I soldati americani sono ancora in grado di combattere una guerra?

Sulla breve distanza abbiamo discusso dei problemi dell’esercito americano a reclutare nuove forze nonché della condotta disarmante tenuto da tutto l’apparato militare statunitense nei confronti degli Houthi (per citare l’esempio più recente). Tuttavia, da una prospettiva più ampia, c’è un autore israeliano, Martin van Creveld (a scanso di equivoci, ultrasionista), che sostiene che i guerrieri d’oltreoceano siano tutti, letteralmente, delle pussycats, delle fighette: questo è infatti il titolo di un suo volume del 2016 (non tradotto in italiano, anche se in compenso nel nostro Paese è stato pubblicato nel 2007 un suo titolo sulla stessa linea, Le donne e la guerra).

Le tesi dell’israeliano sono piuttosto chiare: egli è convinto che il disturbo da stress post-traumatico (ormai divenuto un’ossessione quando si parla di veterani e reduci di guerra) sia un’invenzione socio-mediatica, conseguenza diretta della “cultura del piagnisteo” e del vittimismo di massa, oltre che di una medicalizzazione che ha fatto di questo “disturbo” un’epidemia.

Inoltre, a suo parere, il concetto di guerra sarebbero stato delegittimato in favore di una paranoia per i “diritti” che renderebbe impossibile concretamente qualsiasi iniziativa militare, soprattutto nella prospettiva dei “diritti civili” che diventano un alibi per giustificare l’indifferenza delle nuove generazioni nei confronti del bene comune.

È notevole che Van Creveld, comunque un nome accreditato nei circoli conservatori, affermi esplicitamente che la demonizzazione della guerra in Occidente abbia portato a una degenerazione all’insegna di “codardia, egoismo, materialismo e, non da ultimo, femminismo”.

Le donne nell’esercito in effetti sono la “bestia nera” di questo polemista: Van Creveld considera la mascolinità tradizionale come un valore sempre più minato dalla somministrazione di psicofarmaci e dalla “demonizzazione degli sport violenti”: riguarda  tali argomento egli adotta un approccio liberal portandolo però verso un rigetto totale dei “valori femminili” nella vita pubblica. In ultima analisi, per lo studioso il declino militare occidentale è dovuto più a fattori culturali e sociali (potremmo dire “spirituali”) che materiali.

La metafora del pussycat, termine ambivalente che nel suo significato più innocente indica un “gattino”, serve all’Autore per ritrarre un Occidente “svirilizzato” nell’immagine di un felino addomesticato che non è più capace di difendersi. Van Creveld ha potuto esprimere tali opinioni anche a livello mainstream, forse perché le sue tesi in fondo evidenziano una concreta incapacità delle forze americane ad affrontare il combattimento “a terra”, uomo contro uomo.

Le sconfitte colossali contro somali, afghani e iracheni, a fronte dei “trionfi” effimeri su serbi e libanesi (per seguire gli esempi proposti dall’Autore), sono lo specchio di un settore, quello militare, “oppresso da migliaia di regolamenti” (per esempio, i soldati americani non possono bere fino ai 21 anni o affibbiare “nomignoli” ai propri nemici pena sanzioni disciplinari).

Per questo studioso, il meccanismo del “disturbo post-traumatico” (peraltro allo stato attuale negli Stati Uniti ogni soldato al ritorno di un qualsiasi conflitto è obbligato a sottoporsi a un test allo scopo di diagnosticarlo), in ultima analisi rappresenta una burocratizzazione della guerra, che rende le truppe degli ingranaggi intercambiabili e fanno passare il soldato per un malato mentale, trasformandolo in “merce danneggiata”.

Tuttavia, il lato più interessante della polemica di Van Creveld è l’antifemminismo: per lui il fatto che i soldati possano essere “trattati come donne” è un fattore demoralizzante, una vera e propria onta all’orgoglio dei militari americani ed europei. Questo per lo storico israeliano è il sintomo più evidente del “cammino di autodistruzione” intrapreso dall’Occidente.

Va osservato, in conclusione, che l’analista ebreo adotta gli stessi paradigmi nei confronti dell’esercito israeliano, nonostante il suo approccio in tal caso (per evidenti ragioni etniche) sia più interessato al dissuadere Tel Aviv dall’utilizzare tutta la sua potenza contro i “mulini a vento” arabi (cosa che poi ha esattamente fatto durante l’ultimo conflitto a Gaza), piuttosto che stigmatizzare tutta la propaganda sulle donne nel glorioso Tsahal. Anche per questo, le sue considerazioni lasciano il tempo che trovano nonostante possano risultare decisamente suggestive.

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3 thoughts on “I soldati americani sono ancora in grado di combattere una guerra?

  1. A me viene da fare due riflessioni.
    La prima è che, nel campo della cosiddetta “controinformazione”, quasi nessuno si interessa di questa problematica americana, che poi è in realtà una problematica anche europea, perché anche i nostri eserciti sono a corto di uomini. Ogni giorno i “giornalisti indipendenti” (compresi quelli specializzati in questioni militari) ci fanno una capa tanta sulla possibilità che la guerra arrivi anche in occidente, ma poi non ci dicono che in occidente non ci sono abbastanza uomini per combattere tale guerra.
    La seconda riflessione è più che altro una domanda. Cioè, mi chiedo se chi ha elaborato e poi dato il via a questa propaganda contro il maschio bianco etero e il patriottismo sapesse che poi tale propaganda avrebbe portato a una diminuzione di tali maschi bianchi nelle FFOO. Secondo me dovevano saperlo, perché chi arriva a elaborare e a far partire delle operazioni di ingegneria sociale non è uno stupido. Tu cosa ne pensi?

    1. Se ci pensi bene il fatto di diffondere tramite i media la nozione che “ci sarà una guerra in Europa” non è altro che propaganda della paura, diffusa al preciso scopo di spaventare i molli europei e per tale tramite far loro accettare le più mostruose restrizioni dei loro diritti e stili di vita (si, esattamente come facevano con la propaganda covid). Martellati da queste sottili minacce, gli europei accettano in silenzio l’aumento del prezzo dell’energia e di tutti i beni di prima necessità addossando la colpa al cattivone di turno (in questo caso Putin) anziché a politiche volontariamente inflitte dag!i apparati UE. Ciò detto, si tratta ovviamente di minacce vuote: non accadrà alcuna guerra in Europa e gli unici nemici di cui dovremmo liberarci sono quelli interni.
      Quanto alla mancanza di uomini negli eserciti, anche quella è una falsa emergenza in quanto non solo non ci sarà alcuna guerra – come ho già detto- ma la sostituzione dei soldati con droni, robot e sistemi automatizzati si trova nei piani di sviluppo militari USA da molti anni ed è una cosa voluta.

      1. Sì ma infatti anch’io avevo fatto il tuo stesso pensiero. La minaccia della guerra sarebbe la solita operazione psicologica, per ottenere tutti i “vantaggi” che elenchi tu, per cui la mancanza di uomini nell’esercito non sarebbe un problema (e con i droni puoi tranquillamente uccidere senza neanche rendertene conto). Tra l’altro il compianto John Kleeves già spiegava che, in ogni caso, l’esercito USA da solo non sarebbe capace di sconfiggere alcunché.

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