Ciao lettori, ora scrivo un paio di cose per farvi commuovere e poi costringervi a sganciare soldi perché io li ho finiti. Ma ci si può ridurre così? È tutta corpa dell’americani perché una volta Adsense funzionava alla grande, ma dopo la pandemenza nemmeno io mi sono più ripreso, come l’intero Occidente.
Adesso parto col primo delizioso aneddoto, che vi farà subito mettere mano ai bitcoins. Mi ricordo bene, era un caldo pomeriggio d’inverno del 2019, e i miei alunni (una volta ero insegnante statale delle elementari) mi chiesero di mettere col cellulare Soldi (fresco vincitore a Sanremo) del “cantautore italiano” Mahmood (in questo post nominerò solo lui perché non ho nulla di compromettente da dire nei suoi riguardi), che io pronunciavo con la “h” più aspirata del mondo per irritare i pulcini delle seconde generazioni (i quali per qualche misterioso motivo non sopportano la fricativa glottidale sorda profferita da un italiano, forse perché gli suona come una presa in giro).
Dato che io non sono mai stato uno di quei maestrini “amiconi”, ma nemmeno un satrapo che non si rende conto di vivere im feindlichen Land [;) 😉 ;)], feci finta di acconsentire al loro infantile desiderio e gli misi su Soldi soldi soldi di Betty Curtis. La canzone li sconvolse per il testo disgustosamente materialista (in effetti tolta dal suo contesto è uno degli inni più perversi mai composti, mentre il senso dovrebbe essere opposto) e fece apparire il rapper italo-egiziano (che dice di essere di Gratosoglio per fare il gangzta ma in realtà viene dal molto più decoroso quartiere Basmetto) come un cantore dei sentimenti più puri e alati.
Visto che ormai la lezione tendeva inesorabilmente verso lo svacco, gli educandi mi chiesero cosa ne pensassi di un altro menestrello proveniente dalle nostre zone, che all’epoca era costantemente sulle prime pagine di tutti i giornali per aver venduto l’anima al piddinismo. Io risposi tosto che se fosse stato per me lo avrei fatto sbattere in galera senza tanti problemi, al che i discoli in coro mi rivelarono che in classe c’era un cugino del suddetto rapper, il quale però non la prese male anzi finì quasi per scusarsi di appartenere alla medesima genia di quel tale.
Mi dispiacque molto per l’equivoco, lo dico sinceramente, soprattutto nel momento in cui i bambini cominciarono a insolentire il compagno con frasi come “Guarda che se muore tu erediti tutto!” (perché all’epoca erano già saltate fuori alcune sue strane malattie). Lì dovetti richiamare i monelli all’ordine e rifiutare, come un Umbertina Eco qualsiasi, di strumentalizzare la forza dissolutrice del Franti di turno per raggiungere qualche ridicolo traguardo ideologico (anche se non nascondo di essermi compiaciuto della disillusione quasi istintiva nutrita dai semplici, come i marmocchi o la plebe, nei confronti dei “mostri sacri” imposti dal sistema, atteggiamento difficile da rintracciare nell’idolatria agli stessi tributata da appartenenti a categorie considerate socialmente e intellettualmente più “evolute”).
Vabbè, veniamo a roba più seria. I miei rapporti col mainstream sono piuttosto particolari, perché sono cresciuto in un ambiente pseudo-sinistroide dove il successo nell’ambito dell’industria culturale era considerato il massimo dell’aspirazione (non a caso il mio babbo veniva ogni tanto a rompermi le palle col rapper di cui sopra con frasi del tipo “Hai visto che ha comprato il villone ai genitori?”).
Per quanto possa sembrare paradossale che siano proprio i progressisti i più ossessionati dall’ottenere un posto nello spettacolo anche in qualità di semplici comparse, a pensarci bene tale è la conseguenza più ovvia di decenni di rincorsa all’egemonia culturale, che con la graduale deideologizzazione dei kompagni si è trasformata in un fine in sé (e qui non avrebbe senso, se non per piaggeria, chiamare in causa il Debord perché stiamo parlando di un atteggiamento molto terra terra, tipo considerare un’apparizione in tv come atto intrinsecamente rivoluzionario).
