Il buon nome della Macedonia

La disputa quasi trentennale sul nome della Macedonia (che i greci fino a ieri rifiutavano di chiamare come tale, preferendo l’inverosimile acronimo FYROM), sembra essersi conclusa con un accordo siglato ieri tra il premier greco Alexis Tsipras e il suo omonimo macedone Zoran Zaev (che in conformità a un cerimoniale divenuto irritante come la barzelletta dell’uomo che entra in un caffè, ha regalato una cravatta al primo ministro ellenico). Per entrare nell’Unione Europea e nella Nato, la Macedonia accetterà la nuova denominazione ufficiale di “Repubblica di Macedonia del Nord”.

Il fragilissimo accordo ha già scatenato proteste ad Atene come a Skopje, ovviamente archiviate dalla stampa quale espressione di un nazionalismo fuori dal tempo: la disputa è praticamente conclusa, Roma locuta est e questo accorto rappresenta le magnifiche sorti e progressive dell’Europa Unita.

In realtà lo scenario è molto meno scontato di quello presentato dai media: in primo luogo perché la questione del “buon nome della Macedonia” è profondamente sentita da tutto il popolo greco, tanto che persino le guide turistiche si preoccupano di ricordarlo!

In effetti persino con gli ateniesi più tolleranti e cosmopoliti le battute non possono andare “oltre il dessert”, nel senso che uno può chiedere sornione al suo ospite se “vuole una macedonia” e ricevere un “no” divertito in risposta, ma nulla più (per definire il dolce peraltro i greci usano un anglicismo, φρουτοσαλάτα, ma è normale che conoscano i nomi in italiano di tutte le pietanze, anche per motivi storici). Il tema è molto sentito e non può essere ridotto a una “secchia rapita”, come fa l’ormai imbarazzante Sergio Romano sul “Corriere”:

«Abbiamo assistito così per quasi trent’anni alla versione diplomatica del poema eroicomico di Alessandro Tassoni. Le secchia rapita, in questo caso, non era il trofeo che i modenesi avevano rubato ai bolognesi dopo averli sconfitti in battaglia. Era Alessandro Magno di cui i macedoni slavi del nord, secondo i nazionalisti greci, avrebbero potuto appropriarsi insieme a un po’ di territorio. Questi timori mi sono sembrati esagerati, ma i nazionalismi sono raramente razionali».

Quanta superficialità in tale giudizio! Allora cosa dovremmo dire della reazione del politicamente correttissimo Gian Antonio Stella sullo stesso giornale, quando accusò i croati di volerci “scippare” Marco Polo? Anche lui “nazionalista”?

Evidentemente no: indignarsi per lo “scippo” non è una dimostrazione di nazifascismo né un attentato alla pace. Se gli ultimi governi italiani hanno tenuto un basso profilo è soprattutto perché erano appunto di “basso profilo” (nell’accezione di “mediocri” e “insignificanti”): qualora però la disputa andasse oltre il turismo e diventasse politica, allora capiremmo cosa provano i greci quando si sentono dire dai loro vicini che Alessandro è “macedone” (se c’è un Marko Polo, ci può essere un Aleksandar…). E’ anche vero che nella cultura popolare greca l’eredità di Megas Alexandros è più sentita rispetto a quella dell’esploratore veneziano in Italia, ma ciò sicuramente va solo a nostro demerito.

Un altro punto sollevato indirettamente da Sergio Romano riguarda la personalità dei contraenti: Tsipras e Zaev sono accomunati da una incredibile impopolarità nei rispettivi Paesi. In particolare il greco, che secondo l’ex-ambasciatore del “Corriere” «ha dato prova dello stesso buon senso con cui ha gestito la questione dell’euro» (sic), viene guardato con imbarazzo non solo dal suo (ex) elettorato, ma dal suo stesso partito Syriza.

Per restare in tema di “grecerie”, anche se l’accordo andasse a buon fine, si tratterebbe comunque di una Vittoria di Pirro: un’organizzazione di per sé fallimentare come l’Unione Europea che attraverso il più sputtanato dei suoi rappresentanti tenta di annettersi una delle repubbliche più modeste al mondo, di certo non può sentirsi protetta dalle ali di Nike. Peraltro se l'”Europa” esistesse davvero, avrebbe potuto risolvere in grande stile la questione macedone come quella cipriota (ricordate quando anche la Turchia doveva entrare…).

Invece pure in questa occasione a trionfare è solo il paradigma dello scontro tra popolo ed élite: il “capolavoro politico” festeggiato nelle alte sfere rischia quindi di fomentare ulteriormente i sentimenti nazionalistici già infiammati dalla nuova composizione governativa del Vecchio Continente. Potrei concludere con qualche motto sull’amarezza di questa “Macedonia”, ma poi mi toccherebbe regalare una cravatta a Tsipras per contrappasso.

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PS: Ci tengo a precisare che non ho nulla contro la Makedonija, anzi ammiro gli sforzi per crearsi un’identità in un contesto così intricato (non a caso sono in contatto con diversi esponenti del nazionalismo più estremo, come il noto Andrej Galij); tuttavia bisogna sempre avere presenti i rapporti di forza. La “Macedonia del Nord” non può assolutamente competere con quella “ellenica” sotto alcun punto di vista, non solo per questioni di “dimensioni” o storia, ma soprattutto perché possiede una popolazione, oltre che esigua, etnicamente e linguisticamente divisa. L’entrata nella Nato sembra più che altro una risposta “immediata” (si fa per dire) all’annessione russa della Crimea, ma è evidente che gli Stati Uniti non intendono “morire per Skopje”, considerando soprattutto il numero non indifferente di basi che già possiedono nei Balcani. In ogni caso, una Macedonia “atlantica” non cambierà in alcun modo le gerarchie all’interno dell’Alleanza: la Grecia sul fronte Mediterraneo è talmente importante che in pratica tutto le è concesso. Ricordiamo solo quando Atene passò segreti militari a Belgrado durante le operazioni Nato nei Balcani e addirittura concesse a decine di suoi cittadini di affiancare i serbi a Srebrenica: se non ci fu alcuna conseguenza allora, ancor meno ve ne saranno quando il nuovo governo, presumibilmente più nazionalista dell’attuale, straccerà in parlamento l’accordo firmato dal novello Efialte.

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