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I brutti sono tutti fasci (e viceversa)

Cominciamo da un episodio spiacevole: sollecitato dall’amico William Lupinacci, fondatore dell’Incel Party e fautore di un riallineamento a “sinistra” della comunità dei “celibi involontari” (espressione molto comune nella lingua inglese da almeno due secoli per definire quelli che in Italia chiameremmo “brutti” se la bruttezza non fosse argomento tabù), inesorabilmente sbilanciata verso “destra” (più per i meme che per ideologia), ho cercato nelle ultime settimane di portare la questione della disuguaglianza sessuale all’attenzione delle varie fazioni, con la speranza che qualcuna riuscisse a cogliere l’emergenza sociale che essa rappresenta.

È stata un’esperienza inconcludente e persino imbarazzante: ciliegina sulla torta (ecco l’episodio spiacevole) Marta Collot, bel faccino emergente di Potere Al Popolo, mi ha bloccato su Twitter per averle suggerito -in maniera costruttiva e assolutamente non provocatoria- la lettura de Il capitale sessuale di Illouz e Kaplan (precedentemente le avevo consigliato I brutti anatroccoli di Piergiorgio Paterlini).

I due tweet (qui e qui) sono screeshottati nel caso mi cancellassero l’account (eventualità sempre presente).

A questo punto non sono nemmeno così sicuro che la militante media “de sinistra” potrebbe capire una sola riga di certi testi: non tanto per mancanza di intelligenza (anche se i dubbi vengono), quanto per “fintotontismo”. Tuttavia io il mio l’ho fatto e nessuno può dire che non ci abbia provato: semplicemente, la sinistra non ne vuole più sapere dei “brutti”. Vuole stare coi vincenti.

Leggermente diverso era l’atteggiamento di qualche decennio fa, come attesta il volume di Paterlini citato sopra, uscito nel 1994 e ristampato vent’anni dopo sempre da Einaudi: non che non abbia faticato per farsi pubblicare un volume sul “razzismo della bellezza” e sulla bruttezza come “handicap, rimozione, tabù”, ma perlomeno qualche accenno alla questione c’era, nonostante fosse poi risolta in modo apolitico ed “esistenziale”. Un dato di fatto era che però all’epoca i brutti erano anche “compagni”: le testimonianze raccolte nel libretto sono quelle di operai vicentini, alto borghesi emiliani e impiegate modenesi alle prese con la “rimozione colossale del brutto”. Difficile non emergessero comunque risvolti politici, come quando un’operaia ricorda che “nella sua fabbrica, quando veniva una delegazione straniera in vista, i lavoratori più brutti venivano allontanati”.

Più sottile il discorso di un siciliano emigrato a Torino che in pieno sessantotto riesce a “godersi” (si fa per dire) cinque minuti di rivoluzione sessuale (prima che essa tornasse a esprimere gerarchie sessuali rigidamente “naturali”):

“Verso i trent’anni [chi parla è del 1938], le cose che facevo per camuffarmi o peggiorare il mio aspetto fisico (barba, capelli lunghi e non curati) diventano improvvisamente di moda. […] [Provo] una forma vaga di improvvisa accettazione, come se gli altri si fossero adeguati a me. Il problema non si azzera, anche nelle mode di quegli anni ci sono i belli e i brutti. Ho semplicemente l’impressione di essere diventato un brutto più accettabile, e non sempre. Verso il mio aspetto fisico, nei rapporti pubblici, percepisco adesso più indifferenza che ripugnanza”.

MI sovviene un passaggio de Le particelle elementari (1998) di Houellebecq:

«”Per farmi accettare dagli impiegati” avrebbe detto Bruno, “basta che io mi travesta da impiegato. Cioè basta che mi compri un vestito, una cravatta e una camicia […]. Travestirmi da emarginato non mi servirebbe a niente: non sono abbastanza giovane né abbastanza bello né abbastanza cool. Perdo i capelli, tendo a ingrassare; più invecchio e più divento angosciato e sensibile, il minimo indizio di rifiuto mi da il tormento. In poche parole non sono abbastanza naturale, vale a dire abbastanza animale […]”. Bruno aveva capito che gli hippy non l’avrebbero mai accettato: non era e non sarebbe diventato un bell’animale. Di notte sognava vulve aperte».