Ad ogni modo, verso la fine degli anni ’90 del secolo scorso, quando ero ancora un educando provinciale e con la testa assolutamente vuota, nelle radio e sui canali musicali italiani si stava facendo strada un gruppo monzese (lol) che proponeva una forma abbastanza caratteristica di rock sperimentale. Al giorno d’oggi l’unico superstite -a livello mediatico- di quella band è un figuro che sembra perennemente fatto (e quasi sicuramente lo è, visto che smascella ogni cinque minuti), il quale passa la vita da un canale all’altro per sclerare contro i suoi colleghi musicisti o conduttori (l’ultima lite in ordine di tempo, ora che ci penso, è proprio con quel rapper di cui dicevo… il mondo è piccolo).
Lasciamo però da parte queste quisquilie e arriviamo al punto: si dà il caso che io sia l’autore non riconosciuto di tre testi dell’album più famoso del gruppo in questione. Il problema è che forse non sono in grado di dimostrarlo. Ma come è andata questa storiaccia? Per dirla in due parole, il mio babbo (ancora lui) mi convinse a spedire agli astri nascenti del rock italiano alcune poesie che avevo scritto per un concorso scolastico, delle quali solamente una avrebbe ottenuto un posto d’onore in un libretto stampato in proprio dalla docente di italiano e smerciato ai genitori durante la festa di fine anno per raccogliere fondi per la scuola.
L’episodio lambì i limiti del surreale nel momento in cui il gruppo monzese fece il botto con uno dei “miei” testi, e uno pseudo-bulletto della mia classe mi accusò di aver copiato la mia poesia, urlando a squarciagola le sue rimostranze in modo che tutti sentissero. Io provai un tuffo al cuore e cercai di difendere le mie ragioni, spiegando come fosse andata: incredibile ma vero, invece di trasformarsi in un tormento quotidiano per l’intero anno, la maldicenza si placò seduta stante. Ancora oggi mi stupisco di come, a livello di angherie scolastiche, tutto ciò non abbia generato ripercussioni: è come se i miei compagni, specialmente quelli che mi odiavano, almeno su questo punto provassero come una specie di rispetto verso di me.
O forse è più probabile che non gliene importasse nulla, come del resto dimostra -col senno di poi- il fatto che nessuno di essi ricordi alcunché di tutta la faccenda. Non che al sottoscritto, a dirla tutta, fregasse più che a loro: l’unica cosa che mi interessava è di non venire sbeffeggiato vita natural durante, e siccome schivai l’ingiuria, conseguentemente rimossi l’accaduto. Qualche anno dopo buttai via anche il libro di poesie, in un doveroso repulisti verso un passato disdicevole dettato dalla mia nuova identità di zekka liceale. Non sono nemmeno sicuro che esista ancora una copia di quella antologia “casereccia” nella bibliotechina scolastica, ché solitamente ogni decina di anni si butta via tutto (con la consapevolezza che non verrà fuori alcun genio da certi buchi neri dell’istruzione pubblica).
D’altronde, posto che io non ho intenzione di “dimostrare” alcunché (potete credermi o meno, tanto non cambia nulla), anche la presenza materiale del libretto non proverebbe la paternità di almeno uno di quei testi, in quanto il manufatto non riporta alcuna data (almeno questo lo ricordo bene). E per quanto riguarda eventuali “testimoni”, come ho già detto, i miei compagni avranno dimenticato tutto nel pomeriggio di quella stessa giornata, atteggiamento che non posso di certo biasimare nel momento in cui il mio stesso genitore, di fronte al mio migliore amico dell’epoca che, pur volendomi credere, cercava ugualmente una conferma patriarcale, non riuscì proprio a ricordare di essersi recato in persona a spedire quella cavolo di lettera.
Penso che altri dettagli della storia possano interessare davvero poco i miei lettori attuali. Posso solo aggiungere, giusto per dar qualche tocco di colore in più, che ricavai l’indirizzo della band da una di quelle riviste musicali (credo fosse “Tutto”) che contenevano in qualche decina di pagina una quantità di informazioni obiettivamente abnorme rispetto a quelle che si possono attualmente trarre da un qualsiasi motore di ricerca web. E, sempre ricordando sul momento, mi sovviene che all’epoca in televisione si parlava molto spesso del caso di un pover’uomo al quale era stato negato il montepremi del Totocalcio per lo smarrimento della matrice della sua schedina vincente. Dato che io da dodicenne ero piuttosto quieto e fatalista (mentre da quarantenne mi ritrovo a essere l’opposto), mi consolai dicendo che in quella Italia c’era chi aveva subito molti più torti del sottoscritto, e misi da parte per sempre la vicenda.
