Site icon totalitarismo.blog

I Sackler, la famiglia divenuta miliardaria grazie all’epidemia da oppioidi negli Stati Uniti

The Secretive Family Making Billions From the Opioid Crisis
(Christopher Glazek, Esquire, 16 ottobre 2017)

È noto che gli Stati Uniti sono da anni impegnati a contrastare una epidemia di oppioidi ormai divenuta emergenza sanitaria nazionale. Avrete sentito parlare dell’OxyContin, l’antidolorifico al quale centinaia di migliaia di di americani sono divenuti dipendenti. Ma forse non sapete che la società che ha ottenuto miliardi di dollari dalla vendita di OxyContin è proprietà di una sola famiglia…

Il nuovo Sackler Courtyard appena installato al Victoria and Albert Museum di Londra è uno dei luoghi più scintillanti al mondo. Undicimila piastrelle di porcellana bianca, intarsiate come una tavola da backgammon in frantumi, coprono una superficie delle dimensioni di sei campi da tennis. Secondo il direttore del museo, l’ambientazione regale è destinata a fungere da “salotto di Londra”, cioè di Kensington, il quartiere del museo, tra i più benestanti al mondo. Nel 2017 Kate Middleton, la duchessa di Cambridge, convocata per inaugurare il primo spazio all’aria aperta fatto solo di porcellana, è rimasta a bocca aperta al cospetto di questa distesa di ceramica.

 

Il “cortile Sackler” è solo una delle tante meraviglie finanziate da questa dinastia: c’è l’ala Sackler al Metropolitan Museum of Art di New York, che ospita il maestoso Tempio di Dendur, un santuario di arenaria dell’antico Egitto; altre “ali Sackler” al Louvre e alla Royal Academy; musei Sackler presso le università di Harvard e Pechino; legallerie Sackler allo Smithsonian, al Serpentine e all’Ashmolean di Oxford; il Guggenheim di New York ha un Sackler Center e l’American Museum of Natural History un Sackler Educational Lab. I membri della famiglia, noti nei circoli dei musei per la loro protervia nel “battezzare” angoli e ali, hanno anche patrocinato progetti di portata più modesta, come una “scala firmata” al Museo Ebraico di Berlino. Anche una varietà di rosa prende il nome da un Sackler, così come un asteroide.

Scala Sackler al Museo Ebraico di Berlino

Il nome dei Sackler non è meno importante a livello di istruzione: è possibile ricevere diplomi dalle scuole Sackler, seguire corsi di professori con cattedre Sackler e frequentare lezioni annuali Sackler su argomenti come l’astrofisica teorica e i diritti umani. Il Sackler Institute for Nutrition Science sostiene la ricerca sull’obesità e sulle carenze di micronutrienti, mentre gli istituti Sackler nei vari istituti (tra cui il King’s College di Londra) affrontano temi come la psicobiologia, ponendo l’enfasi sulla psicologia evolutiva della prima infanzia.

La filantropia dei Sacklers è diversa da quella dei Carnegie, che ha costruito centinaia di biblioteche in piccole città, o della Fondazione Gates, rivolta alle masse. La famiglia è più propensa a progetti elitari, a legare il proprio “marchio” alle istituzioni più prestigiose del mondo. Il nome Sackler evoca ovunque una riverenza automatica; gli stessi Sackler, del resto, amano restare lontano dai riflettori.

I discendenti di Mortimer e Raymond Sackler, fratelli psichiatri di Brooklyn, sono membri di un clan miliardario con proprietà sparse in Connecticut, Londra, Utah, Gstaad, Hamptons e, soprattutto, New York City. Ma è solo nel 2015 che sono stati notati per la prima rivolta da Forbes, che li ha aggiunti alla famosa lista delle famiglie più ricche d’America. La rivista ha fissato il valore della loro ricchezza, condivisa tra venti eredi, in 14 miliardi di dollari. I membri della famiglia sembra abbiano stretto un patto per non far sapere mai in pubblico l’ammontare dei propri possedimenti.

Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che la maggior parte di quella fortuna è stata ottenuta attraverso la commercializzazione (ma si potrebbe quasi dire “lo spaccio”) dell’OxyContin, l’antidolorifico considerato da molti esperti come uno dei prodotti più pericolosi mai venduti su larga scala. Dal 1996, quando il farmaco è stato introdotto sul mercato dalla Purdue Pharma, la filiale americana dell’impero farmaceutico dei Sackler, più di duecentomila persone negli Stati Uniti sono morte per overdose di OxyContin e altri antidolorifici da prescrizione. Altre migliaia sono decedute dopo aver iniziato con un oppioide prescritto dal medico e poi essere passati a un “farmaco” più economico come l’eroina. Non tutte queste morti sono legate all’OxyContin: decine di altri antidolorifici, compresi i generici, hanno invaso il mercato negli ultimi trent’anni. La Purdue Pharma è stata però la prima a raggiungere una quota dominante nel campo degli oppioidi ad azione prolungata, giungendo a rappresentare nel 2001 oltre la metà delle prescrizioni.

