I democratici accusano Trump di non sostenere più i neonazisti ucraini

Nel dicembre 2019 Donald Trump è diventato il terzo Presidente degli Stati Uniti a essere accusato dalla Camera e il secondo a finire sotto impeachment prima di aver concluso il mandato: tuttavia, la sua assoluzione al Senato dall’accusa di “ostruzione al Congresso e abuso di potere” non ha fatto che aumentare la sua popolarità, con grande imbarazzo dei democratici che, dopo aver trascinato il Paese in tre anni di Russiagate (mai uscito di scena),  adesso sono costretti a perseguire altri obiettivi.

Persino la possibilità di una guerra con l’Iran non ha scalfito politicamente di Trump, nonostante sarebbe potuta apparire come un tradimento delle promesse fatte in campagna elettorale di tirar fuori gli Stati Uniti da tutti i conflitti infiniti in cui si sono cacciati, argomento che ha contributo in modo significativo alla sua imprevista vittoria. La retorica “neo-isolazionista” di Trump ha portato del resto alla possibilità di un riavvicinamento tra Washington e Mosca, eventualità che lo ha reso bersaglio dell’establishment politico e dell’intelligence attraverso le note accuse sulle presunte interferenze elettorali da parte del Cremlino.

Da quando è entrato in carica, Trump ha fatto quasi tutto (a parte dichiarare guerra a Mosca) per placare gli spiriti anti-russi alla Casa Bianca, senza però grandi risultati. Una delle mosse messe in campo è stata la decisione di fornire aiuti militari all’Ucraina nella guerra in corso nella regione orientale del Donbass contro i separatisti russi, un passo che l’amministrazione Obama alla fine decise di non compiere a causa della dilagante corruzione a Kiev, preferendo piuttosto affidare all’allora vicepresidente Joe Biden il compito di mettere un po’ d’ordine nel caos politico ucraino.

Biden era infatti considerato ai tempi un “esperto” della questione, avendo manovrato dietro le quinte lo stesso golpe del 2014, con il quale venne rovesciato il governo democraticamente eletto di Janukovyč dopo che quest’ultimo aveva respinto un accordo con l’Unione Europea in cambio di un salvataggio economico da parte della Russia. Tuttavia, piuttosto che avviare una seria lotta anti-corruzione dopo la guerra, il vice-presidente ha preferito  approfittare della situazione per arricchire se stesso e la sua famiglia, piazzando suo figlio Hunter nel consiglio direttivo della più grande compagnia privata di gas del paese, la Burisma Holdings.

Ad onta della narrativa sulla “collusione” fra Trump e Putin, chi ha cercato di far pressioni su Janukovyč per firmare il trattato di austerità è stato Paul Manafort, il futuro responsabile della campagna di Trump accusato durante il processo sul Russiagate per non essersi registrato come agente straniero mentre faceva il consulente per il Presidente ucraino deposto. L’influenza di Manafort si espresse contro gli interessi russi e a favore dell’Unione Europea anni prima che Trump si candidasse, ma ciò non ha impedito ai democratici di presentare il lobbista americano come un “canale aperto” col Cremlino. Nel frattempo, l’influenza di Biden nella “giunta” è emersa palesemente dalla famigerata telefonata tra Victoria Nuland (assistente per gli Affari europei ed Eurasiatici di Obama) e Geoffrey Pyatt, allora ambasciatore in Ucraina. La Nuland, moglie di Robert Kagan (un pezzo grosso neoconservatore), ha anche rivelato suo malgrado che gli Stati Uniti hanno investito 5 miliardi di dollari sul regime change di Kiev, spacciato come una sommossa popolare (la famigerata “Maidan”).

Poco dopo il putsch, Hunter Biden si è unito al consiglio di amministrazione della Burisma nonostante non sapesse nulla dell’Ucraina né avesse una qualche esperienza nel settore energetico. La compagnia di estrazione è stata fondata da un noto oligarca dell’era Janukovyč, Mykola Zločevs’kyj, che a differenza del suo boss non dovette fuggire in Russia e “incredibilmente” si salvò da una condanna per riciclaggio sotto il nuovo regime filo-occidentale (da chi avrà ottenuto l’immunità?).

Quando il procuratore generale ucraino, Viktor Šokin, ha iniziato a indagare sull’impresa energetica, il vecchio Biden non solo si è permesso di ricattare il governo post-Maidan di Porošenko minacciando di trattenere un miliardo di garanzie di prestito, ma si è persino vantato in pubblico della sua mossa.

