La stampa internazionale (dal Guardian alla CNN) riporta in questi giorni le polemiche sulla cosiddetta “invasione” di Roccaraso da parte dei napoletani, che si sarebbero recati nella località appenninica nell’ordine delle migliaia (se non decine di migliaia?!) spinti da un’influencer alla quale sarebbe bastato girare qualche video da quelle parti per scatenare un turbamento dell’ordine pubblico nella cittadina abruzzese (con tanto di sindaco che ora minaccia l’intervento dell’esercito, l’adozione di “Daspo” e accesso regolato per i pullman in base alle targhe alterne), servizi della Rai sulla “sporcizia” lasciata dai turisti importuni, e addirittura accuse di riciclaggio di denaro sporco (per “l’elevato uso di banconote da 20 euro”).
Persino gli albergatori ed altri operatori commerciali (come i ristoratori) lamentano che questo turismo “mordi e fuggi” oltre a non portare ricchezza (la maggior parte dei visitatori pranza al sacco, a quanto pare incluso nelle offerte delle agenzie) crea un danno di immagine alla città (molti clienti abituali di taluni hotel, impensieriti dal caos, avrebbero disdetto le prenotazioni). Anche i residenti hanno espresso il loro malcontento soprattutto tramite i social, consentendo peraltro così ad altri utenti di sfogare un certo astio nei confronti delle genti partenopee.
Che dire? Non mi da di essere eccessivamente cattivo verso Napoli, anche se è un dato di fatto che non ci sia mai stato proprio per non imprimermi nella mente in maniera indelebile un’immagine piuttosto negativa di essa. D’altro canto, praticamente tutte le persone che conosco che l’hanno visitata hanno subito un furto di qualche tipo (rapina diretta con pistola alla mano, sottrazione del portafoglio sull’autobus, scippo, eccetera).
Esiste poi il problema della criminalità organizzata, che sembra goda di una diffusione crescente e di un’onnipresenza le quali si scontrano con tutta la sensibilità anti-camorra espressa a livello mediatico, nonostante col senno di poi l’universo “gomorriano” pare abbia sortito un effetto opposto a quello –almeno dichiaratamente– prospettato, offrendo semmai delle suggestioni distorte ai giovani (pensiamo a quanto il “sistema”, come i camorristi amano definire la loro organizzazione, in certe opere di fiction appaia come onnipotente, e come i suoi affiliati godano di una inafferrabilità da parte delle forze dell’ordine, peraltro completamente assenti forse più che non nella Napoli reale).
Infine, l’unico dato “positivo” (si fa per dire) è che si sta avverando, in maniera sempre più accelerata, la celebre “profezia” di Curzio Malaparte (“È il destino dell’Europa di diventar Napoli”), il che sta rendendo il capoluogo campano per certi versi non più pericoloso di altre grandi città italiane ed europee, principalmente per l’aumento vertiginoso della delinquenza straniera, che solo a livello di immagine sta distruggendo la reputazione di “capitali del turismo” come Firenze, Milano o Genova, ma anche di Parigi, Berlino, Amsterdam, Bruxelles ecc…
Queste affermazioni sono piuttosto provocatorie, lo so. Alla fine, nel caso di Roccaraso, il problema non sembra rappresentato esclusivamente dagli “invasori” campani, ma dalla miscela esplosiva di un’obiettiva mancanza di senso civico in una parte dei napoletani unita alla pratica del cosiddetto “turismo da TikTok” che causa problemi a Venezia come a Montmartre, per non dire dell’ineffabile Giappone (le cui autorità hanno fatto affiggere dei cartelli nella metro in cui i turisti molesti sono paragonati a scimmie dispettose).
Il principale problema dei napoletani, a mio parere, è il vittimismo: non a caso la tifoseria partenopea, nonostante sia temuta dai sindaci di ogni città dove il Napoli gioca in trasferta (altro che Roccaraso!), e nonostante abbia legami attestati con la criminalità organizzata, è l’unica, tra quelle italiane, “protetta” dalle leggi contro i cori razzisti.
Probabilmente esiste una “parte sana”, una Napoli di cultura, storia e tante altre meraviglie, che ovviamente non emerge mai: pensiamo solo al caso di Sanremo, che è stato anch’esso “invaso” dai napoletani nel momento in cui hanno tentato di far vincere tramite televoto un rapper che canta in “lingua”. A parte che il dialetto partenopeo è già protagonista di numerosi festival musicali, ma questo è un discorso che lascia il tempo che trova: ciò che invece preme ricordare è che tanti “napoletani doc” hanno un’idea precisa di cosa sia davvero il loro “dialetto” e lo distinguono da quel tipo di vernacolo che definiscono “sporco”, perché infarcito di slang e in definitiva più plebeo che popolare.
Vabbè, tutto ciò importa poco. Non volevo scrivere qualcosa contro i napoletani (già sono stato “invaso” qualche volta nei commenti), ma gira che ti rigira non è neanche così facile parlarne bene: poi, non avendo mai conosciuto un vero “napoletano di Napoli”, posso solo osservare quanto sia insopportabile il campanilismo degli emigrati (Napule capitale do munno, avimmo ‘nventato tutto nui!) e quanto sia imbarazzante dover sentire le reprimende di salernitani, avellinesi e casertani sul fatto che essi “non sono napoletani” (immagino vi sarete trovati anche voi in certe situazioni).
Alla fine era divertente considerare tutti i napoletani come un’emergenza nazionale (o internazionale, visto il risalto dato a certe notizie), tutto qua.