Secondo le autorità sanitarie, 53mila americani sono morti per overdose di oppioidi nel 2016, più dei 36mila morti in incidenti stradali nel 2015 o dei 35mila morti per violenza armata lo stesso anno. Nel luglio 2017 la Commissione sulla lotta alla tossicodipendenza e all’epidemia degli oppioidi, voluta da Donald Trump e guidata dal governatore del New Jersey Chris Christie, ha stimato che gli oppioidi uccidono circa 142 americani al giorno, “un 11 settembre ogni tre settimane”. L’epidemia ha anche richiesto un tributo finanziario schiacciante: secondo uno studio pubblicato dall’American Public Health Association, utilizzando i dati del 2013, prima che l’epidemia entrasse nella sua fase attuale (la più tragica), l’onere economico totale derivante dall’uso di oppioidi era di circa 80 miliardi di dollari, tra costi sanitari e giudiziari, sommati alle conseguenze delle perdite al PIL per gli americani espunti dalle statistiche sulla forza lavoro a causa della loro tossicodipendenza indotta. Il tabacco rimane comunque il prodotto più letale del paese, responsabile di circa 480mila morti all’anno, ma sebbene miliardi siano stati ricavati da tabacco, automobili e armi da fuoco, nessuna di queste imprese ha mai arricchito una sola famiglia come i Sackler con l’OxyContin.

Nessuno peraltro associa il nome dei Sackler all’unico farmaco di successo della loro azienda. “I Ford, gli Hewlett, i Packard, i Johnson, tutte quelle famiglie hanno messo la faccia sui propri prodotti perché orgogliose di essi”, afferma Keith Humphreys, professore di psichiatria alla Stanford University School of Medicine che si è occupato a lungo dell’epidemia degli oppioidi. “I Sackler hanno invece nascosto i loro legami col loro prodotto. Non le chiamano pillole Sackler, e quando gli si chiede qualcosa, rispondono ‘Beh, è un’azienda privata, siamo una famiglia, siamo gelosi della nostra privacy'”.

Durante il periodo cruciale dello sviluppo e della promozione dell’OxyContin, i Sackler hanno condotto attivamente gli affari quotidiani della Purdue, ottenendo tre grandi trionfi dal punto di vista del marketing: la vendita di OxyContin; la promozione del nome Sackler; la garanzia che la gente non sapesse nulla del legame tra la famiglia Sackler e il marchio Purdue.

Originariamente nota come Purdue Frederick, l’azienda fu fondata nel 1892 nel Lower East Side di New York da un venditore ambulante di medicinali. Per decenni si è sostenuta con la vendita del Gray’s Glycerine Tonic, un liquido a base di sherry di “ampia applicazione”, commercializzato come rimedio per tutto, dall’anemia alla tubercolosi. L’azienda fu acquistata nel 1952 dal 39enne Arthur Sackler e gestita dai suoi fratelli, Mortimer, 36 anni, e Raymond, 32. I Sackler provenivano da una famiglia di immigrati ebrei a Flatbush, Brooklyn. Arthur era un imprenditore testardo e ambizioso, che spesso fungeva da balia i fratelli minori. Dopo aver frequentato la facoltà di medicina grazie ai soldi di Arthur, Mortimer e Raymond lo seguirono presso l’ospedale psichiatrico di Creedmoor nel Queens, dove collaborarono a decine di studi sulle radici biochimiche della malattia mentale. La ricerca dei fratelli era promettente – furono tra i primi a identificare un legame tra la psicosi e il cortisone – ma le loro scoperte furono perlopiù ignorate dai colleghi che, in linea con lo spirito dei tempi, preferivano rifarsi alle classiche terapie freudiane.

Negli anni ’60, Arthur Sackerl fu incaricato dalla Roche di sviluppare una strategia pubblicitaria per un nuovo farmaco contro l’ansia chiamato Valium. Ciò rappresentava una sfida, perché gli effetti del farmaco erano quasi indistinguibili da quelli del Librium, un altro tranquillante della Roche già sul mercato. Arthur ha cercato di dare al Valium una nuova identità, gonfiando la sua gamma di indicazioni. Mentre Librium era venduto come semplice rimedio contro l’ansia, il Valium venne presentato come elisir per un problema che Arthur chiamò “tensione psichica”. Secondo gli slogan, la tensione psichica (l’antenata dello “stress” odierno) era segretamente responsabile di una serie di acciacchi fisici, tra cui bruciore di stomaco, problemi gastrointestinali e insonnia. La campagna fu un tale successo che per un certo periodo il Valium divenne il farmaco più prescritto in America, il primo a raggiungere i 100 milioni di dollari di vendite. Arthur Sackler, il cui onorario dipendeva dal numero di pillole vendute, fu lautamente ricompensato.

Arthur Sackler, il “patriarca”

Man mano che la sua fortuna aumentava, Arthur rivolse i suoi istinti predatori al mercato dell’arte, accumulando rapidamente la più grande collezione privata al mondo di antichi manufatti cinesi. Secondo le memorie della seconda moglie Marietta Lutze, il collezionismo alimentò la “spinta alla necessità di prestigio e riconoscimento” di Arthur. All’inizio solo un passatempo gratificante, il collezionismo divenne presto una mania che prese il sopravvento sulla sua esistenza. “Scatoloni di manufatti di enorme valore finivano ammucchiati nei depositi, c’era troppo da esplorare, troppo da apprezzare; alcuni oggetti sapeva di possederli solo perché apparivano in qualche elenco”. Le loro vite vennero travolte da una valanga di “bronzi e armi rituali, specchi e ceramiche, ossa incise e giade antiche”. Per la Lutze “la dipendenza è sempre una sciagura, che si tratti di droghe, donne o collezionismo”.

