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I soldati italiani al confine del Libano hanno reso omaggio ai caduti di Hezbollah: Israele li ucciderà per vendetta?

È di queste ore la notizia che un missile israeliano ha colpito, ovviamente “per errore”, l’infermeria di una base italiana della missione Unifil. L’unico giornale ad aver riportato il fatto pare sia “Il Messaggero”, che dalle sue fonti ha ricostruito l’accaduto:

«Lunedi [30 settembre], nove di sera (otto italiane). Un rumore sordo fa scattare i nostri Caschi blu di stanza nella base Onu di Mansouri. Sono le donne e gli uomini di Italbatt, l’unità operativa che comanda la missione Unifil. Un missile israeliano atterra a circa cinquecento metri dall’entrata della base, volano schegge. La porta di vetro dell’infermeria italiana va in mille pezzi per l’onda d’urto della deflagrazione.

[…] Nessuno rimane ferito. I danni alla base sono superficiali. Ma una linea rossa intanto è stata varcata. Già perché tra gli italiani e i militari israeliani c’è un patto non scritto, da rinnovare ogni giorno: nessun colpo di mortaio deve avvicinarsi alle postazioni Onu oltre il raggio di un chilometro. Qualcosa invece lunedì non ha funzionato: I’ldf, le forze di difesa israeliane, intercettano una postazione di miliziani Hezbollah nei boschi che circondano la base italiana. Non attendono oltre: sparano».

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani si è limitato a dichiarare: «Abbiamo avuto garanzia che Israele presterà grande attenzione ai nostri militari». Certo.

L’episodio -gravissimo- mi costringe a commentare sull’onda dell’emozione, come del resto ho appena fatto per l’uccisione di Nasrallah (anche se poi mi sono in parte “emendato”): è vero, non dovrei, ma quello stesso pezzo mi ha fruttato due importanti donazioni e dunque voglio dedicare le righe che seguono ai due lettori che mi hanno inviato anche dei graziosi messaggi di supporto (che, nonostante i toni accesi, non posso che condividere):

A mio parere, durante l’invasione ebraica del Libano qualche soldato italiano cadrà sotto i colpi del “fuoco -cosiddetto- amico”. Gli israeliani, e in particolare Netanyahu, hanno ancora il dente avvelenato per un episodio accaduto ormai oltre quindici anni fa, quando i soldati italiani dell’Unifil resero onore ai caduti di Hezbollah nel momento in cui le loro bare passarono davanti alla base, durante uno scambio di prigionieri (e salme) avvenuto il 16 luglio 2008. Tra i sette corpi trasportati dal camion c’era anche quello Imad Mughniyeh, il vice di Nasrallah ucciso a Damasco da un’autobomba in un’operazione conginuta CIA-Mossad.

L’episodio generò una feroce polemica e addirittura l’ambasciatore israeliano all’Onu chiese l’espulsione dei due soldati, che in realtà si erano limitati a seguire una procedura consolidata, mettendosi sull’attenti al passaggio di… bare (peraltro avevano eseguito lo stesso gesto anche al passaggio delle due salme di militari israeliani che facevano parte dello scambio).

Il colonnello Enrico Attilio Mattina, all’epoca portavoce dell’Unifil, difese i suoi uomini con giudizi assolutamente condivisibili:

«I due soldati hanno obbedito a una tradizione che risale alla notte dei tempi, e che accomuna tutti i soldati del mondo. Una tradizione che impone il rispetto per i morti in guerra, a prescindere dalla divisa che indossavano».

Eppure, è noto l’atteggiamento israeliano di fronte alla ragionevolezza altrui: un delirio di vittimismo ed egomania, una sete insaziabile di sangue e vendetta, l’impossibilità di comprendere che al mondo non esistono solo gli ebrei.

Alla luce della psicologia di questo popolo, io penso che accadrà qualcosa di poco bello ai nostri soldati al confine: non voglio “tirarla” a nessuno, ma sembra quasi un copione già scritto. Il “tragico errore”, le scuse formali e una nuova serie di massacri con l’entusiasmo di chi l’ha fatta ancora franca. Fossi un soldato italiano dell’Onu in questi frangenti diserterei, perché non ci sarà nemmeno un cane a rendergli onore qualora lo scenario peggiore dovesse verificarsi.

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