Si sente spesso ripetere la storiella de “Gli immigrati ci pagheranno le pensioni”: ci si ricorda, per esempio, di quando Tito Boeri, ai tempi della presidenza dell’INPS (2014-2019) la trasformò in una sorta di dogma istituzionale, una verità di fatto non sostenuta dai dati che tuttavia provocò indirettamente lo “smottamento” di ampie fette dell’elettorato “moderato” verso qualsiasi proposta servisse almeno a regolarizzare i famigerati “flussi” (che poi nessuna destra di governo lo abbia fatto, è un altro discorso).
Al di là poi di quello che il reale apporto dei lavoratori immigrati al welfare nazionale (lo vedremo subito), pur accettando tale opinione per l’appunto come un assioma, ciò non impedisce il sorgere di dubbi immediati, di natura prettamente logica: se è l’immigrazione regolare a garantire il sostegno del sistema pensionistico, perché allora è vietato al contempo ragionare su questa benedetta “regolarità” (espressione che rimanda peraltro a funzioni corporee più che legislative)?
È sospetto, infatti, l’accomunamento del venditore ambulante, dello spacciatore o del mendicante a tutti quei lavoratori stranieri non sbarcati dalla nave di una ONG (per esempio, domestici filippini, badanti slave e ristoratori cinesi): sono però gli stessi immigrazionisti a istituire un collegamento tra barconi e pensioni, che suona più come l’espressione di un delirio tra il liberale e il feudale, dove i progressisti sono letteralmente alla ricerca dei proverbiali “due piccioni con una fava”, cioè lo smantellamento dello stato sociale in parallelo al “meticciamento” della popolazione.
Del resto, sempre per rimanere a un livello di logica basilare, chiunque potrebbe rendersi conto di come un’immigrazione incontrollata (ma anche “controllata”) distrugga il welfare. Il “caso scandinavo” è sotto gli occhi di tutti: quando lo stato sociale di un Paese diventa un “magnete” per qualsiasi abitante del Terzo Mondo, la conseguenza immediata è lo sconquasso delle finanze pubbliche, che a sua volta pone i governi di fronte alla dura scelta tra la riduzione degli ingressi degli stranieri e il livellamento della spesa sociale.
L’aspetto più ridicolo della faccenda è peraltro che la rappresentazione del sistema pensionistico come una specie di marketing piramidale (se non uno “schema ponzi” tout court) è uno storico cavallo di battaglia della propaganda rosso-verde europea. La balla è stata infatti ripetuta anche da politici di Paesi dove, oltre a un sistema previdenziale profondamente diverso dal nostro, non esiste neppure il terrorismo psicologico che contraddistingue l’approccio italiano al tema pensioni: ed è appunto uno dei tanti elementi che hanno contribuito all’esplodere della destra in tutto il Vecchio Continente.
Lo spiega bene in un capitolo del suo libro The strange death of Europe (tradotto da Neri Pozza nel 2018 ma già fuori catalogo) il giornalista conservatore britannico Douglas Murray: non è possibile che i politici che per decenni hanno intimato ai rispettivi elettorali di non fare figli per vivere meglio, ora obblighino gli stessi ad “adottare” dieci immigrati a testa, in base alla mitologia che un lavoratore straniero è più produttivo, più sano, e addirittura non invecchia mai (perché magari, lui così “coraggioso” e “frugale”, morirà facendo un lavoro sottopagato e pericoloso: il cuore d’oro della sinistra!). Per citare l’Autore:
«Forse i governi europei pensano di sapere quale contributo darà all’economia nazionale la prossima generazione di immigrati, ma è fattuale che i governi del passato non hanno mai azzeccato le previsioni in materia. Inoltre, esistono cose prevedibili ma sistematicamente ignorate, quali il fatto che anche gli immigrati invecchiano. Per quanto possa sembrare sorprendente a molti politici, importare un gran numero di giovani immigrati non risolve il problema dell’invecchiamento della popolazione, perché gli anni passano anche per gli immigrati che, da anziani, si aspetteranno e meriteranno di godere degli stessi diritti di chiunque altro. La conclusione logica è che la soluzione a breve termine si trasforma, nel lungo periodo, in un grattacapo ancora peggiore, perché si renderà necessario importare un numero sempre maggiore di immigrati, come in uno schema piramidale, per permettere a un sempre maggior numero di persone di mantenere il tenore di vita al quale sono abituate».