Nel donare pezzi da collezione e concedere lauti finanziamenti ai musei, Arthur Sackler spesso imponeva condizioni onerose. Secondo un libro di memorie scritto da Thomas Hoving, direttore del Metropolitan dal 1967 al 1977, quando Arthur fondò la Sackler Gallery al Metropolitan Museum of Art per ospitare le antichità cinesi, nel 1963, chiese al museo di collaborare a una manovra bizantina di elusione fiscale. In pratica il museo fu convinto a vendere ad Arthur Sackler una grande quantità di manufatti antichi ai prezzi degli anni ’20 per i quali erano stati originariamente acquistati, in modo che poi il filantropo potesse cederli loro ai prezzi degli anni ’60, ottenendo una detrazione fiscale talmente alta da superare il valore della donazione iniziale. Tre anni dopo, in occasione di un’altra donazione, Arthur negoziò col Metropolitan un accordo ancora più insolito, finendo per offrirgli un deposito gratuito per circa cinquemila oggetti dalla sua collezione privata, sollevandolo dall’onere della protezione antincendio e altri costi assicurativi. (In uno scambio di e-mail, Jillian Sackler, terza moglie di Arthur, ha definito le dichiarazioni di Hoving “false” e ha affermato che il procuratore generale di New York ha condotto un’indagine sui rapporti di Arthur con il Met, scagionandolo da ogni colpa).

Nel 1974 Arthur e i suoi fratelli fecero un grande regalo al Metropolitan (3 milioni e mezzo di dollari) per erigere il Tempio di Dendur, stabilendo che tutta la segnaletica del museo, le voci di catalogo e i bollettini che si riferivano agli oggetti nell’ala Sackler di recente apertura dovessero includere i nomi di tutti e tre i Sackler, ciascuno seguito da M.D. (“Medicinae Doctor”). Il Metropolitan sperava che Arthur alla fine donasse la sua collezione al museo, ma il mecenate è rimasto deluso da una serie di sgarbi. Per prima cosa, il Tempio di Dendur veniva affittato per feste, inclusa una cena per lo stilista Valentino, che Arthur definiva “disgustoso”. Ecco perché nel 1982, in una plateale rottura col Met, Arthur donò le parti migliori della sua collezione (più di 4 milioni di valore), allo Smithsonian di Washington.

Il Tempio di Dendur al Metropolitan Museum di New York

I fratelli minori di Arthur, Mortimer e Raymond, si assomigliavano così tanto che quando lavoravano insieme a Creedmoor ingannavano lo staff fingendo di essere uno per l’altro. Le loro somiglianze fisiche non si estendevano però alla personalità. Tage Honoré, vicepresidente della Purdue dal 2000 al 2005, li ha descritti “come il giorno e la notte”. Mortimer, secondo Honoré, era “estroverso, un uomo di mondo”, e per l’appunto ha acquisito una reputazione da playboy transatlantico passando la maggior parte dell’anno nelle sue ville in Inghilterra, Svizzera e Francia (nel 1974 ha anche rinunciato alla cittadinanza statunitense per diventare cittadino austriaco, cosa che fece infuriare il suo fratello maggiore) Come Arthur, Mortimer divenne un importante mecenate di musei e sposò tre mogli nel corso della sua vita.

Raymond Sackler, il fratello più giovane, era di carattere opposto, più “padre di famiglia”, affabile e cordiale, sposato con la stessa donna per tutta la vita. Ma è anche colui che ha guidato la Purdue in veste di alto dirigente per diversi decenni, mentre Mortimer Sackler si dedicava alla Napp Pharmaceuticals, la sezione del Regno Unito. Arthur Sackler non ebbe invece mai alcun ruolo ufficiale nelle aziende di famiglia. Secondo il volume Pain Killer di Barry Meier, un’inchiesta sul dilagare dell’OxyContin pubblicata -in tempi non sospetti- nel 2003, Raymond e Mortimer acquistarono la quota di Arthur per 22,4 milioni di dollari nel 1987, dopo la sua morte. In uno scambio di e-mail, la figlia di Arthur, Elizabeth Sackler, storica dell’arte di orientamento femminista che siede nel consiglio del Brooklyn Museum e sostiene una varietà di cause progressiste, ha voluto distanziare il suo ramo di famiglia dalle attività dei cugini. “Né io, né i miei fratelli, né i miei figli abbiamo mai tratto alcun guadagno dalla Purdue Pharma o dall’OxyContin“, ha scritto, elogiando anche “l’ampiezza della genialità e delle opere importanti di mio padre Arthur Sackler”.

I Sacklers sono milionari da decenni, ma i soldi veri -quelli dagli antidolorifici- sono arrivati in tempi relativamente recenti. Il veicolo di quella fortuna è stato l’OxyContin, ma il vero motore che li ha portati a fare i miliardi sono state le intuizioni pubblicitarie di Arthur sul Valium, adattate all’era dei “dolori cronici”. L’idea fondamentale, semplice ma redditizia, è stata quella di prendere una sostanza in grado di creare dipendenza e commercializzarla come “panacea per tutti i mali”.

