I piddini volevano “abbracciare un cinese”… e i cinesi sono scappati!

In Italia a rilanciare l’hashtag #AbbracciaUnCinese non sono stati solo alcuni piddini bolliti, come il sindaco di Firenze Dario Nardella

o quello di Bergamo, Giorgio Gori,

ma anche, seppur idealmente, certi “illustri virologi” dalle cui labbra ora pendono pure quelli che si sono fatti eleggere dai novax, che dagli abituali salotti televisivi fino a poche settimane proclamavano che

In Italia il rischio è zero. Il virus non circola […] Questi allarmi continui non sono necessari: bisogna basarsi solo sui casi confermati ed è davvero odiosa questa discriminazione contro i cinesi e contro gli italiani di origine cinese. È una cosa barbara” (Virus, Burioni: “In Italia il rischio è zero”, Adnkronos, 2 febbraio 2020).

Mentre questi patetici appelli contro l’inesistente odio anti-cinese si moltiplicavano, erano tuttavia i cinesi stessi a non voler “farsi abbracciare” dagli italiani: la serrata improvvisa della maggior parte delle loro attività non è stata infatti dovuta a un presunto “razzismo”, ma a un ordine proveniente da Xi Jinping in persona. Come riporta il “Corriere della Sera” (non l’ultimo dei blog complottisti):

“L’indicazione alle comunità cinesi in Italia (e nel resto del mondo) di abbassare il profilo e di evitare assolutamente di apparire come portatori di virus è venuta da Pechino. Una volta scoppiata l’epidemia a Wuhan, i vertici del Partito Comunista e del governo si sono posti, tra gli altri problemi, quello delle cosiddette comunità cinesi d’oltremare: si tratta di sessanta milioni di persone di origine cinese che vivono in ogni continente. Il rischio individuato dagli uomini del presidente Xi Jinping non era solo la possibilità che contro i connazionali ci fossero, con l’alibi del virus, episodi di razzismo. La preoccupazione maggiore era che tra le comunità cinesi all’estero e le comunità locali si creassero conflitti, scoppiassero tensioni. Ciò avrebbe influito negativamente sull’immagine e sulla reputazione della Cina in tutto il mondo: scontri del genere avrebbero acceso una luce ancora più forte sulle responsabilità di Pechino nel mancato controllo delle prime fasi dell’epidemia. Andava evitato: le overseas communities andavano guidate e gli strumenti per farlo c’erano” (D. Taino, Coronavirus, le “armi magiche” di Pechino: perché i negozi cinesi hanno chiuso per primi, 12 marzo 2020)

Un copione pressoché identico in Spagna, altro Paese travolto dalla pandemia: mentre i loro piddini lanciavano l’hashtag #NoSoyUnVirus contro la chinófobia, pure i “cinesi d’oltremare” da quelle parti chiudevano tutto, seguendo -a loro dire- un impulso assolutamente spontaneo, ma probabilmente giunto anch’esso direttamente dal Partito.

La comunità cinese in Spagna si auto-isola: “Gli spagnoli non capiscono quanto sia pericoloso il coronavirus e noi abbiamo paura”

Non dimentichiamo, del resto, che nel suo “manifesto” Il governo della Cina (pubblicato in due volumi tra il 2014 e il 2017) Xi Jinping dedica diverse pagine agli overseas Chinese:

“Le decine di milioni di cinesi d’oltremare dispersi per il mondo sono membri di un’unica grande famiglia: come nelle nostre tradizioni più sacre, i cinesi non dimenticano la loro patria, le loro origini, il sangue che scorre nelle loro vene […]. Il loro contributo alla crescita economica della Cina non sarà mai dimenticato”.

Infine, una nota di colore: se i nostri piddini e sardine facevano a gara ad abbracciare cinesi, in Cina una rinomata catena di ristorazione espone in uno dei suoi locali a Shenyang (capoluogo della provincia del Liaoning) la scritta  热烈祝贺美国疫情 / 祝小日本疫帆风顺长长久久 “Congratulazioni agli Stati Uniti per la pandemia. Auguriamo al piccolo Giappone che il vento della pandemia soffi a lungo”.

Nonostante siano giunte immediate le scuse del governo, che ha costretto il locale a togliere l’insegna, comunque si tratta di una bella lezione. Non dico che in Italia ci vorrebbero politici come Viktor Orbán (che ha appena dichiarato “Avremmo potuto salvare la vita a molti europei se fin dall’inizio l’UE avesse messo in pratica una rigorosa politica di controllo delle frontiere”), tuttavia ci si aspetterebbe almeno che, una volta finito tutto, questa gente si ritirasse dalla vita pubblica, per una semplice questione di coerenza e dignità. Ma forse è davvero chiedere troppo.

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