Oggi di questo tipo di “sensibilità” a sinistra, in qualsiasi sinistra, non si trova alcuna traccia: è solo un misto di ipergamia, neoliberismo sessuale e moralismo. È un fatto, per esempio, che le femministe disprezzino i compagni a loro ideologicamente affini e preferiscano sempre i “bei maschioni”, dominanti e fasci e violenti quanto basta. Ormai questa tendenza è così implicita e sbandierata che viene espressa, anche in Italia, come una sacrosanta progressione nel percorso di empowerment femminile:

Ecco, è con queste che dovremmo discutere di capitale sessuale. Bitch please.

Confrontiamo tutto ciò con quanto scrive un autore di “destra”, anche piuttosto grossier, come Rolf Peter Sieferle (cfr. Migrazioni. La fine dell’Europa, tr. it. G. Vitellini, LEG Edizioni, Gorizia, 2017, pp. 70-71).:

“Esistono ulteriori dimensioni della disuguaglianza che possono essere raggiunte solo difficilmente dal livellamento politico. Per esempio è importante la disuguaglianza dal punto di vista sessuale, che dopo il crollo del comandamento cristiano della monogamia ha creato differenze drammaticamente nuove. La monogamia aveva come risultato che ogni essere umano poteva contare sulla possibilità di trovare, prima o poi, un coniuge e, con ciò, un partner sessuale. L’ormai dominante promiscuità, invece, crea nuove differenze. Ci sono i virtuosi di successo, che trovano partner sessuali a volontà, e ci sono i soprammobili (maschili o femminili) che non hanno alcuna possibilità”.

Amen. Alla fine anche l’amico Lupinacci può dire quel che vuole, ma non capisco perché dovremmo ancora fare i bipartisan quando, specialmente per questa parte politica, il problema non si pone nemmeno in linea teorica.

La morale della storia appare univoca: quello che le femministe chiamano “patriarcato” era sotto diversi punti di vista più egualitario del sistema che esse vorrebbero mettere in piedi. La bruttezza può rappresentare “un dramma senza soluzione, senza consolazione, senza compensazione possibile” (come scrive Paterlini risolvendo appunto il problema in senso quasi metafisico) soltanto nella misura in cui la bellezza ci riporta alle nostre origini violente, basate sull’istinto, la forza, la ferinità e la fitness (la famigerata “sopravvivenza del più idoneo”).

Come dice uno dei brutti anatroccoli: “Provo grande invidia, lo ammetto, quando vedo la semplice, normale felicità degli altri, un uomo e una donna che stanno insieme. Vorrei le stesse cose per me”.  Il femminismo (da qualsiasi prospettiva o “ondata”) ha trasformato in un miraggio quello che fino a una generazione fa era una cosa scontata: sposarsi e far figli. Non si è capito nemmeno con che cosa volesse rimpiazzarlo, ma lungi da un palingenetico baccanale di massa, il sesso ha finito per essere regolato da gerarchie sessuali da cavernicoli.

Considerando che la situazione è esattamente quella fotografata dal compianto Sieferle  (e ancora da Houellebecq, nel suo celeberrimo passaggio sul “liberismo sessuale”), aggiungendo al “crollo del comandamento cristiano della monogamia” anche “l’introduzione del controllo delle nascite, la popolarità di internet, il tramonto dell’influenza esercitata dalla religione e l’aumento di norme ispirate a una visione positiva della sessualità”, per citare il sociologo Adam I. Green), ci si domanda perché uno dovrebbe lottare per ottenere tutt’al più un riconoscimento degli incel come minoranza sessuale al pari di gay e trans (di più non si può fare, nonostante rebus sic stantibus tra una generazione saranno “celibi involontari” l’80% dei maschi occidentali).