Prima di entrare nel settore degli antidolorifici, la Purdue era un’industria di basso rango, specializzata in rimedi da banco come prodotti contro il cerume e lassativi. Il suo farmaco di maggior successo, acquisito nel 1966, era il Betadine, un potente antisettico acquistato in quantità industriali dal governo degli Stati Uniti per prevenire l’infezione tra i soldati in Vietnam. La svolta avvenne nel 1972, quando un medico londinese che lavorava per Cicely Saunders si avvicinò alla Napp con l’idea di creare una pillola di morfina a lento rilascio, che avrebbe permesso ai malati terminali di cancro di riposare tutta la notte senza flebo. A quel tempo, il trattamento con oppioidi era stigmatizzato a causa di un’epidemia di eroina insorta col ritorno dei veterani del Vietnam. L”oppiofobia, come veniva chiamata, impediva ai dottori di prescrivere alla maggior parte dei pazienti antidolorifici di qualsiasi tipo: con i pazienti terminali tuttavia la dipendenza non rappresentava un problema. Nel corso degli anni settanta, basandosi su una tecnologia a rilascio lento che la Napp aveva già sviluppato per un farmaco per l’asma, la filiale londinese dei Sackler creò quello che divenne noto come il sistema “Contin”. Nel 1981, l’azienda introdusse una pillola di morfina a rilascio temporizzato nel Regno Unito; sei anni dopo la Purdue introdusse lo stesso farmaco sul mercato negli Stati Uniti col nome di MS Contin.

L’MS Contin è diventata rapidamente l’antidolorifico principale per i malati terminali di cancro. Al contempo un certo numero di medici iniziò a sostenere l’uso di potenti oppioidi per il mal di schiena e il dolore neuropatico. Nel 1986, due medici del Memorial Sloan Kettering di New York pubblicarono un articolo in una rivista medica che pretendeva di dimostrare, sulla base di uno studio su trentotto pazienti, che il trattamento con oppioidi a lungo termine era sicuro ed efficace nel caso che i pazienti non avessero precedenti di abuso di droghe. I sostenitori degli oppioidi ricevettero un assist fondamentale anche dal New England Journal of Medicine, che nel 1980 suggerì, sulla base di un campione per nulla rappresentativo, che il rischio di dipendenza dall’uso a lungo termine di oppioidi era inferiore all’1%. Anche se sconfessata dal suo stesso autore, la ricerca venne citata centinaia di volte nelle riviste di medicina.

Mentre il paese stava rivedendo le sue politiche sanitarie, il figlio maggiore di Raymond, Richard Sackler, cercava nuove applicazioni per il sistema Contin. “Era una costante fonte di discussione”, ricorda Peter Lacouture, direttore della ricerca clinica dela Purdue dal 1991 al 2001. “Ed è lì che Richard voleva lanciare qualche idee, forse per gli antibiotici, forse per la chemioterapia”. Come suo zio Arthur, anche Richard era affascinato dal marketing: secondo Sally Allen Riddle (altra ex di Purdue), “era molto interessato al lato commerciale, ma non sempre attendeva i risultati delle ricerche sui prodotti” (Un portavoce della Purdue ha ribattuto a Esquire che Richard “ha sempre considerato le informazioni scientifiche rilevanti nel prendere decisioni”).

Richard Sackler è forse il membro più riservato di una famiglia generalmente riservata, ma dalle testimonianze emerge comunque il ritratto di un uomo eccentrico, ostinato e dall’ambizione infinita. Nato nel 1945, si è laureato alla Columbia University e alla NYU Medical School. Secondo una biografia sul sito web del Koch Institute for Integrative Cancer Research al MIT (del quale Richard fa parte del comitato consultivo), ha iniziato a lavorare alla Purdue come assistente di suo padre all’età di 26 anni prima di dirigere il settore della ricerca e sviluppo dell’azienda e, separatamente, la divisione vendite e marketing. Nel 1999 si unì a Mortier e Raymond ai vertici dell’azienda, una posizione che lasciò nel 2003 per diventare condirettore del consiglio di amministrazione. In una delle sue rare foto (da quello che sembra essere il suo profilo Facebook), Richard indossa un completo marrone chiaro e una cravatta rosa e tiene la mano destra in tasca, con un contegno sbarazzino. Divorziato nel 2013, indica il suo stato sentimentale sul profilo come “Complicato”.

I contributi politici di Richard sono andati principalmente ai repubblicani, anche se a volte ha donato anche ai democratici. Nel 2008, ha scritto una lettera al Wall Street Journal denunciando il sostegno dei musulmani agli attentati suicidi, una sua preoccupazione costante: la sua organizzazione filantropica, la Richard and Beth Sackler Foundation, ha sostenuto diversi gruppi anti-islamici, tra cui tre organizzazioni classificate come “gruppi di odio” dal Southern Poverty Law Center.

Secondo Shelby Sherman, rappresentante di vendita della Purdue dal 1974 al 1998, Richard ha iniziato ad assumere un ruolo sempre più importante nell’azienda di famiglia all’inizio degli anni ’80. “Il cambiamento è stato repentino”, ha detto. “Raymond era calmo, posato e con i piedi per terra”. Quando è arrivato Richard, “le cose sono diventate molto più difficili. Richard voleva che la Purdue diventasse un colosso”. Per capitalizzare efficacemente il “movimento del dolore cronico”, la Purdue sapeva che era necessario oltrepassare ogni limite.

