Il primo dibattito del 2024 tra Biden e Trump ha già segnato un “record”: per la prima volta da quando gli americani inscenano il teatrino politico, esso è stato organizzato alla fine di giugno piuttosto che tra l’ultima settimana di settembre e la prima di ottobre, come invece è sempre avvenuto dal 1976 a questa parte. Il secondo incontro segnerà un altro primato, perché è previsto per il 10 settembre, cioè ancora in anticipo rispetto agli altri. Inoltre, non è previsto -ultima “anormalità”- un terzo dibattito tra i candidati.
Questi sono di per sé dettagli che generano qualche perplessità, ma le motivazioni ufficiali dietro tali modifiche vengono ricondotte sia al fatto che entrambi i candidati hanno bruciato le tappe per la nomina, non essendoci state particolari contestazione nei loro confronti dai rispettivi schieramenti (e anche qui emergono dubbi sulla condotta dei democratici e sulle sceneggiate che solamente ora stanno facendo contro Biden), sia per la sostanziale abrogazione della Commission on Presidential Debates (CPD), organizzazione che dal 1988 gestiva i dibattiti presidenziali negli Stati Uniti.
In tal caso bisogna osservare una cosa: il boicottaggio della CPD è partito dai repubblicani, i quali, soprattutto per l’influenza di Donald Trump, da ormai tre tornate elettorali ne contestano l’imparzialità e la neutralità. Ora, è significativo che in occasione delle ultime elezioni a questa polemica si siano aggiunti anche i democratici, mossa che ha per l’appunto portato i comitati di Biden e Trump ad aggirare la CPD e organizzare i dibattiti tramite accordo diretto, oltre che ad anticiparli di tre mesi e ridurli a due (non a caso, nel novembre 2023 la CPD aveva invece già programmato, secondo la “tradizione”, tre dibattiti presidenziali tra il 16 settembre e il 9 ottobre).
Ormai si è imparato, almeno da una prospettiva politica, a non interpretare alcuna mossa del Partito Democratico americano come casuale (per quello Repubblicano vale lo stesso discorso ma più dalla prospettiva economica). Se dunque i dem hanno accettato una polemica dai toni “destrorsi” contro un organismo terzo che metteva in piedi i dibattito con giornalisti e intervistatori obiettivamente non favorevoli al candidato repubblicano, significa che c’è qualcosa di più importante in ballo: col senno di poi, l’isterisimo anti-Biden che emerge ora all’unisono e fuori tempo massimo (dopo quattro anni di gaffe, lapsus e scivoloni anche fuor di metafora) è troppo plateale per non risultare sospetto.
Politici, giornalistici, comici e influencer pseudo-progressisti sono partiti come un sol uomo in una gara di maldicenze, denigrazione e anche pura e semplice diffamazione nei confronti di Joe Biden, che fino a un attimo prima sotto il profilo politico-mediatico avevano protetto dalle fake news sulla sua salute mentale e la sua capacità di governare.
Paradossalmente, ciò accade proprio nel momento in cui il candidato democratico ha manifestato una lucidità maggiore che non in altre occasioni: tutto sommato, è riuscito a ribattere regolarmente a Trump, impappinandosi giusto in un paio di occasioni (le uniche alle quali è stato dato risalto come mai prima d’ora… sembra davvero che sia stato impartito un “ordine” di qualche tipo a tutto il mainstream).
Non so come andrà. Sinceramente, fatico ormai a sopportare la chiusura mentale di chi si fa condizionare in base a paranoie che poi non si concretizzano mai. È vero che i democratici potrebbero aver sacrificato alcune loro convinzioni per anticipare i tempi del dibattito e iniziare una sorta di fronda posticipata nei confronti di Biden, ma ciò è stato fatto senza alcuna garanzia. Anche qualora quest’ultimo effettivamente si ritirasse (cosa che non mi pare abbia alcuna intenzione di fare), la candidatura di qualsiasi altro personaggio non rappresenterebbe affatto una “mossa vincente”.
Diverso il caso in cui accadesse qualcosa a Biden dopo il secondo dibattito, dunque a meno di due mesi dalle elezioni: questa coincidenza esulerebbe da qualsiasi intrigo più o meno legittimo e darebbe una certa consistenza all’ipotesi di una sostituzione “obbligata” di Uncle Joe che i “complottisti” teorizzano ormai da troppi anni. Tutto ciò, naturalmente, contrasta con la possibilità perpetua da parte dei democratici di operare dei brogli per far vincere il proprio candidato…
Inutile però soffermarsi sulle contraddizioni di analisti che si stanno bruciando le cervella con gli allucinogeni della fantapolitica proprio nel momento in cui la realtà sfortunatamente sta diventando ogni giorno più “interessante” dei deliri individuali, come in quella presunta maledizione cinese (che in origine a quanto pare dovette suonare come “Meglio essere un cane in tempi di pace che un uomo in tempi di guerra”).