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I buriati in Ucraina sono in guerra per Shambhala

In questi mesi la stampa internazionale ha descritto i soldati russi di etnia buriata (o comunque provenienti dalla repubblica siberiana della Buriazia) come carne da cannone, perdigiorno, poveracci, delinquenti e stupratori.

I buriati, quelli “con gli occhi allungati” (o “stretti e lunghi”), come riportano i sedicenti “inviati” italiani (in realtà copiando la stampa anglo-americana, che comunque usa apertamente l’espressione slant-eyed, “occhi a mandorla”), i mongoli che avrebbero devastato Bucha, in realtà non sono propriamente dei mostri assetati di violenza come potrebbero essere gli appartenenti ad altre minoranze etniche della Federazione Russa, che effettivamente da secoli vengono su con la “guerra nel sangue” (parlo dei ceceni, sì, tenuti in palmo di mano dall’opinione pubblica occidentale a cominciare dai nouveaux philosophes ebrei… concedete un po’ di razzismo anche a me qualche volta).

Ai buriati ho dedicato un capitolo del mio libro La storia è un incubo dal quale sto cercando di svegliarmi, “Buddha e Lenin. La teologia politica dei mongoli sotto l’Unione Sovietica”, nel quale parlo principalmente della straordinaria figura del lama Agvan Doržiev (1853-1938) e delle mitologie filorusse che hanno sempre portato questo piccolo popolo a un approccio “lealista” a chiunque regnasse o governasse a San Pietroburgo come a Mosca.

Agvan Doržiev

Il mio saggio è di una ventina di pagine ma il materiale che ho messo assieme per le mie ricerche è almeno dieci volte tanto (perlopiù su fonti russe, francesi e inglesi). Per questo, e considerando anche che la maggior parte delle notizie sui buriati arrivino dalla Free Buryatia Foundation (una ONG creata in tutta fretta nel marzo 2022 per instillare un po’ di sana russofobia nelle comunità della diaspora), ho deciso di raccoglierlo in un nuovo libro, che conterrà anche una straordinaria intervista (rigorosamente in russo, perché purtroppo sono solo un millantatore e non conosco il magnifico idioma mongolico dei buriati) a un intellettuale e giornalista buriato.

L’amico in questione ha risposto a una miriade di domande riguardo al suo popolo e ai motivi per cui esso si stia impegnando in questa guerra, con l’unica richiesta di apparire solo con il suo “nome da battaglia” Belikto [Бэликто], perché comunque in Russia attualmente si rischia sempre qualcosa a parlare (nessuno sia così ingenuo da credere che il clima bellicista abbia intaccato solo i mass media occidentali).

Belikto, nipote di un ex lama “secolarizzato” dall’Unione Sovietica, mi ha parlato della teologia politica con cui i buriati vengono svezzati, la quale si basa fondamentalmente sul principio che la Russia sia l’unica forza in grado di difendere lo Shambhala, il “regno segreto” dal quale, per l’escatologia lamaista, dovrà partire il rinnovamento spirituale del mondo.

In tutto questo Vladimir Putin si pone sostanzialmente in linea con i paradigmi messianici con cui i buriati hanno provato a interpretare la potenza russa anche nei periodi più cupi, compreso quello stalinista. Peraltro esiste un collegamento diretto tra Doržiev e l’uomo forte del Cremlino, rappresentato dal pittore e avventuriero Nikolaj Rerich (1874–1947), che fu iniziato ai misteri del “regno invisibile” dallo stesso lama buriato agli inizi del Novecento, quando faceva parte del comitato di costruzione del Santuario buddista di San Pietroburgo voluto da Nicola II.

In una delle sue prime interviste da Presidente (per “Russia Journal”, riportata anche da “India Today” nell’ottobre 2000), Putin ha tenuto a ricordare Rerich come “sorprendente esempio di fratellanza spirituale” e promotore della “vicinanza spirituale che lega tutti i popoli” (mentre la sua consorte di allora, Ljudmila, augurava una mostra dell’artista a Nuova Delhi).

Certo, il capitolo riguardante Putin, l’esoterismo e il messianismo imperiale meriterebbe un intero libro a parte, dalle letture più ardite come quella di Jean Parvulesco (1929-2010), fantasmagorico intellettuale tradizionalista franco-romeno che interpretò se stesso in un paio di film della Nouvelle Vague e nel 2005 diede alle stampe Vladimir Poutine et l’Eurasie (dove il leader russo viene descritto come un super-iniziato, “rappresentazione sulla terra del Cristo pantocratore” e “Messia dell’Impero Eurasiatico della Fine dei Tempi”), fino alle analisi geopolitiche che fingono di essere razionali e laiche ma in realtà investono la figura dello “Zar” di accenti mitici e mistici (per una sintesi altrettanto fantasmagorica si può leggere un breve saggio di qualche anno fa di Martial Cadiou, Vladimir Poutine dans la perspective eschatologique, presente online in vari formati).

Per quanto concerne l’argomento che ci interessa, cioè i buriati, possiamo solo confermare che per questo popolo Putin ha ereditato le caratteristiche di ogni governante russo degno di questo nome e di conseguenza non è vero che i soldati con gli “occhi a mandorla” stiano combattendo senza cognizione di causa.

La propaganda occidentale peraltro è piuttosto ingenua e confusionaria, perché da una parte descrive i soldati di etnia buriata caduti in battaglia come dei ragazzini senza arte né parte spediti a migliaia di chilometri di distanza per morire e basta, dall’altra però è costretta a ricordare che buona parte dei combattenti buriati sono disoccupati in quanto avvocati e insegnanti, non braccianti e mungitori.

Quindi, lungi dall’essere un reietto, il nostro Belikto, giornalista quarantenne, è semmai un rappresentante tipico del soldato buriato (anche se finora si è tenuto a opportuna distanza dal conflitto, “inviatismo di guerra” compreso). Nel mio volume scoprirete cosa pensa un giovane intellettuale russo-mongolo della guerra, della religione, dell’Italia e dell’Occidente, oltre a trovare alcuni accenni alle vicende più recenti che hanno contraddistinto la storia di questo popolo sotto lo zarismo, il comunismo e il putinismo.

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