Il caso Moro e la pista cinese

Il caso Moro, tra le tante cose, ci permette anche di riscoprire un pregevole esempio delle tecniche di disinformatsia utilizzate dal Cremlino per lanciare messaggi a nemici e alleati. Come afferma infatti il trafiletto de “La Stampa” riportato qui sotto, una rivista sovietica pochi giorni dopo il rapimento del leader democristiano fece comparire dal nulla una enigmatica “pista cinese”…

Terrorismo in Italia: “Tempi nuovi” (Urss) accusa agenti cinesi
(“La Stampa”, sabato 25 marzo 1978)
Mosca, 24 marzo.

«La rivista “Tempi nuovi” afferma oggi che c’è un collegamento, diretto o indiretto, tra il rapimento dell’on. Moro e Pechino. Sarebbe Pechino che impartirebbe “istruzioni” ai terroristi italiani, rossi e neri, attraverso “uffici di collegamento camuffati”. E’ la prima volta che un organo di stampa sovietico sostiene una tesi del genere, ma data la viscerale rivalità tra le due potenze comuniste, il fatto non ha meravigliato gli osservatori occidentali.
In Italia come altrove — scrive la rivista — i neofascisti sono aiutati, nel modo più attivo, dalle organizzazioni di ultrasinistra e in primo luogo da quelle di tendenza maoista. Ciò salta all’occhio di giorno in giorno. Le operazioni di piazza condotte dagli estremisti di destra e di sinistra sono talmente identiche e sincronizzate che talvolta è difficile individuarne i veri ideatori. Sia gli uni che gli altri hanno bisogno dell’atmosfera di tensione”.
Secondo “Tempi nuovi”, “è evidente che le istruzioni, circa la esasperazione delle passioni vengono impartite da Pechino, direttamente o indirettamente, agli ultra di sinistra. I maoisti aiutano i neofascisti ad attuare il loro nuovo piano tattico, che è quello di scatenare il terrorismo nei Paesi dell’Occidente al fine di uccidere un rinnovamento democratico».

Accuse simili erano state formulate anni addietro (“La Stampa“, 29 marzo 1970), sempre nel contesto delle frizioni tra Mosca e Pechino:

Aspro attacco di Mosca a Pechino
“I cinesi sono alleati con le forze di destra”

L’accusa è pubblicata da “Sovetskaja Rossija” che elenca numerosi esempi di attività anti-socialiste dei maoisti in tutto il mondo

«E’ “storicamente inevitabile”. che la Cina torni “sulla via del socialismo scientifico, dell’unità con il sistema socialista mondiale… con tutte le forze anti-imperialistiche contemporanee”, ma per il momento i maoisti aiutano, secondo “Sovetskaja Rossija”, le forze di destra in una serie di Paesi. Il giornale, pubblica un lungo elenco di accuse in questo senso nei confronti di Pechino, in modo più specifico del solito.
Ad esempio: “Gli agenti maoisti svolgono fin dal 1964 una campagna ostile contro il partito popolare marxista leninista di Panama. Victor Avila, capo della federazione studentesca e leader del movimento anti-imperialistico nel 1964, fu ferito da un seguace di Mao. Non era l’unico caso in cui i maoisti avessero sparato contro esponenti della gioventù comunista di Panama”.
Altro paese in cui i cinesi si battono a favore dell'”imperialismo” sarebbe il Sud Africa, dove, scrive “Sovetskaja Rossija”, “gli agenti di Pechino non lesinano mezzi per appoggiare un gruppetto di rinnegati di destra, a proposito dei quali vi sono prove documentate secondo cui essi operano per conto della Cia americana”.
Un appoggio alle forze di destra verrebbe dato anche in via indiretta con l’opposizione armata dei maoisti a “forze democratico-rivoluzionarie”, che siano al potere. “I comandi di Pechino — scrive il giornale — prescrivono ai comunisti birmani di agire contro il governo Ne Win che sta adottando una serie di provvedimenti progressisti nel paese”. Esempi del genere sono numerosi: “L’associarsi alle forze di estrema destra diventa d’altronde una cosa tipica dei leaders cinesi”.
Il giornale ripete poi le vecchie accuse riguardanti l’annientamento dei comunisti indonesiani: “Il corso avventuriero di Pechino — si legge — facilitò alla reazione indonesiana e alle forze dell’imperialismo internazionale la distruzione del partito comunista, l’insediamento del regime di terrore sanguinoso che costò la vita a centinaia di migliaia di uomini d’avanguardia dell’Indonesia”. I maoisti poi “avevano fomentato senza sesta scontri tra Pakistan e India”, nel quadro della loro politica di divisione delle “forze anti-imperialistiche” e quando l’Urss regolò nel 1966 “con mediazione energica” la disputa, i dirigenti cinesi accolsero la conferenza di Tashkent “con le maledizioni più accanite”.
“Sovetskaja Rossija riferisce poi alcuni particolari inediti o poco noti circa l’assistenza militare ed economica prestata a suo tempo alla Cina dall’Unione Sovietica. Il comando sovietico consegnò all’armata popolare cinese “gli armamenti giapponesi del Kwangtung, dopo la capitolazione di questa”; l’aviazione sovietica fece “cielo pulito” a Shanghai martoriata dalle incursioni delle fortezze volanti dei nazionalisti. Tutto questo, nelle ultime fasi della guerra che portarono al potere le forze di Mao Tsetung. Venne poi la guerra coreana in cui “fu l’aviazione sovietica a fornire copertura sicura al Nord-Est cinese e alla parte settentrionale della Corea del Nord”.
L’articolo, concludendo, afferma: “Si assiste in realtà ad un secondo fronte aperto contro i Paesi socialisti, fronte che conviene combattere risolutamente”. Di secondo fronte riguardo alla Cina di Mao i sovietici avevano parlato nel periodo degli scontri dell’Ussuri e del Kazakhistan, e della conferenza mondiale dei partiti comunisti e operai, ma non nella fase attenuata della polemica seguita al vertice Kossighin-Ciu En-lai dell’11 settembre 1969».

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