Per Sally Allen Riddle, la morfina aveva uno stigma: “La gente la sente nominare e pensa ‘perché dovrei prenderla se non sto morendo’?”. Oltre alla nomea di farmaco per malati terminali, l’MS Contin aveva un ulteriore handicap: il suo brevetto sarebbe scaduto alla fine degli anni novanta. In un promemoria del 1990 indirizzato a Richard e altri dirigenti, il vicepresidente della ricerca clinica della Purdue, Robert Kaiko, suggerì che l’azienda lavorasse su una pillola contenente ossicodone, una sostanza chimica simile alla morfina derivata dal papavero da oppio. In termini di brand, l’ossicodone deteneva un vantaggio essenziale: sebbene fosse il 50% più forte della morfina, molti medici credevano, a torto, che fosse meno potente. Si lasciarono ingannare sulle sue proprietà in parte perché l’ossicodone era noto come uno degli ingredienti attivi del Percocet, una combinazione di oppioide-paracetamolo relativamente debole che i medici spesso prescrivevano per lesioni dolorose. Sempre secondo la Riddle, “Non aveva la stessa connotazione negativa che la morfina aveva per il pubblico”.

Quando la Purdue si è dichiarata colpevole per frode nel 2007, ha riconosciuto di aver strumentalizzato le false convinzioni dei medici sull’ossicodone. Nei documenti del processo la società attesta di essere “ben consapevole dell’opinione errata di molti medici che l’ossicodone fosse più debole della morfina”. La Purdue non ha semplicemente trascurato di chiarire le proprietà dell’OxyContin ma, come successivamente ammesso, ha promosso in modo fraudolento l’oppioide come meno potente rispetto agli altri presenti sul mercato. In questa truffa, la Purdue ha avuto un aiuto fondamentale dalla Food and Drug Administration (l’ente di sorveglianza americano su alimenti e medicinali), la quale ha consentito all’azienda di includere una surreale dicitura nel foglietto illustrativo dell’OxyContin: “Si ritiene che l’assorbimento ritardato riduca la possibilità di abuso del farmaco”.

L’ipotesi era che i tossicodipendenti avrebbero evitato i farmaci a rilascio ritardato, preferendo naturalmente qualcosa di più “immediato”. Nella pratica invece l’OxyContin, concentrando un’enorme quantità di narcotico puro in una singola pillola, è proprio entrato nel mirino dei tossicodipendenti, che hanno trovato subito il modo di aggirare il meccanismo di rilascio a tempo (per esempio frantumando la pillola e sniffandola). Non una sorpresa per i produttori: il bugiardino dell’OxyContin avvertiva che il consumo di pillole frantumate avrebbe ostacolato il sistema di rilascio a tempo e sottoposto i pazienti a un’overdose potenzialmente fatale.

L’anno dopo l’immissione dell’OxyContin sul mercato, Curtis Wright, l’addetto della FDA che fece approvare il farmaco, si licenziò dall’ente governativo e venne assunto direttamente dalla Purdue. In un’intervista con Esquire, Wright ha difeso il suo operato: “All’epoca, si credeva che le formulazioni a rilascio prolungato fossero meno suscettibili di abuso. È stato uno shock per tutti, sia per il governo che per la Purdue, che la gente abbia trovato il modo di macinare, masticare, sciogliere e iniettarsi le pillole”. Non si poteva prevenire l’abuso senza diminuire la possibilità di offrire sollievo alle persone affette da dolore cronico. “A metà degli anni Novanta”, ha ricordato, “i migliori specialisti intimarono alla comunità medica di prescrivere più oppioidi. Non era una domanda generata dalla Purdue: nessun piano segreto, complotto o strategia di marketing. Il dolore cronico è orribile. E, se gestita correttamente, la terapia a base di oppioidi è a dir poco miracolosa”. Secondo Wright, i Sackler sono persone fantastiche. “Nessuna azienda farmaceutica nella storia ha tentato di prevenire l’abuso dei propri prodotti come la Purdue”.

La Purdue non ha inventato il “movimento del dolore cronico”, ma si è servita di esso per spacciare le proprie pillole: Wright ha dunque ragione nel sostenere che negli anni novanta i pazienti spesso ricevevano cure inadeguate. Tuttavia la richiesta di nuove politiche nella cura del dolore cronico divenne anche un alibi per favorire prescrizioni eccessive di antidolorifici. Entro la fine del decennio, i sostenitori del trattamento con oppioidi, supportati da milioni di finanziamenti dalla Purdue e altre società farmaceutiche, si erano organizzati in gruppi di difesa come l’American Pain Society e l’American Academy of Pain Medicine.

Anche la Purdue aveva lanciato una propria associazione, la Partners Against Pain: il suo scopo era di “attribuire un aspetto emotivo al dolore non canceroso”, in modo che i medici si sentissero obbligati a trattarlo in maniera più “decisa”. L’azienda ha trasformato la possibilità di ottenere sollievo dal dolore come un diritto fondamentale, un diritto universale ai narcotici non solo per i malati terminali ma per ogni americano.