Come ricompensa, Porošenko – soprannominato il “re del cioccolato” per il suo passato di magnate nel settore dolciario – è stato presentato dall’amministrazione Obama come un “riformatore”, nonostante numerosi leaks di funzionari statunitensi lo descrivano come un “oligarca”, un “disgraziato”, “corrotto fino al midollo”, un “politico impopolare che ha un ampio sostegno tra i leader di partito a causa dei suoi precedenti ruoli di finanziatore”. Ancora più incredibile (si fa per dire) che Porošenko abbia sostituito Šokin con un ex Ministro degli Interni, Jurij Lutsenko, precedentemente arrestato per appropriazione indebita e corruzione.

Resta da discutere se il procuratore stesse effettivamente indagando sule attività di Burisma, ma ciò che non è in discussione -tranne che per i media mainstream– è la condotta criminosa del candidato democratico alla Casa Bianca, il quale ha chiaramente tratto profitto dall’ingerenza statunitense nel Paese. Per questo Trump ha deciso di discutere dei maneggi della famiglia Biden in Ucraina con il nuovo Presidente, Volodymyr Zelenskij. La controversa conversazione è avvenuta esattamente il giorno dopo che l’ex direttore dell’FBI Robert Mueller ha rilasciato la sua testimonianza davanti del congresso, dimostrando di non avere poi così tanta familiarità con i dettagli della propria stessa indagine.

La trascrizione della telefonata dimostra che Trump ha solamente chiesto al neoeletto Zelenskij di aiutare il procuratore generale degli Stati Uniti William Barr a confermare la veridicità delle voci secondo le quali il famigerato server informatico del Comitato nazionale democratico (DNC) fornito dall’FBI a CrowdStrike Holdings si trovasse in Ucraina.

CrowdStrike è una delle società di sicurezza informatica assoldate dai democratici per determinare “con certezza assoluta” che sia stata l’intelligence russa a perpetrare presunti attacchi informatici durante le elezioni del 2016. In altre parole, Trump voleva scoprire se fosse stata Kiev a “mettersi di mezzo” per dare poi la colpa al Cremlino.

Sebbene non abbia offerto alcuna contropartita a Zelenskij, è vero che il Presidente abbia chiesto il “favore” poco dopo aver menzionato i missili Javelin forniti all’Ucraina. Tuttavia, l’estorsione di Biden e il licenziamento di Šokin vengono affrontati solo più tardi nella conversazione e se una delle due questioni dipenda o meno dall’aiuto militare è dubbia. Al momento della telefonata, Zelenskij e il suo governo non erano a conoscenza del fatto che i quasi 400 milioni di dollari in aiuti erano stati trattenuti e non hanno saputo del loro congelamento se non un mese dopo.

L’ambiguità della conversazione non ha impedito ai democratici di supporre che il supporto militare fosse stato sospeso a condizione che Zelenskij collaborasse con Trump. Tuttavia il fatto che il contenuto dello scambio fosse considerato motivo sufficiente per l’impeachment pone qualsiasi futuro Presidente nella condizione di essere incriminato sulla base di un cavillo.

Nel frattempo, l’attenzione si è spostata sulla cacciata dell’ex ambasciatrice degli Stati Uniti a Kiev, Marie Yovanovitch, a dimostrazione indiretta che l’accusa non è solo quella di ricattare un Paese straniero con gli aiuti militari, altrimenti Biden sarebbe colpevole come Trump. Questo dettaglio qualifica il processo per quello che è: una cortina fumogena sugli intrallazzi dell’ex vicepresidente in Ucraina.

Alcuni degli “aiuti” all’Ucraina

Non solo la richiesta -legittima- di indagare Biden e figlio è stata respinta dai media come “complottismo”, ma il teatrino politico ha completamente oscurato il dubbio se Washington dovesse fornire assistenza militare a un altro Paese per alimentare una “guerra per procura” con la Russia. La bufala del Russiagate ha infatti trasformato l’intero Partito Democratico nella punta di diamante della nuova Guerra fredda e il sequel dell’Ucrainagate ha corroborato questa linea da “falchi”. A peggiorare il quadro, la copertura mediatica occidentale dell’affaire ha omesso di ricordare che molte delle milizie che combattono con l’esercito ucraino nel Donbass sono affiliate all’estrema destra, quegli stessi neonazisti che hanno trasformato Maidan in una guerra civile.