Nell’ultimo periodo tuttavia, complice una tendenza sempre più sfacciata all’alcolismo, il ricordo è riaffiorato e mi ha obbligato a una serie di riflessioni. Quelle sull’ingiustizia universale e sulla sfiga individuale me le tengo per me, perché non voglio tediare ulteriormente chi ha avuto la pazienza di arrivare fin qui (e badate che di seguito farò rivelazioni ancora più clamorose, intendendo l’espressione sempre in senso post-ironico). Piuttosto, sempre ricordando che per me è acqua passata e non provo assolutamente alcun rancore verso chi ha utilizzato i miei testi, anzi sono contento che siano stati valorizzati artisticamente (ok, ammetto di stare facendo il verso a Marge Simpson in quella famosa puntata del Flambé Homer, ma andiamo avanti), mi domando come sia potuto accadere che a) dei testi spediti da un ragazzino delle medie siano arrivati direttamente sul banco della band del momento; b) perché i componenti di tale gruppo si siano appropriati di poesie che io avevo inviato con tutta l’ingenuità preadolescenziale possibile senza nemmeno ringraziarmi, anche solo infilando da qualche parte le mie iniziali nel booklet del disco. Devo far notare che, tra le altre cose, nella lettera inviata al gruppo avevo indicato un mio pseudonimo, “Alfredo Cicciogallo” (ispirato ad Alfred Hitchcock) da utilizzare nel caso non avessero voluto riconoscermi alcuna paternità diretta di quei testi. Invece, niente.
Ormai sono passati oltre cinque lustri (Dio mio…) e ancora mi interrogo sulle dinamiche del tutto. Posso ipotizzare che un agente o mediatore abbia preso i testi e li abbia sbattuti da qualche parte: devo infatti ricordare che pur essendo nella seconda metà degli anni ’90 io avevo già preso la malsana abitudine di scrivere a computer e stampare qualsiasi cosa per “vivere nel futuro”, dunque le poesie erano giunte in un formato asettico e, presumo, senza nemmeno la lettera di accompagnamento che riportasse l’identità dell’autore. A ciò aggiungo un’altra supposizione -con la quale non voglio ovviamente insinuare nulla-, ovvero che è plausibile che i membri del gruppo, almeno all’epoca, fossero costantemente sotto l’effetto di qualche sostanza che li rendesse poco connessi con la realtà.
Perciò, per concludere il discorso, io penso che qualcuno si sia ritrovato quei testi su un tavolino tra posaceneri, macchie di amaretto di Saronno, musicassette, cingomme, gettoni del telefoni, laccetti, limoni, cucchiaini e altre boomerate (si scherza); costui deve averli letti e deve aver detto tra sé e sé “Quando ho scritto ‘sta merda? Sarà stato due settimane fa dopo quella [omissis] di [omissis] che mi ha mandato nell’iperspazio lisergico. Bene, ora ce famo su ‘na sminfa e annamo a pija’ piotte a tamburella” (so che non c’entra nulla ma non posso fare a meno di immaginare la scena in romanesco).
Sti cazzi, d’accordo. Se qualcuno ha in mente altri scenari si faccia avanti senza problemi. Per quel che mi concerne, non riesco a non pensare alla buona fede, anche perché avevo esplicitamente rinunciato a qualsiasi royalty e mi sarei forse solo accontentato di una risposta standardizzata (all’epoca di solito le band ti mandavano adesivi e volantini in automatico). Tuttavia, c’è qualcosa che proprio non mi torna, e talvolta mi trovo a pensare se non sia stato solo un sogno (ma questo mi capita ormai per qualsiasi evento della mia vita, perciò lasciamo perdere).
