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Icone nello spazio

A bordo della Stazione Spaziale Internazionale, tra Samantha Cristoforetti, prima donna italiana nello spazio, il comandante russo Anton Shkaplerov e l’ingegnere di volo americano Terry Virts, sono comparse su una parete diverse icone sacre e crocifissi. Come ricorda Emmanuel Carrère in Limonov, «tous les Russes, même mécréants», in qualsiasi parte del mondo hanno sempre una icona appesa «dans un coin d’une chambre sinistre». Anche se l’immagine ha eccitato la fantasia di molti (escluse quelle redazioni che hanno preferito mutilare la foto per non offendere la sensibilità dei lettori), il rapporto tra cosmonauti e ortodossia resta un argomento complesso e difficile da affrontare.

Già negli anni scorsi sulla ISS era stato possibile osservare l’icona della Madonna di Kazan donata dal patriarca Kirill all’equipaggio e un reliquiario con un pezzo della croce che padre Job Talats, l’egumeno dei cosmonauti russi, aveva offerto al comandante Maksim Surajev nel 2009.

Questo potrebbe far pensare a una discontinuità netta rispetto alle missioni del passato, quelle in cui la propaganda faceva esclamare a Gagarin che lassù non si vedeva alcun Dio; tuttavia, come detto, la realtà è decisamente meno schematica. Sembra che lo stesso Gagarin avesse conservato la fede ortodossa e non ne facesse segreto nemmeno in pubblico: in una celebre intervista del 2006, il colonnello Valentin Petrov, oltre a confermare che la famigerata citazione non venne dalle labbra del cosmonauta ma da quelle di Krusciov, ebbe modo di ricordare che il momento più intenso trascorso con l’eroe nazionale fu un pellegrinaggio al Monastero della Trinità di San Sergio (ai tempi sede centrale della Chiesa ortodossa russa) risalente al 1964, in occasione del trentesimo compleanno di Gagarin. Altre testimonianze riferiscono addirittura di una pubblica manifestazione di fede del cosmonauta di fronte al metropolita di Beirut Gavriil Salibi, che nel 1961 in visita a Mosca avrebbe raccolto questa sua dichiarazione: «La mia fede in Dio è più forte del razzo che mi ha portato nello spazio» (sfortunatamente l’unica fonte è un settimanale dei gesuiti americani, intitolato – appunto– “America”, del 19 agosto 1961).

Recentemente un altro kosmonavt, Aleksej Leonov, il primo essere umano che nel 1965 rimase sospeso nello spazio, ha espresso il desiderio di veder restaurata una vecchia chiesa ortodossa nel luogo in cui Gagarin precipitò.

Considerando la crescente importanza della fede ortodossa nella Russia contemporanea, non pare assurdo credere che i missionari “cosmici” del futuro forse scriveranno in cirillico. E ovviamente porteranno con loro tutte le contraddizioni dell’anima russa, efficacemente riassunte da una vecchia battutaccia del veterano Georgij Grečko (che continuò a scorrazzare per lo spazio oltre i cinquant’anni):

«Un giorno Krusciov al Cremlino tira da parte Gagarin e gli chiede: “Yuri, hai visto Dio?” “Sì, l’ho visto. Dio esiste”. “Lo sapevo. Non dirlo a nessuno!”. Poi Gagarin viene ricevuto dal Papa, e anche lui gli chiede “Hai visto Dio?”, e lui: “No, non l’ho visto. Dio non esiste”. “Lo sapevo. Non dirlo a nessuno!”».

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