I novax mi avevano promesso casa, macchina e figa: adesso mi ritrovo sotto un ponte in balia del covis

Non ricordo più nemmeno da quanti anni possiedo una casella di posta elettronica targata “email.it”: si tratta di un servizio inefficiente e a tratti inutilizzabile, ma mi sono deciso ad affidarmi a esso per le “cose serie”, sia per resistere fino all’ultimo al fatidico “obbligo pec”, sia per boicottare gmail nel momento in cui Google mi ha fatto uno strano “scherzetto” . Ora salta fuori che email.it tra qualche settimana diventerà a pagamento (con un “piano offerta” dalle tariffe più costose di una pec).

La notizia è finita addirittura su qualche testata, e nel bailamme delle news ho scoperto che email.it in realtà non è nemmeno italiana (era uno dei motivi principali per cui l’avevo scelta come casella “elettiva” per questioni importanti come lavoro, partita iva, spid, comunicazioni istituzionali ecc ecc), ma di proprietà di Fjordmail, un “fornitore di servizi norvegese” che così viene descritto su TrustPilot da un anonimo user italiano:


Alla fine da email.it ho accettato di tutto: non solo il continuo cambio di grafica che tra finestre e finestrelle rende esasperante la semplice lettura dei messaggi, oltre che l’interdizione all’uso di programmi di posta (con l’obbligo di poter accedere alla casella solo dal loro lentissimo sito), ma addirittura uno spiacevole episodio di “fuga di dati” sul quale non ho voluto indagare per non angosciarmi. Ad ogni modo, non penso in alcun modo di abbonarmi a un servizio così pedestre, e tuttavia dovrò prendermi minimo una settimana per modificare l’indirizzo di riferimento di servizi purtroppo divenuti essenziali, per non dire dell’impossibilità di rettificare da remoto le indicazioni stampate nero su bianco sulle famigerate “MAD” consegnate direttamente a mano alle direzioni scolastiche (chi non è statale non può capire certi bizantinismi, che comunque rappresentano l’anima delle democrazie compiute e funzionanti, come quella nordcoreana).

Adesso che sto per chiudere la mia casella, mi è venuta la tentazione di dare un’occhiata a qualche vecchio messaggio: nulla di personale, solo roba burocratica e “chiamate”. Per esempio, enigmatiche richieste dalla Pubblica Amministrazione (“Non abbiamo potuto convertire il suo PIN in PIN dispositivo: la richiesta giunta per fax non è leggibile”); comunicazioni desolanti dalle biblioteche (come “La informiamo che il libro da Lei richiesto risulta introvabile”, che mi lascia intuire che un volume sia stato riposto in maniera sbagliata e ora non verrà mai più ritrovato); il congedo del mio medico di base (“Sono sicuro che troverete risorse nelle nuove generazioni di medici”, OK Boomer).

Ho ritrovato anche qualche strano messaggio spam, tipo offerte di assicurazioni in spagnolo (Elija su seguro de coche directamente en línea), il che mi ha fatto tornare in mente il fatto che questa email ha cominciato a essere inondata dalla pubblicità nel momento stesso in cui l’ho associata alla mia Partita Iva (ed ero sempre stato attentato a tenerla solo per comunicazione private). Come si spiega ciò? L’hanno pubblicata da qualche parte a mia insaputa? Chissà.

Ad ogni modo, nel marzo 2020 si è verificata l’implosione del “restiamo a casa” e le missive hanno iniziato ad assumere un tono sempre più mesto e contrito: da Briatore a Savonarola senza passare dal via. Anche dal punto di vista delle offerte di impieghi, ovviamente. E dato che va di moda lamentarsi (giustamente) dello squallore del mondo del lavoro italiano, aggiungo qualche piccolo contributo al genere: a parte le indicazioni sul vestiario (“total black, no sneakers” per fare il promoter), la questione della “giusta mercede” (7 euro netti all’ora per mansioni effettivamente scimmiesche, ma non è questo il punto) e la qualità delle offerte (incluse “supplenze brevi e saltuarie”, vaghissimi inviti al data entry che nei Paesi anglosassoni rientrano nei cosiddetti prison jobs e i fatidici “tre giorni di lavoro” preso il brand talmente esclusivo che piuttosto che chiamarti per un colloquio ti rimanda l’annuncio una decina di volte), voglio qui riportare la richiesta più inusuale giuntami negli anni, il Babbo Natale.

Si tratta di un’offerta da una azienda di marketing milanese risalente al dicembre 2015: «Siamo già al S. Natale e come ogni anno, in occasione di questa Festività, il nostro cliente [nota ditta di bevande] ci richiede di selezionare dei promoter (uomini) che, indossando il costume di Babbo Natale, distribuiscano delle cartoline relative al concorso Natalizio di [nota ditta di bevande] all’interno di alcuni punti vendita [ingresso di supermercati dell’hinterland milanese]. Il costume di Babbo Natale, messo a disposizione dall’Azienda, sarà inviato direttamente a casa del promoter incaricato». Tra i requisiti non c’è limite di età ma l’altezza non deve essere inferiore a 175cm (body shaming). Tre giorni di lavoro (18-20 dicembre), 9-13/15–19, paga: 60 euro netti a giornata liquidati tre mesi dopo tramite bonifico.

Rivedendo la mia vita negli ultimi anni, prima di “arrendermi” e fare lo shtataleh (tanto con la vaccinazione obbligatoria l’ho presa ugualmente in quel posto), mi accorgo di averci creduto anche troppo. Peccato comunque aver rifiutato quell’impiego da Babbo Natale (ma all’epoca il mio blog non lo leggeva ancora nessuno).

PS: Ringrazio i lettori (in particolare LV, MM, SN, MV, MF, F) che hanno deciso di ricoprirmi d’oro in questi anni difficili, e anche chi mi ha aiutato in altri modi. Spero che i tempi migliorino, e che una vera pandemia, una guerra civile o un olocausto nucleare eventi inaspettati possano movimentare un mercato del lavoro stagnante

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