Le vendite dell’OxyContin sono cominciate nel 1996, quando l’azienda si è concentrata sul “mercato del cancro”: ma già negli anni successivi l’azienda ha raddoppiato la produzione rivolgendosi a medici di base, dentisti, ginecologi e infermieri. Nel 2001, le vendite annuali di OxyContin avevano superato il miliardo di dollari. I rappresentanti di vendita sono stati incoraggiati a minimizzare i rischi di dipendenza: “L’obbligo era di vendere, vendere, vendere”, ha ricordato Sherman. “Siamo stati spinti a mentire. Perché usare mezzi termini a riguardo? L’avidità ha preso il sopravvento“.

Purdue ha inoltre distribuito numerose tangenti in forma di rimborsi e omaggi (dunque legali secondo la legge americana) a ogni livello della catena di distribuzione: i rivenditori ottenevano sconti in cambio dell’esclusione dell’OxyContin dagli elenchi di autorizzazione preventiva, i farmacisti ritorni sui loro ordini iniziali, i pazienti buoni per forniture di un mese, gli accademici borse di studio, le riviste mediche milioni in pubblicità, senatori e membri del Congresso vari emolumenti.

Sono stati i medici a ricevere le maggiori attenzioni. “Eravamo soliti portarli a questi ‘seminari'”, ha detto Sherman, “che in sostanza erano partite di golf a Pebble Beach” Sebbene offrire omaggi ai medici non fosse raro nel settore, era senza precedenti nella commercializzazione di un antidolorifico classificato come ad alto potenziale di dipendenza. Per alcuni i viaggi in luoghi soleggiati non erano sufficienti a convincerli: per attirare quei medici che la Purdue definiva “problematici”, la società attivava il suo dipartimento di relazioni pubbliche: “Preparavano dei piccoli ricevimenti, facevano una chiacchierata di un quarto d’ora e poi ricevevano 500 dollari”.

Tra il 1996 e il 2001, il numero di prescrizioni di OxyContin negli Stati Uniti è passato da circa trecentomila a quasi sei milioni e le segnalazioni di abuso hanno iniziato a fioccare in luoghi come West Virginia, Florida e Maine (le indagini in seguito avrebbe mostrato una correlazione diretta tra il numero di prescrizioni in una data area e i tassi di abuso e sovradosaggio). Centinaia di medici sono finiti agli arresti per aver prescritto pillole su scala industriale. Secondo un’indagine del Los Angeles Times, la Purdue aveva stilato a uso interno un elenco interno di medici suscettibili di indagini per le loro condotte, ma non ha mai fornito volontariamente queste informazioni alle forze dell’ordine, se non anni dopo l’accaduto quando obbligata a farlo.

Mentre la guerra contro l’OxyContin aumentavano di intensità, la Purdue rispondeva con concessioni simboliche pur mantenendo il suo modello di business basato sulle vendite. Per evitare che i tossicodipendenti falsificassero le prescrizioni, l’azienda fornì ai medici blocchetti delle prescrizioni con meccanismi di antimanomissione; per placare i farmacisti preoccupati per le rapine, la Purdue si offrì di rimborsare i farmaci rubati; per raccogliere dati sull’abuso di droghe, la società lanciò un programma di monitoraggio nazionale chiamato “RADAR”.

Ma gli scettici non si lasciarono convincere. In una lettera a Richard Sackler nel luglio 2001, Richard Blumenthal, allora procuratore generale del Connecticut e ora senatore degli Stati Uniti, ha definito le iniziative della società “puro maquillage”, dal momento che il problema principale dell’epidemia di oppioidi era l’elevato volume di prescrizioni: “È tempo che Purdue Pharma cambi le sue pratiche aziendali, non solo la strategia di pubbliche relazioni”.

Il problema infatti non era solo che i medici fornissero un numero enorme di prescrizioni, ma anche che tali prescrizioni fossero spesso per dosi straordinariamente alte. Una singola dose di Percocet contiene tra 2,5 e 10 mg di ossicodone. L’OxyContin è invece disponibile in formulazioni da 10, 20, 30, 40 e 80 mg e, per un certo periodo, anche 160 mg. Il più grande vantaggio competitivo della Purdue nel dominare il “mercato del dolore” era che l’effetto dell’OxyContin poteva durare dodici ore, abbastanza da garantire un riposo prolungato. Per molti pazienti però il tempo si riduceva a sei o otto ore, creando un ciclo di “alti e bassi” che uno studioso ha definito “la ricetta perfetta per la dipendenza”. Di fronte a lamentele sul “dolore episodico intenso” (causate dal fatto che l’efffetto dei farmaci non durasse per il tempo promesso) i rappresentanti di vendita della Purdue convincevano i medici ad aumentare la dose piuttosto che la frequenza di dosaggio.

Negli anni successivi, sono state intentate decine di azioni legali contro la Purdue. Molti sono finiti a processo, ma in alcuni casi l’azienda ha sganciato cifre enormi per evitare qualsiasi procedimento penale. Diversi querelanti hanno ritenuto che la società fosse disposta a tutto per impedire a Richard Sackler di testimoniare sotto giuramento. Come ricorda Marvin Masters, avvocato che ha intentato una causa collettiva contro la Purdue nei primi anni 2000 nel West Virginia, “erano disposti a risolvere il caso in qualsiasi altro modo pur di evitare il processo”. La Purdue ha cercato prima di sollevare Richard da ogni accusa, per poi alla fine accordarsi con le parti offese per un indennizzo di oltre 20 milioni di dollari.

