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Il buco nero del suprematismo rosa

Il 10 aprile 2019 è stato “fotografato” per la prima volta un buco nero grazie al progetto internazionale Event Horizon Telescope: dopo aver dedicato qualche istante a parlare dello straordinario evento, i media di tutto il mondo si sono immediatamente concentrata su Katie Bouman, una ricercatrice informatica americana che pur avendo contribuito a meno dell’1% dell’impresa per la stampa (inclusa ovviamente quella italiana) è diventata subito “la donna che ha fotografato il buco nero”.

Questa vera e propria fake news nasce da un commento su Facebook della Bouman, che lascia (involontariamente?) molto spazio agli equivoci sulla paternità (anzi, “maternità”!) della foto:

In realtà l’apporto della Bouman è stato praticamente nullo se confrontato con le attenzione che il mainstream le ha rivolto: per quanto ne possiamo capire, la ricercatrice avrebbe collaborato a una sotto-parte della sotto-parte di un programma, elaborando una specie di “adattatore” che conferisce un determinato formato ai dati per inserirli nel programma effettivo. In ogni caso, ufficialmente non fa nemmeno parte del team che ha portato a termine l’impresa, se non come additional contributor

Il 99,9% del lavoro è stato svolto come al solito da decine di maschi “sfigati”, dai nomi peraltro improbabili (Kazunori Akiyama e Andrew Chael) che i tg della sera si guarderanno bene dal costringerci a imparare a memoria.

Il team che ha fotografato il buco nero: 99,9% uomini

Questo demenziale e patetico sfoggio di suprematismo rosa e ginecocentrismo ha ispirato diverse battutacce e vignette: ne riportiamo solo un paio, anche per evitare di colpevolizzare eccessivamente la povera Katie Bouman, più che altro vittima di un gioco più grande di lei.

Katie Bouman come meme vivente

Bisogna riconoscere, tuttavia, che non sono solo i “maschilisti” ad essersi indignati per la rodomontata della ricercatrice: una delle sue sparute colleghe, Sara Issaoun, con un tweet piccato le ha addirittura negato qualsiasi ruolo nella produzione dell’immagine del buco nero, criticando al contempo il fanatismo mediatico.

Persino il “New York Times” ha dovuto specificare che la Bouman non c’entra praticamente nulla, giustificando però l’atteggiamento dei media con la scusa che it was a photo too good not to share. Il giornale ha intervista ancora la signorina Sara Issaoun, che si è schierata contro la lone-wolf success narrative (chi è più malizioso vedrà qui in atto il noto teorema sulle donne che odiano a morte le proprie colleghe) e l’astrofisico Feryal Ozel, che ha voluto ricordare uno dei suoi studenti che si è dovuto fare una marea di viaggi al Polo Sud per lavorare sul telescopio piazzato laggiù. Il suo nome? Ignoto. Sappiamo solo che è maschio, e questo basta per dimenticarlo.

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