È questo che dobbiamo diventare, dei coglioni, dei cuck, dei simp, dei bluepillati, dei checchineris, dei bulicci, degli iarrusi? Molto meglio allora plaudire alla proposta di monogamia forzata del professor Jordan Peterson e mettersi il cuore in pace: sei tanto brutto quanto fascio, sei tanto fascio quanto brutto.

*

PS: Anche in America il dibattito è acceso. A tal proposito, un altro libro  che avrei consigliato alle compagnucce è l’Hite Report on Men and Male Sexuality della femminista germano-americana Shere Hite, famosa negli anni ’70 appunto per i suoi report sulla sessualità maschile, il femminismo e la famiglia. In Italia, nonostante il grande successo del tema a livello mainstream, le sue indagini sociologiche non sono mai arrivate. Solo nel 2004 Mondadori fece tradurre il report di cui sopra (risalente al 1981) col titolo I nuovi maschi. Il volume è nella sostanza una raccolta di interviste a rottami umani elevati a “rappresentanti del genere maschile”, tuttavia al di là dell’ovvio intento denigratorio ci sono testimonianze che colpiscono, come quella di un tizio che oggi definiremmo proprio incel (mentre all’inizio degli anni ’80 era perlopiù un misogino o sfigato).

«Sono single, non mi sono mai sposato, non ho mai vissuto con una donna e sono così solo che sto lentamente impazzendo. Sono in sovrappeso di venti chili e come secondo lavoro faccio la guardia notturna. Trovo molto frustante uscire per cercare di conoscere donne. Andare a ballare e non trovare nessuna che voglia ballare con me mi fa venire una grande rabbia. Sto diventando sempre più depresso e antisociale. Provo un’eccitazione perversa ma complice per quelli (specialmente uomini) che vanno fuori di testa nei luoghi pubblici e uccidono persone che sono lì per caso […]. Quando ero al college, avrei voluto sparare alle compagne belle con una pistola automatica nascosta. Non mi guardano mai, non mi riconoscono come essere umano, forse non merito nulla per loro. Penso che abbiano paura che le violenti. Non violenterei mai una donna, non penso che riuscirei a convincerla che faccio sul serio, probabilmente griderebbe e io scapperei […]».

Ora, si dà il caso che anche questa femminista avesse un minimo di pietà (o empatia) per creature del genere. Oggi invece il dileggio va per la maggiore, tanto che su reddit esistono forum dove è lecito offendere e umiliare i brutti (il più celebre è r/IncelTears). Eppure basterebbe scegliere fior da fiore per mettere assieme una ridda di esperienza per testimoniare la “fragilità del maschio” o roba del genere.

Gli incel si sono già domandati perché accada tutto ciò e si sono dato qualche risposta; la più convincente è questa (tratta dal noto 4chan):

«Gli incel mettono in imbarazzo la sinistra perché in teoria sarebbero un altro gruppo svantaggiato che andrebbe aiutato, ma nella pratica dargli un aiuto significherebbe riconoscere alcune cose che la sinistra non è neppure in grado di capire. Peraltro un vergine brutto è probabilmente la cosa più disgustosa che una donna possa incontrare nella sua vita. Questa è una “verità biologica” che nessuna rappresentazione negativa può confutare. […] Proiettare sugli incel il bigottismo, la misoginia la “cultura dello stupro” in nuce [proto-rapism] serve a sopperire a una dissonanza cognitiva».

Dal momento che gli stessi rilievi valgono per la sinistra italiana, rettifico su due piedi quanto scritto prima: un maschio brutto non può neppure aspirare a rappresentare una “minoranza sessuale” e rientrare di straforo nella compagine progressista attraverso la politica identitaria, perché an ugly virgin is probably the most disgusting thing to encounter in the world for a woman.

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