Con il passare delle settimane (e la precipitazione degli eventi), comincio a provare sempre più simpatia per la Catalogna. Credo che fondamentalmente sia stata la reazione del governo spagnolo a farmi cambiare idea: non per la violenza in sé (tutti sono violenti, anche gli indipendentisti quando violano la costituzione), quanto per il fatto che Madrid l’abbia esercitata non in difesa dello Stato-nazione (riconoscendo quindi che l’Unione Europea mette in pericolo una delle forme fondamentali che gli esseri umani si sono dati per stabilire delle relazioni), ma in nome… dell’Europa. Manganellare le vecchiette per qualcosa che non si sa nemmeno cosa sia, è un comportamento a dir poco disdicevole.
Peraltro, detto en passant, i complottisti dovrebbero tirare un po’ il fiato: l’Europa è stata sin dall’inizio dalla parte di Rajoy (il poster child della meridionalizzazione forzata dei PIGS) e ha rifiutato di svolgere qualsiasi ruolo di mediazione. A un certo punto è infatti necessario riconoscere che quanto sta accadendo in Spagna non c’entra nulla con l’Eurotopia di Freddy Heineken, né con la Paneuropa di Kalergi, né con balcanizzazioni, regionalizzazioni eccetera: la Catalogna infatti non vuole diventare una regione (lo è già), ma una nazione. La dicotomia in tal caso non è più quella tra Nazioni e Regioni (perché, ripetiamo, le prime non esistono più e le seconde esistono già), ma tra macroregionie micronazioni. È lo scontro paventato da Edgar Morin in un testo del 1991 (L’Europa nell’era planetaria), dove, dopo aver sostenuto che lo Stato-nazione (da egli riconosciuto come una delle più grandi invenzioni europee) ha esaurito il suo ruolo “progressivo”, il filosofo sostiene che:
«la possibilità di un regionalismo […] è assai differente, e, per molti aspetti, di segno decisamente opposto, rispetto alla gran parte dei localismi che i problemi dell’attuale assetto europeo fanno proliferare su basi talvolta etniche, talvolta economiche e sociali. Questi localisrni sono esposti al rischio di concepire le regioni come Stati nazionali in miniatura, di enfatizzare più le separazioni e le sovranità assolute che le integrazioni e i circuiti di cooperazione. Nei casi peggiori, si accompagnano a una retorica della presunta “purezza” di taluni caratteri (o valori) regionali, dimenticando quello che a suo tempo aveva dimenticato la retorica degli Stati nazionali: che la mescolanza di caratteri e di valori è onnipresente nello spazio culturale europeo, e che ha sempre giocato un ruolo creativo».
E qui ci fermiamo, perché le tesi di Morin diventano troppo ridicole per essere citate oltre; tanto per farsi due risate, segnaliamo che all’epoca il Venerato Maestro auspicava un’Europa “transazionale” basata sui gemellaggi, il turismo, i “giovani”, i concerti rock (sic!) e i festival jazz (ri-sic!).
In sostanza, l’Europa di Morin sarebbe dovuta nascere da un Erasmus a Barcellona: eppure ora è la stessa Catalogna a “uccidere il chiaro di luna” e a reintrodurre prepotentemente nel discorso politico l’idea di nazione (inoltre, vorrei ricordare che presentarsi più accoglienti, solidali e “meticci” dell’Unione Europea è pure quello un modo, seppur sui generis, per rivendicare la propria “purezza”).
Al di là della teoria, c’è una circostanza “pratica” che pochi hanno sottolineato (forse per timore di riconoscere che la Catalogna desidera diventare una repubblica e non una semplice stellina su uno stendardo), e cioè che, come ricorda un profilo tracciato da “El País”, nel 1991 Puigdemont «hizo un viaje a Eslovenia para observar el proceso de independencia allí».
In effetti è da anni che l’intera classe dirigente catalana intrattiene importanti rapporti diplomatici con la Slovenia: ciò potrebbe spiegare infine le ultime mosse del leader centrista, al momento interpretate come un ripiegamento o una dimostrazione di codardia. Egli pare intenzionato a seguire fedelmente il percorso già intrapreso da Lubiana: in primo luogo, proclamando un referendum incostituzionale; poi, procrastinando la dichiarazione di indipendenza in attesa che i mediatori internazionali si inseriscano nella contesa; infine, decretando la secessione come ultima ratio.
Certo potrebbe suscitare perplessità il fatto che non si siano tenute in conto le abissali differenze (la Spagna, oltre che dell’UE, fa parte della NATO); tuttavia, quale delizioso paradosso storico che la Slovenia, riconosciuta con una forzatura dalla Germania (e fatta entrare nell’eurozona con gli stessi metodi), decretasse la fine di un’Unione a egemonia tedesca comportandosi come Berlino nel 1991, cioè riconoscendo unilateralmente l’indipendenza della Catalogna.