A questa vicenda posso agganciarne tranquillamente un’altra riguardante sempre i miei incontri ravvicinati col mainstream. Nel caso dell’artista di cui sto per parlare, specifico che i motivi per cui non faccio il suo nome hanno a che fare solo la sfiga e non col fatto che debba dire chissà che nei suoi confronti. Anche qui, credo sia semplicissimo risalire alla sua identità…
Tenetevi pronti, quindi. Dimentichiamo le medie, saltiamo le superiori e arriviamo direttamente agli anni del nulla, gli ’00 (che anche nel numero rivelano la loro essenza). Per ogniddove impazza un rapper dalla voce stridula e gracchiante che pareva ascoltassero davvero tutti (“i fighetti i punk i dark e i metallari”, come cantava lui stesso) ma che dal punto di vista dei contenuti (perché sulla musica, essendo inesistente, non c’è alcun giudizio da esprimere), era di uno squallore unico, roba da chiacchierata boomer da bar, sia nei risvolti più mosci (“Non credo nel destino da quando ho visto Alfredino / ti assicuro quella storia mi ha scioccato da bambino”) che in quelli più hardcore (“Se non me la dai io te la strappo come Pacciani”). Badate che finora sto citando un’unica canzone perché è la sola che riesco a ricordare chiaramente, e della quale ho sentito la voglia di recuperare il testo.
Ebbene, per quello stesso pungolo che mi era stato introiettato in gioventù, cioè il diktat di ritagliarsi con ogni mezzo necessario il proprio spazietto nello Spectacle per offrire alla “causa” (ormai entità a sé stante senza più alcuna connotazione ideologica) un’immagine vincente, decisi di contattare il rapper per proporgli una serie di “consigli di lettura” che potessero in un certo modo aiutarlo a “tesaurizzare” il suo successo. Non penso di essere in grado di comunicarvi il senso di vergogna che provo rivelarvi tale cosa: potrei anche schermarmi adducendo una profonda “sprezzatura” nei confronti del menestrello degenerato, ma in verità mi sono comportato da vera puttana intellettuale, nonostante fossero anni (parlo del 2006) in cui avevo completamente dismesso i panni dell’arrivista progressiva, e anzi tendevo sempre di più verso l’estrema destra.
Non a caso le mie dritte furono tutte all’insegna del “destrosismo” più blando, cioè del massimo di “destra” che a quei tempi ci si potesse permettere se si voleva ancora avere una vita sociale. In particolare, consigliai al berciatore insipiente di edificarsi su Borges, Céline, Jünger, Marinetti, Mishima, Pasolini. Scelsi accuratamente roba che non potesse in alcun modo ricordargli gli anni -presumibilmente deludenti- della scuola dell’obbligo e chein una maniera o nell’altra potessi interessarlo. Dovrei aprire un capitolo infinito su ognuno di questi autori, ma a scanso di equivoci tirai in ballo quello delle 10 lire, Pier Paolo Piedini, perché all’epoca per motivi incomprensibili era entrato nel pantheon “fascio” e se volevi esprimere una sola opinione non perfettamente allineata al globohomo dovevi tirarlo di mezzo anche nelle forme più fantozziane possibili, dalla “scomparsa delle lucciole” agli “sbirri proletari” (oggi, è ovvio, non lo farei mai nemmeno per sbaglio).
Senza dilungarsi, vi dico subito che il rapper o chi per esso non mi degnò di una risposta. In compenso, dopo qualche mese me lo ritrovai a cantare “E i miei soldati sono ancora al fronte / Come con Pasolini cancellate le impronte”. Non ricordo bene dove sentì il pezzo, forse su Blob, ma con tutto ciò non mi venne neppure in mente di correlare i miei suggerimenti con l’exploit del cantante, anche perché subito dopo il tonto sparava un’altra rima in cui al posto di PPP appariva un’infanticida che aveva animato per anni le cronache italiane (“Come con la Franzoni cancellate le impronte”). Ricordo invece che pensai solo “Ma che cazzo c’entra er Pasola con quell’altra?”. La prima cosa che ipotizzai fu un’influenza da parte di un giornalista molto quotato il cui figliolo voleva a tutti i costi collaborare con il rapper (non so se avete presente quest’altra triste vicenda, se sì bene altrimenti non sto nemmeno a ricapitolarla). Poi però mi resi conto che il tizio in questione fosse assolutamente refrattario all’idea che il caso Franzoni rappresentasse una sorta di “complotto all’italiana” (semmai sul suo giornaletto sostenne per anni la tesi che un “banale” caso di infanticidio fosse stato pompato a dismisura per coprire i guai giudiziari di Silvio B.), e mi rimase il dubbio.
