Nel maggio del 1943, la Grecia passò dall’occupazione tedesca a quella italiana e Hasson continuò a ricercare gli ebrei in fuga dai nazisti, unico autorizzato a identificarli come tali. Quando i nazisti costruirono un ghetto a Salonicco, si manifestò tutta la crudeltà del collaborazionista.
Il ghetto del barone Hirsch, una delle due aree in cui erano concentrati gli ebrei, esistette dal marzo all’agosto del 1943, fino quando i funzionari nazisti completarono la deportazione degli ebrei greci. All’interno delle sue mura di legno, circondate da filo spinato e torri di controllo, oltre 2000 donne, uomini e bambini furono stipati in 593 stanze. Malattie e criminalità dilagarono.
Se un SS ventitreenne era tecnicamente responsabile del ghetto, fu ad Hasson che venne concessa manica larga: le memoria delle sue azioni, attraverso le testimonianze di sopravvissuti in greco, ebraico, ladino e inglese, sono da incubo.
Si dice che Hasson si faceva spazzare la via da altri ebrei mentre attraversava il ghetto su una carrozza a cavalli. Si aggirava con gli stivaloni luccicanti dei nazisti per sfondare le porte e prendere a calci gli ebrei. Una volta prese la borsa da uno e intimò a tutti gli abitanti del ghetto di riempirla con i gioielli e i soldi che erano loro rimasti indosso. Spesso sceglieva personalmente gli uomini da mandare ai lavori forzati.
Nelle parole di una sopravvissuta, una donna di nome Bouena Sarfatty, “era come un leone liberato dalla gabbia”. Hasson riservava particolare crudeltà a ragazze e donne: le faceva spogliare, ne ispezionava i genitali alla ricerca di soldi, strappava loro i capelli, le violentava e le costringeva a prostituirsi.
Sarika Gategno, per protestare contro il matrimonio forzato con Dino Hasson, fratello dell’aguzzino che da tempo nutriva un’ossessione per la giovane donna, indossò lo stesso vestito per tre mesi e non consumò altro che alcol e sigarette.
Dal marzo all’agosto del 1943, i nazisti diressero 19 trasporti da Salonicco per un totale di 48.533 ebrei, in partenza dalla stazione ferroviaria adiacente al ghetto. Uno di questi treni finì a Bergen-Belsen, diciotto ad Auschwitz. Il viaggio ad Auschwitz durò da cinque a otto giorni e quasi tutti gli ebrei tessalonicesi furono gasati al loro arrivo.
Il 2 agosto, una deportazione speciale condusse a Bergen-Belsen i notabili della comunità ebraica della città (compresa la polizia del ghetto). Prima della sua deportazione, proprio sul treno per il campo di sterminio, il padre di Hasson rinnegò pubblicamente suo figlio rimasto a Salonicco.
Nell’agosto del 1943, Salonica, come la Grecia nel suo insieme, era stata praticamente svuotata dagli ebrei. Lo stesso Hasson si preparò a fuggire verso est con la moglie, la figlia e l’amante incinta nell’agosto del 1943.
Più volte, nei mesi drammatici e caotici che seguirono, venne riconosciuto dai rifugiati di Salonicco in Albania, Italia ed Egitto, e arrestato dai rappresentanti degli Alleati, ma nel caos della guerra riuscì a fuggire o venne rilasciato.
Dopo la liberazione della Grecia nell’ottobre 1944, gli inglesi lo catturarono e lo riportarono in patria per processarlo. Nell’estate del 1946 quel processo, uno “spettacolo” che attanagliò la città di Salonicco e la diaspora, portò a un verdetto di colpevolezza. Hasson fu condannato a morte e giustiziato.
Gli ebrei di tutto lo spettro politico, da Bernie Sanders a Benjamin Netanyahu, affermano di cercare ispirazione nella tradizione ebraica per promuovere i loro valori politici. L’eredità culturale non determina tuttavia necessariamente il comportamento o il destino di una persona. E la storia ebraica non dovrebbe essere “sterilizzata”. Ciò che la vicenda di Hasson insegna è che nelle giuste circostanze, la politica dell’odio è seducente, anche per coloro che altrimenti potrebbero esserne bersaglio.