Nel 2007 finalmente il governo degli Stati Uniti è intervenuto costringendo la Purdue alla “resa”: il colosso farmaceutico si è dichiarato colpevole, ammettendo di aver mentito ai medici sui pericoli dell’OxyContin (tecnicamente l’accusa era “contraffazione di un marchio con l’intento di truffare o indurre in errore”). In base all’accordo, la società pagò 600 milioni di multe e tre alti dirigenti all’epoca (tra i quali il successore di Richard come presidente) dovettero sborsare 34,5 milioni di dollari di tasca propria e svolgere quattrocento ore di “servizio alla comunità”. Una delle multe più salate mai inflitte a un’azienda farmaceutica.

Nessun Sackler è stato nominato nella causa del 2007. In effetti, il nome Sackler non figura da nessuna parte nel patteggiamento, anche se Richard era stato uno dei massimi dirigenti della società per la maggior parte del tempo. Solo nel 2015 è stato costretto a rilasciare una deposizione, in una causa presentata dal procuratore generale del Kentucky: l’unica testimonianza di un Sackler sulla crisi di oppioidi che l’azienda di famiglia ha contribuito a creare è stata, come prevedibile, prontamente secretata.

Nel 2010 la Purdue ha accettato i rilievi sollevati per anni riguardo il pericolo di abuso da OxyContin e ha realizzato una nuova versione del farmaco più difficile da sniffare o iniettare. L’azienda ha colto l’occasione per rinominare se stessa come leader del settore nella tecnologia anti-abuso. Il cambiamento di strategia ha coinciso con altre due eventualità: in primo luogo, un numero sempre più crescente di persone non in grado di permettersi l’OxyContin che si rivolgeva ad “alternative” più economiche come l’eroina; inoltre, la scadenza a breve dei brevetti sull’OxyContin. Ecco perché la Purdue iniziò improvvisamente a sostenere che un farmaco da essa venduto per quasi quindici anni era così suscettibile di generare dipendenza che nessun produttore generici avrebbe dovuto essere autorizzato a produrlo.

Il 16 aprile 2013, il giorno della scadenza per alcuni brevetti chiave dell’OxyContin, la FDA ha seguito l’esortazione della Purdue, dichiarando che nessuna versione generica della formulazione originale di OxyContin potesse essere commercializzata. L’azienda aveva così ottenuto un’ulteriore proroga alla tutela brevettuale della sua gallina dalle uova d’oro.

L’astinenza da oppioidi, che provoca dolori, vomito e ansia, se già è una esperienza raccapricciante per gli adulti, per i circa ventimila bambini americani che vengono alla luce da uteri impregnati di oppioidi è a dir poco tragica. Questi neonati, improvvisamente privati della loro dose quotidiana, piangono in modo incontrollabile. La loro pelle è ricoperta di chiazze, non riescono mai a prendere sonno, i loro corpicini sono scossi da tremori e convulsioni. Non sono nemmeno in grado di succhiare il latte, perché incapaci di coordinare il movimento delle labbra. Il trattamento della dipendenza neonatale consiste in una siringa di morfina sparata direttamente in bocca. Lo svezzamento a volte richiede una settimana, ma può durare fino a dodici. È un processo straziante e costoso, tipicamente eseguito in terapia intensiva neonatale, dove i neonati sono separati dalle madri.

I “figli dell’OxyContin”, così come gli eredi, non sono solo i neonati tossicodipendenti: i discendenti di seconda e terza generazione di Raymond e Mortimer Sackler spendono i loro soldi nel modo in cui ci si aspetta da dei “filantropi”. Molti di loro hanno messo i bambini al centro delle loro iniziative: un erede dei Sackler ha contribuito ad avviare un’app per iPhone chiamata RedRover, che genera attività a misura di bambino per genitori troppo impegnati col lavoro; un altro gestisce un centro per l’infanzia nei pressi di Central Park; un altro ha investito in una start-up educativa chiamata AltSchoolM un altro ancora ha fondato Beespace, un “incubatore per organizzazioni non profit emergenti”, che fornisce risorse e tutoraggio per iniziative come il Fondo Malala, che investe in programmi educativi per le donne nei paesi in via di sviluppo, e Yoga Foster, il cui obiettivo è organizzare “corsi di yoga accessibili e sostenibili nelle scuole di tutto il paese”. Altri eredi della dinastia Sackler fanno cose ancora più gratificanti: uno finanzia piccole produzioni cinematografiche; un’altra ha sposato un famoso giocatore di cricket; un terzo ha avviato una società di produzione con Boyd Holbrook, protagonista della serie Netflix Narcos; un quarto ha fondato una piccola catena di pub di lusso a New York. Eccetera.

Attenendosi alla tradizione di famiglia, gli eredi di Raymond e Mortimer hanno rifiutato di lasciare dichiarazioni per questo articolo. Invece, attraverso un portavoce, hanno presentato due accademici che hanno beneficiato della loro generosità: Phillip Sharp, genetista del MIT vincitore del premio Nobel, e Herbert Pardes, ex preside della facoltà di medicina della Columbia University e CEO del New York-Presbyterian Hospital. Entrambi gli studiosi hanno elogiato i finanziamenti dei Sackler alle arti e alle scienze: “Una volta che entravi in lista”, ha dichiarato Pardes a Esquire, “eri in grado di assicurarti fondi quasi illimitati”. Il professore ha definito i Sackler “le persone più gentili e simpatiche che si possa immaginare”. Per quanto riguarda il legame della famiglia con l’OxyContin, ha detto che non era mai emerso come un problema nel suo ospedale: “Non ne ho mai sentito parlare”.

