I tedeschi sono il popolo più stupido della terra

Il rifugiato eritreo Mulugeta Tekle, diventato artista in Germania, ha appena donato alla CDU un un ritratto della Merkel nelle vesti di Madre Teresa di Calcutta: così riporta sul suo profilo ufficiale di Twitter, senza tema di ridicolo, Annette Widmann-Mauz, responsabile per “la migrazione, i rifugiati e l’integrazione” del partito della Cancelliera:


L’opera è ispirata alla “storica” copertina dello Spiegel del settembre 2015, che in verità ritraeva Angela come la celebre missionaria cattolica per ironizzare sul suo repentino cambio di posizione nei confronti dell’immigrazione dopo una carriera politica interamente spesa a contrastare il fenomeno (ricordiamo che ancora nel 2010 dichiarava a tutta pagina Il multiculturalismo ha fallito).

Insomma, una carnevalata si è trasformata in una di quelle “iniziative istituzionali” che almeno fino a poco tempo fa mantenevano il pregio del basso profilo e della sobrietà. Come se Berlino fosse riuscita a ribaltare il noto motto di Marx: non dalla tragedia alla farsa, ma viceversa.

Sono questi “sintomi” a farmi pensare che i tedeschi siano il popolo più stupido della terra. Non lo dico per parafrasare il titolo di uno degli episodi del monumentale Heimat di Edgar Reitz (Das glücklichste Volk der Welt), ma perché comincio a crederci sul serio: sarà la Romantik, sarà Weimar, sarà aver perso la guerra, sarà il feroce autolesionismo con cui distruggono quotidianamente un pezzo della loro anima, ma i tedeschi sono… sconcertanti.

Ci pensavo soprattutto leggendo l’ultima fatica di Timur Vermes, Gli affamati e i sazi, da poco tradotto da Bompiani. Mentre il fior fiore degli storici europei descrive in termini drammatici la politica di ingegneria sociale imposta da Berlino all’intero continente col pugno di ferro dell’egemonia economica (addirittura il britannico Niall Ferguson evoca la Völkerwanderung, quelle che un tempo chiamavamo “invasioni barbariche” e oggi il politicamente corretto impone anche a livello accademico di definire “migrazioni di popoli”), i tedeschi la buttano in caciara.

Per Vermes la Willkommenspolitik merkeliana diventa un reality show in cui trecentomila migranti partono dall’Africa (nell’immaginario occidentale “un mondo pieno di guerre civili e Boko Haram”) nutrendosi di pappa di cereali rimescolata da betoniere e facendosi condurre da una giunonica presentatrice che riscuote personalmente le marchette delle meretrici che fiancheggiano la carovana. Mentre gli ideatori del programma sono preoccupati di evitare che le telecamere inquadrino le tonnellate di escrementi lasciati dalla moltitudine desiderante, sottosegretari omosessuali e servizi segreti stranieri cercano un modo per fermarla (e l’AfD arriva al 20%). Finale a sorpresa.

A scanso di equivoci, il romanzo non è malaccio ed è comunque all’altezza del noto exploit hiterliano sia per felicità di scrittura che per scorrettezza politica. Tuttavia, se uno degli scrittori tedeschi contemporanei più importanti affrontando una catastrofe epocale non riesce a produrre altro che battutacce e pulcinellate (Ach, Italien!) provando a fare l’Houellebecq bavarese (una cosa che fa accapponare la pelle solo a dirla), allora c’è di che disperare.

Non che quando affrontino seriamente la questione gli intellettuali crauti riescano a far meglio: per esempio, l’ineffabile Jenny Erpenbeck nel 2015 ha tentato di buttar giù un “antidoto” a Sottomissione di Houellebecq (ma quanti complessi di inferiorità verso l’exception culturelle!), Voci del verbo andare (2015, tradotto da Sellerio), storia di un filologo rimasto vedovo che va a svolgere un “progetto di ricerca” tra i profughi e trova soltanto uomini, dunque probabilmente ci resta male (anche se l’Autrice lo dipinge sempre più entusiasta e coinvolto) e comincia a strologare sull’Ifigenia in Tauride di Goethe (la prima profuga del romanticismo, che “va cercando con l’anima il Paese della sua infanzia”, e Houellebecq muto!) e su quanto sia cattiva la Germania panciona e benestante che non fa immediatamente sentire marocchini e nigeriani a casa loro (a parte offrirgli vitto e alloggio e corsi di lingua, gretto materialismo teutonico!).

Ecco, se gli scrittori “seri” tedeschi sono così allora aridatece Vermes, che almeno suona come una barzelletta raccontata male (cioè raccontata da un tedesco) e non come la parodia di una parodia. Praticamente il romanzo di Vermes sta a quello della Erpenbeck come la copertina dello Spiegel sta al capolavoro dell’arista etiope o eritreo (sinceramente, sticazzi). Loro però sono contenti, sono quelli che “risolvono le cose”, e poi celebrano la Merkel come Madre Teresa di Calcutta. Questa gente non può pretendere di guidare nuovamente i destini di un continente. Deutschland-Vernichter, un ex elettore definisce la Cancelleria tra i commenti al tweet da cui siamo partiti: “Distruttrice della Germania”. Purtroppo in questa furia auto-distruttrice dei tedeschi ci va sempre di mezzo l’Europa intera. Das dümmste Volk der Welt.

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