Uno dei tre principali partiti politici d’opposizione ai tempi di Janukovyč erano gli ultranazionalisti di Svoboda il cui leader, Oleh Tjahnybok, ha incontrato Biden nel 2014 nonostante un anno prima gli fosse stato vietato l’ingresso negli Stati Uniti per  antisemitismo.

Joe Biden fa amicizia con i “ribelli moderati” in Ucraina

Svoboda e i suoi “derivati” come il battaglione Azov si proclamano discendenti ideologici dei collaborazionisti di Stepan Bandera, che si schierarono dalla parte della Germania nazista. Negli anni ’50, durante la Guerra Fredda, la CIA fornì assistenza segreta ai banderisti per un’insurrezione poi fallita.

Nell’Ucraina post-sovietica, una campagna inquietante di revisionismo ha riscritto la storia della quinta colonna di Bandera come quella di eroi nazionali che hanno combattuto esclusivamente per l’indipendenza ucraina. Ciò non si riflette però nella documentazione storica, la quale dimostra non solo che i banderisti hanno partecipato ai crimini di guerra del Terzo Reich, ma che hanno anche condiviso la loro ideologia razzista, come riportato nei documenti declassificati della CIA:

Lo “stato” di Bandera, durato poco più di un mese, ha sterminato oltre 5.000 ucraini, 15.000 ebrei e diverse migliaia di polacchi. Lo “Stato ucraino” di Stepan Bandera pose fine alla sua breve ma ignominiosa esistenza nell’agosto del 1941, quando fu annunciato a Leopoli che l’Ucraina occidentale era stata incorporata come “Distretto della Galizia” nel “Governatorato Generale” (Polonia occupata). E poi un “nuovo ordine” in stile hitleriano venne introdotto in Ucraina. Questa in breve, l’exploit di Bandera, che i suoi seguaci ora vorrebbero presentare come una pagina gloriosa ed eroica nella storia del movimento di liberazione nazionale. In realtà, sarebbe meglio, specialmente per i sostenitori di un’Ucraina libera, cancellare dalla storia del loro “movimento” questo famigerato episodio di hitlerismo ha portato solo vergogna e tristezza per l’Ucraina.

Nonostante le disposizioni in materia di aiuti che impediscono alle armi americane di raggiungere il distaccamento del battaglione Azov, l’esercito statunitense ha continuato a fornire loro ordigni e addestramento. Stiamo già assistendo al contraccolpo di questa decisione per esempio nella vicenda di Jarrett William Smith, ex soldato arrestato dall’FBI per aver pianificato l’assassinio del candidato democratico Beto O’Rourke e attacchi terroristici contro i principali network televisivi.

Smith aveva progettato di recarsi in Ucraina per combattere con il battaglione Azov e nel 2017 si era offerto volontario nella guerra del Donbass con un’altra milizia neofascista ucraina, Pravyj Sektor. Secondo quanto riferito, Smith ha cercato di entrare in contatto con l’Azov attraverso un altro disertore, tale Craig Lang, attualmente agli arresti domiciliari in Ucraina e la cui estradizione è richiesta negli Stati Uniti per aver ucciso una coppia in Florida.

Lang, che da Kiev è considerato un eroe per aver prestato servizio come mercenario privato per Pravyj Sektor, ha anche combattuto con la Legione Georgiana, un’unità arruolata dalla parte ucraina nella guerra nel Donbass i cui miliziani si ritiene abbiano sparato sulla folla del Maidan per poi incolpare famigerati cecchini del governo di Janukovyč.

Coincidenza vuole che proprio mentre gli americani seguivano l’impeachment in diretta televisiva, Netflix abbia lanciato un nuovo documentario di una coppia di cineasti israeliani, The Devil Next Door, dedicato alla vicenda di un nazista ucraino ospitato negli Stati Uniti. La serie tratta infatti del caso di John Demjanjuk, operaio in pensione e immigrato di origine ucraina che vive a Cleveland, Ohio, improvvisamente accusato di esser stato uno spietato aguzzino nazista nel campo di concentramento di Treblinka, conosciuto come “Ivan il Terribile” ed estradato in Israele nel 1986 con le accuse di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

A seguito di alcune testimonianze appassionate ma incoerenti dei sopravvissuti al campo, fu ritenuto colpevole da un tribunale israeliano e condannato a morte, ma scarcerato nel 1993 grazie a un ricorso. Anni dopo, Demjanjuk venne identificato come guardia carceraria di un altro campo di Sobibor e nuovamente condannato da un tribunale tedesco. Fino alla sua morte nel 2012 ha sostenuto di esser stato scambiato con qualcun altro e ha raccontato di esser stato prigioniero di guerra dopo aver prestato servizio nell’Armata Rossa fino alla sua cattura da parte dei tedeschi che lo hanno “costretto” a lavorare come guardia a Trawniki, non Sobibor.