L’omertà di Pardes non è insolita: nel 2008, Raymond e sua moglie hanno donato a Yale una somma (il cui ammontare non è stato reso pubblico) per avviare il Raymond & Beverly Sackler Institute for Biological, Physical and Engineering Sciences. Lynne Regan, l’attuale direttrice, ha dichiarato che né gli studenti né i docenti hanno mai parlato della questione OxyContin. “La maggior parte delle persone non sa, penso siano tutti ignari”. Un portavoce dell’università ha aggiunto: “Yale non giudica i donatori in base alle controversie in cui sono coinvolti”.

Ma la “controversia” attorno all’OxyContin è lungi dall’essere conclusa. Nel 2016, le autorità sanitarie americane hanno diramato un comunicato sorprendente: non esistono prove valide che gli oppioidi siano un trattamento efficace per il dolore cronico oltre le sei settimane. Al contrario, da tempo esistevano riscontri sulla dannosità del trattamento a lungo termine con oppioidi: un recente studio dell’economista di Princeton Alan Krueger suggerisce che l’uso cronico di oppioidi abbia provocato oltre il 20% del calo della forza lavoro americana dal 1999 al 2015. Milioni di prescrizioni di oppioidi per il dolore cronico sono state stilate negli ultimi vent’anni, ma soltanto ora viene messo in dubbio la validità di quelle prescrizioni. Almeno venticinque enti governativi, che vanno dagli stati alle piccole città, hanno recentemente intentato azioni legali contro la Purdue per ottenere un risarcimento dei danni associati all’epidemia di oppioidi.

I Sackler probabilmente ne usciranno intatti: grazie a un accordo negoziato nel 2007, la maggior parte dei nuovi contenziosi penali contro la Purdue riguarderà solo attività verificatesi dopo quella data. E, come è noto, né Richard né altri membri della famiglia occupano una posizione di rilievo presso l’azienda dal 2003.

Il mercato americano dell’OxyContin si sta lentamente sgonfiando. Secondo la Purdue, le prescrizioni sono diminuite del 33% tra il 2012 e il 2016. Ma se il successo del prodotto sta tramontando negli Stati Uniti, i mercati internazionali per i farmaci antidolorifici sono al contrario in espansione. Secondo un’indagine dello scorso anno sul Los Angeles Times, Mundipharma, la società di proprietà di Sackler incaricata di sviluppare nuovi mercati, sta impiegando una serie di note tattiche promozionali in paesi come Messico, Brasile e Cina per alimentare l’isteria di massa sulle “epidemie silenziose” di dolore. In Colombia, secondo il L.A. Times, la società è arrivata al punto di far circolare un comunicato stampa nel quale si afferma che il 47% della popolazione soffre di dolore cronico.

Nel maggio 2017 una decina di membri del Congresso degli Stati Uniti, ispirati da un’inchiesta del Los Angeles Times, hanno inviato una lettera all’Organizzazione Mondiale della Sanità pe denunciare la volontà delle società di proprietà di Sackler di inondare altri Paesi paesi con narcotici legali. “La Purdue ha dato inizio alla crisi degli oppioidi che ha devastato le comunità americane”, si legge nella lettera. “Oggi la Mundipharma utilizza molte delle stesse pratiche ingannevoli e spregiudicate per vendere l’OxyContin all’estero“. È significativo che la lettera citi la famiglia Sackler, senza lasciar dubbi su chi si cela realmente dietro alla Mundipharma.

Raymond Sackler con la moglie Beverly Feldman

Anche se l’impatto globale dell’operato dei Sackler sulla società richiederà anni per essere valutato, in alcuni campi, come abbiamo visto, essi hanno già lasciato il segno: Raymond, l’ultimo rimasto dei “fratelli dell’OxyContin”, è morto nel 2017 a novantasette anni. Nel corso della sua esistenza ha ottenuto il cavalierato britannico, è stato insignito della Legion d’Onore e ha ricevuto uno dei più alti riconoscimenti dalla casa reale dei Paesi Bassi. Uno dei suoi ultimi titoli è arrivato nel giugno 2013, quando Anthony Monaco, rettore della Tufts University, si è recato nella sede della Purdue Pharma a Stamford per conferirgli un dottorato onorario. I Sacklers avevano fatto una serie di donazioni all’istituto nel corso degli anni e, in considerazione dell’età avanzata di Raymond, il rettore si è recato alla Purdue per una cerimonia speciale. Il pubblico quel giorno era ristretto a membri della famiglia, personale universitario selezionato e qualche dipendente dell’azienda. Rivolgendosi alla folla di intimi, Monaco ha elogiato il benefattore: “Sarebbe impossibile calcolare quante vite ha salvato, quanti campi scientifici ha ridefinito e quanti nuovi medici, scienziati, matematici e ingegneri stanno svolgendo un lavoro importante grazie al suo spirito imprenditoriale. Raymond Sackler è un uomo che ha cambiato il mondo“.

Exit mobile version