Da utimo dimenticai l’episodio, finché, anni dopo, non mi imbattei nella nuova hit del saltimbanco, un “rap futuristico” dove costui, nella sua rozzezza e grosserie, tentava di citare il paroliberismo marinettiano. Ecco, in tal caso non potei fare a meno di pensare che il figlio di puttana avesse approfittato dei miei suggerimenti senza degnarmi di un solo accenno. No, non poteva trattarsi di una coincidenza, perché sfido a rintracciarmi un solo minus habens che in quegli ambienti parapiddini avesse potuto suggerire a ‘sto cancro in forma di musica i manifesti futuristi…
Non so se poi questo ingrato abbia citato anche Céline o Mishima, ma francamente ho zero voglia di andarmi a spulciare la sua discografia degli ultimi dieci -o addirittura venti- anni. In tal caso non ho naturalmente prova alcuna che egli abbia anche solo letto la mia email, ormai risalente alla notte dei tempi, e qualora fosse possibile testimoniare la benché minima influenza del sottoscritto nei confronti di costui (una cosa che peraltro allo stato attuale mi disgusterebbe), ciò non cambierebbe neppure uno iota della feroce forza che governa il mondo.
Direi che posso concludere testimoniando la sfiga invincibile che ho sempre avuto nei confronti del mainstream. Dio mi è testimone che ci ho provato a far soldi e finire in tv, ma evidentemente non era destino. Ammetto che il ticchio di fare il paroliere mi è sempre rimasto, e solo un’anima generosa quanto quella di Giorgio Felloni si è preso l’ingrato compito di mettere in musica alcuni miei versi “panelliani”.
Questi non sono che due piccoli esempi del motivo per cui la frustrazione mi monta a ogni piè sospinto verso qualsiasi impresa intraprenda. A quelli come me è stato promesso troppo ed è stato offerto meno di niente. Ed è a causa di ciò che non riesco ad avere un’opinione positiva su chiunque ottenga un minimo di visibilità a livello mainstream, perché è un sistema che vuole la tua anima senza nemmeno pagare. Ma cosa sono poi queste frasi così inutilmente enfatiche, quando sono io stesso ad aver considerato persino fin troppo mainstream fare l’insegnate statale. Merito di morire di fame, non donatemi nemmeno un copeco, ma apprezzate almeno il dono delle mie sfighe.
A riguardo penso che ci siano una serie di individui che siano destinati ad influenzare gli altri nei modi più diversi e che per un misterioso motivo non debbano essere riconosciuti in alcun modo come i veri ispiratori di alcunché , mi piace pensare che costoro siano una sorta di manifestazione di un Archetipo dell’eminenza grigia se così si può dire e per quanto narrato mi pare potresti rientrare in tal caso.
Sì esistono, ma per lo più è un ruolo consapevole. Comunque non è una dimensione che può essere detestata o respinta, va voluta e abbracciata. In senso più generico, tutti ci influenziamo a vicenda. Non è un buon motivo per impadronirsi dell’opera di altri, con la scusa che “tutti gli artisti attingono ad altri”: Sì attingono, si ispirano, non copiano di stecca e rubano! Ne esistono varie declinazioni, comunque qui si tratta di altro, perché nella declinazione “autore misterioso” si può benissimo restare nell’ombra senza fare beneficenza ai geni incompresi là..
Archetipo dell’Eminenza Grigia…grazie, questo titolo non ironicamente mi consola parecchio…
Qualche indizio sulla canzone della band monzese? 🙂
Dev’essere “Fuori dal t.”. Le altre due ci sto studiando.
Era più di una, ma quella pubblicata nella “antologia” era ispirata a una lezione di scienze su un elemento centrale della biologia…
Capito. L’unica che non ho riascoltato. Dal titolo mi sembrava troppo avanti per un dodicenne.
Hai ragione, ma qui si innesta un’altra questione, che sintetizzo in un proverbio da me appena coniato: Prodigio da bambino, da grande cretino. Ultimamente mi imbatto in numerose testimonianze su tale disagio, che riguarda anche me. Un esempio che mi ha colpito (e non per l’avvenenza della parlante):
A 12 anni (in verità 11) ero effettivamente “troppo avanti” e ora provo continua frustrazione per non riuscire mai ad approcciarmi ai limiti della “scienza infusa”. Ho sempre il timore di “medicalizzare” troppo e dunque riconoscere in tale condizione una patologia, che in verità già esiste non come malattia ma come semplice “atipicità” (ed è nota in vario modo: plusdotazione intellettiva, iperdotazione cognitiva, alto potenziale cognitivo).