Dopo queste considerazioni generali, veniamo infine ai dati più aggiornati: in uno studio di Bankitalia riportato da “La Verità” nell’agosto 2024, emerge un primo “dettaglio” che raramente ci si degna di considerare, ovvero l’ammontare delle rimesse. Stando ai dati forniti da Banca d’Italia, si parla di 8,2 miliardi di euro nel 2023, un numero che va integrato con le cosiddette “rimesse invisibili” (come quelle che partono dagli onnipresenti negozietti di “telefonia”) e che in verità oscillerebbe tra i 9,4 e gli 11,9 miliardi (i primi Paesi beneficiari di questo drenaggio sarebbero Bangladesh, Pakistan e Filippine).
Un’osservazione ancor più attinente a ciò di cui stiamo parlando è il calcolo della capacità di contribuzione da parte degli immigrati, che ammonta appena al 5,6% dei lavoratori attivi (9,6 miliardi). Ciò spegne qualsiasi utopia sulle palingenetiche capacità dei “flussi regolari”: se il 10% dei lavoratori è in grado di versare solo il 5% dell’Irpef, rebus sic stantibus il gettito resterà sempre insufficiente a fini della fatidica “sostenibilità”. Figuriamoci poi qualora a regolare il “ricambio” fosse un’ossessiva ricerca della manodopera meno qualificata sul mercato globale per livellare ancor più i salari.
Altre considerazioni, sempre basate sui fatti e non sulle fantasie, le traggo direttamente dal canale Telegram Il Rozzo Bruno, al quale invito a iscrivervi (la grafica con i dati Istat è tratta ancora da “La Verità”):
– Se il 30,4% degli stranieri sono in povertà assoluta e il 32% in povertà relativa probabilmente in un “circolo chiuso” gli stranieri, 5,5 milioni, non stanno pagando nemmeno le pensioni di se stessi.
– Questo 30,4% corrisponde a circa 1,2 milioni di persone, questo 32% a circa 1,5 milioni, sempre nel “circolo chiuso” probabilmente gli stranieri nemmeno stanno sostenendo il welfare corrente per se stessi.
– Se il dato aggregato, 62,4% è raffrontato al dato della disoccupazione straniera, 11,3%, vuol dire che probabilmente abbiamo un 51% di stranieri working poor, occupati con redditi e condizioni estremamente bassi.
– Non è chiaro se la statistica conti i 500 mila clandestini, in caso così non fosse, gli stranieri in povertà assoluta salirebbero a 1,7 milioni, circa il 35%.
– 1,4 milioni di italiani in 20 anni sono emigrati e questi non ci pagano più pensioni e welfare.
Da tutto ciò si può giungere paradossalmente a una conclusione opposta a quella propinata dal noto slogan: i pensionati ci stanno pagando l’immigrazione.
In un sistema decadente non solo a livello lavorativo, ma anche economico, sociale nonché demografico, stiamo ancora sprecando risorse in questa utopia di società multi-qualcosa, che rappresenta come si diceva una forma di marketing politico non sostenibile in alcun sistema o epoca, ma in particolar modo nel momento in cui l’automazione rimodellerà completamente proprio quei settori dei “lavori che gli italiani non vogliono più fare” e consentirà, a quelle nazioni che cominceranno a chiudere i confini, di risollevare sulla lunga distanza il proprio welfare senza nessuna apocalisse sociale (e obiettivamente è inutile, da tale prospettiva, stigmatizzare qualsiasi “filoneismo”, transumanesimo o neofuturismo, visto che sarebbe il prezzo minimo da pagare dopo decenni di follie immigrazioniste).
A noi millennial inc*lati da ogni prospettiva possibile per i quali probabilmente la pensione rimarrà un mero miraggio rimane solo lo strumento della preghiera (per l’apocalisse nucleare globale, s’intende).
Anche tu un millennial come me.
Io della pensione non mi preoccuperei troppo.
Forse in alcuni stati esteri in futuro saranno anche messi peggio di noi.
Sempre sul tema: van de Beek, Roodenburg, Hartog, Kreffer – Borderless Welfare State. The Consequences of Immigration for Public Finances https://demo-demo.nl/wp-content/uploads/2023/06/Borderless_Welfare_State-2.pdf