Tuttavia, sono state appena ritrovate delle sue foto nel campo di sterminio che ne contraddicono le affermazioni e possono anche provare che fosse un disertore volontario. Il documentario fa comunque luce sul modo in cui Demjanjuk è riuscito a “rifugiarsi” negli Stati Uniti grazie alla riforma della legislazione sui profughi del 1948 che limitava l’immigrazione dei perseguitati dai nazisti mentre offriva un trattamento preferenziale a cittadini polacchi e ucraini in fuga dai sovietici.

Il documentario tocca anche la questione del reclutamento di molti ex nazisti (come Wernher von Braun e migliaia di altri scienziati tedeschi) attraverso l’operazione Paperclip da parte del governo degli Stati Uniti durante la Guerra fredda per avvantaggiarsene nella “corsa allo spazio”. Tuttavia, la serie trascura di menzionare il supporto della CIA all’Organizzazione dei nazionalisti ucraini (OUN) di Stepan Bandera, e tanto meno dei loro eredi a Kiev che oggi ribattezzano le strade della città con i nomi di SS e demoliscono i monumenti sovietici per rimpiazzarli con quelli dei loro vari “Quisling”. Sfortunatamente, è improbabile che gli spettatori riescano a collegare la serie allo scandalo politico che ora attanaglia Washington.

(Anche il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki ha accusato il gigante dello streaming di “riscrivere la storia” usando una mappa dei confini post-1945 del Paese e sottintendendo che la Polonia fosse complice dei crimini di guerra nazisti verificatisi nel suo territorio. Da un giorno all’altro l’Ucraina occidentale divenne infatti Polonia orientale in conseguenza del patto Molotov-Ribbentrop e dell’occupazione tedesca: questo è uno dei motivi per cui un ucraino come Demjanjuk è finito nel Paese confinante).

Il fatto che i democratici non vogliano mettere sotto accusa Trump per un reato realmente incostituzionale come il dirottamento di fondi militari sul suo famigerato “muro” senza l’approvazione del Congresso rivela le loro vere motivazioni: Trump ha oltrepassato la linea solo quando si è messo contro un pezzo grosso dell’establishment come Biden e ha frenato per un momento la macchina da guerra americana contro Mosca.

Tutto ciò ricorda le ragioni dell’impeachment di Richard Nixon: lo scandalo Watergate lo costrinse a dimettersi nel 1974 dopo che aveva preso di mira altri membri dell’élite con le intercettazioni e l’effrazione del quartier generale dei democratici, non per aver fatto spiare dalla CIA dei cittadini attivi nei movimenti pacifisti. Inoltre, come Trump nei confronti di Mosca, anche Nixon aveva rotto con la politica estera “tradizionale” riaprendo i canali diplomatici con la Cina e favorendo la distensione con l’Unione Sovietica.

Le pericolose conseguenze della campagna contro Trump, accusato di deviare dai dogmi anti-russi, si possono osservare nelle recenti sortite belliche della NATO e nel Bulletin of Atomic Scientists che porta la lancetta dell’apocalisse atomica a soli 100 secondi a mezzanotte, una prossimità che supera addirittura quella dell’inizio della Guerra fredda nei primi anni ’50.

Trump non avrebbe mai armato l’Ucraina se non fosse stato per la costante pressione delle indagini sul Russiagate e per la necessità di non apparire debole nei confronti di Mosca. È chiaro che l’impeachment non è altro che una guerra tra le diverse fazioni dell’élite; il guaio è che oltre a regalare uno spettacolino agli americani rischia di farci morire tutti in un olocausto nucleare.

Per un’eccellente indagine sulle radici della crisi ucraina, si raccomanda la visione di Revealing Ukraine, il seguito del documentario del 2016 Ukraine on Fire diretto da Igor Lopatonok e prodotto da Oliver Stone.

Fonte: Max Parry, Democrats impeached Trump for withholding arms to Neo-Nazis (“Off Guardian”, 6 febbraio 2020)

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