È esattamente l’incontrario del vero: il fatto di pensare di non essere più in grado di fare certi ragionamenti che da piccoli ci sembravano molto profondi è proprio perché siamo maturati, abbiamo aumentato il nostro grado di consapevolezza e abbiamo capito che quelle cose erano principalmente cazzate. In altre parole come diceva C.B., dobbiamo disimparare per imparare e quindi per fortuna abbiamo disimparato ciò che sapevamo fare da ragazzi! Ormai ciò che mi interessa sono l’apprendimento delle arti manovali, la saldatura è la mia preoccupazione, dello Hegel me ne infischio. La testimonianza sopra citata parla di cinema… ecco appunto un peto. Pensaci Mister, se non avessi disimparato tutto non saresti a questo livello elevatissimo di consapevolezza. Ora non resta che diventare analfabeti per elevarci ancora.
È del 97?
Ci hanno tolto il punk da sotto i piedi.
Ti devi rilassare. Fa’ quello che ti piace e il talento riesci a esprimerlo, farci soldi può essere secondario..Appena posso ti mando dei copechi, ma secondo me il tuo canale espressivo ideale non è ancora venuto fuori. Guarda io ho conosciuto un grande musicista. Si è sempre ostinato a non fare il jazz, o jazz funk punk fusion o quel cavolo che poteva essere. Ecco forse un po’ di soldi li h fatti ma i capolavori li ha suonati di nascosto, in qualche antro di sala prove, perché non rendevano. Penso che abbia in gran parte sprecato il proprio talento. Tutto può essere relativo, ma quello che più conta è tirare fuori il più possibile il meglio di sé.
Non riesco più a fare “le cose che mi piacciono” alla mia età, probabilmente perché sento il dovere di fare “le cose che vanno fatte”…
“Non riesco più a fare “le cose che mi piacciono” alla mia età, probabilmente perché sento il dovere di fare “le cose che vanno fatte”…
Ti capisco perfettamente, pur avendo pochi anni meno di te (che tuttavia, essendo meno precoce, pesano molto nella mia tardiva formazione). Approssimandomi ai 35, non posso non pensare questo a proposito dei libri da leggere e di ciò che ho da scrivere – ché, a un certo punto, capisci che non puoi continuare a perdere tempo dietro a libri e autori minori o quasi insignificanti, o girare attorno al grande canone universale moderno e classico senza affrontarlo direttamente, immergertici e penetrarlo e assimilarlo.
Il problema, allora, è in fondo solo uno, e vale per tutti coloro che hanno qualcosa da dire o pensano di averlo: che cosa DEVO fare o dire? Che cosa devo assolutamente esprimere e compiere per esprimere e compiere la mia missione su questa terra? Capito quello, penso che ogni cosa assuma un ordine e una prospettiva diversa.
P.S. non ho ben presente cosa sia la post-ironia, quindi prendi le mie parole come sincere (o ingenue? sia pure), ché lascio l’ironia e l’umorismo ad altre questioni e temi, sembrandomi il tuo scritto altrettanto sincero e vero, sia pur con un apprezzabile, sottile distacco (auto)ironico.
Comunque bisogna ammettere che nel caso dei testi, sarebbe stato difficile risalire a te, e credo che la scena a parte il romanesco si sia svolta pressappoco nel modo come l’hai descritta. Ma non possono firmare col loro nome qualcosa che non hanno scritto. Dovevano scrivere autore ignoto e prima o poi Cicciogallo si sarebbe fatto vivo. O forse no, ma non puoi firmare ciò che non ti appartiene. Sui suggerimenti al bardo trash la cosa è ancora più labile, uno se è sveglio qualche sagace suggerimento lo prende al volo..Ma da tutto questo in effetti emerge qualcosa che è allo stesso tempo inquietante e incoraggiante, in qualche modo, e che sospetto da tempo. In mille modi, attraverso vari canali, dai più leciti a quelli meno (per carità è solo l’ombra di un sospetto) il mainstream ci spia, vede, intravede, teme, copia, è molto curioso e avido di idee da far fruttare a modo proprio e a favore delle proprie tasche ovviamente.
Fortuna che a me non è neanche stato mai promesso un fico secco. Lol.
Tutto ciò è molto triste.
Grazie Thot, sei un grande!
Ma bella zio figurati, sei l’ultimo intellettuale italiano, hai però avuto il tempo di dare una scorsa anche a Pound e Hamsun come ti avevo detto?
No dai frate, io ascolto solo la West!
Dovresti darti alla stand-up comedy, saresti il nostro Luca Ravenna!