Il 18 agosto 2005 non fu una giornata come le altre nel villaggio di Jandyki, 3.500 anime nell’oblast di Astrakhan, regione pianeggiante del basso Volga a sud della cosiddetta Russia europea. La piccola città del distretto (rajon) di Limanskij rappresenta, come tutte quelle della regione, un agglomerato di etnie e culture diversissime tra di loro: tartari, daghestani, ucraini, azeri, ceceni, tagiki, calmucchi, armeni, coreani, uzbeki, turkmeni, zingari, bielorussi, turchi, georgiani, ciuvasci, baschiri, moldavi e, naturalmente, ebrei. Un equilibrio difficile, reso complicato nel tempo anche dai frequenti spostamenti forzati di interi popoli dell’era sovietica, che non aveva però mai portato ad alcun “incidente” degno di nota. Almeno fino all’estate del 2005.
Tradizionalmente Jandyki non era mai stata meta di immigrazione cecena: cominciò a diventarlo durante gli anni dell’URSS, quando i riottosi caucasici giunsero nell’area per occuparsi di pastorizia o prestare la propria opera nel fiorente sistema ferroviario. Fu solo dopo il crollo dell’Unione Sovietica e lo scoppio delle guerre russo-cecene a metà degli anni ’90 che una marea di profughi si riversò nel rajon di Limanskij.
La convivenza coi ceceni, si sa, non è facile: lo hanno capito i russi da secoli e lo stanno capendo ultimamente i francesi. Ma anche nel piccolo villaggio di Jandyki c’è qualcuno che ha fatto le spese dell’aggressività dei rudi separatisti delle montagne, i calmucchi.
I calmucchi sono una popolazione mongolica che rappresenta il ramo occidentale degli oirati; la loro religione è prevalentemente buddhista e rappresentano ovviamente il gruppo etnico principale della Repubblica di Calmucchia, confinante con l’Astrakhan. Il loro nome avrebbe la stessa radice del verbo turco kalmak (“restare”, rimanere”). E forse proprio in onore di questo etimo che, di fronte all’invadenza cecena, i calmucchi hanno preferito “restare”.
I dissidi tra le due etnie erano iniziati nel novembre 2004, quando nella vicina Zenzeli un delinquente proveniente dalla Cecenia, dopo aver freddato due agenti di polizia, aveva ucciso a colpi di arma da fuoco anche un kazako e un calmucco. Poi, nel febbraio del 2005, tre ceceni, questa volta residenti a Jandyki, avevano profanato le tombe del cimitero, distruggendo numerose croci e vandalizzando il monumento a Eduard Kokmadžiev, soldato russo caduto nelle guerre in Cecenia. A seguito del grave atto di vandalismo, la comunità calmucca (che in realtà conta solo 250 membri, contro i 270 che formano quella cecena) aveva chiesto l’espulsione sia dei teppisti che delle loro famiglie, ricevendo dalle autorità locali la promessa che i responsabili sarebbero stati puniti.
Il 31 marzo 2005 infatti il tribunale distrettuale di Limanskij li condannò a due anni in una colonia penale, pena che però fu sospesa dopo il ricorso dalla giudice L.A. Sharoshkina (la cui carriera finì in quel momento), generando forte indignazione tra gli abitanti di Jandyki, il cui risentimento venne fomentato dalle dichiarazioni del governatore della regione di Astrakhan, Alexander Žilkin, che sostenne di aver sentito al bar uno degli imputati vantarsi di aver corrotto la giudice con una mazzetta di 40mila rubli per farsi rilasciare.
I calmucchi protestarono platealmente con la decisione del tribunale e rincararono la dose chiedendo l’espulsione di tutti i ceceni dal villaggio. Per ritorsione, la notte del 16 agosto 2005 decine di ceceni assaltarono le case dei calmucchi. Un 24enne che cercava di fuggire, Nikolaj Boldarev, venne colpito alla schiena e ucciso. Le testimonianze dei ceceni ovviamente divergono; secondo uno dei partecipanti agli scontri “gli attacchi sono partiti dai calmucchi, che come i russi sono ubriaconi e parassiti”. Sempre a suo parere “un centinaio di kazaki si aggiravano col volto coperto per il villaggio attaccando i ceceni, perché si sa che per battere uno di noi ne servono almeno settanta!”.
Due giorni dopo, il 18 agosto, si svolsero i funerali di Boldarev, con la presenza di 150 agenti di polizia per mantenere l’ordine. Tuttavia tra i vicoli si era già sparsa la notizia che circa duemila calmucchi stavano attraversando le steppe del Caucaso per portare un po’ di giustizia in città. Alla fine a Jandyki ne arrivarono molti di meno (la maggior parte venne bloccata al confine dai poliziotti), ma a dargli man forte in città si aggiunsero russi, tartari e kazaki, stanchi anch’essi delle prepotenze cecene. A partire dalle otto di sera una banda di trecento persone cominciò a scorrazzare per il villaggio dando fuoco alle case dei ceceni, prendendo a sassate quelli che cercavano protezione invocando le forze dell’ordine o nascondendosi negli uffici comunali.
Per sedare gli scontri, il Ministro degli Interni inviò subito l’esercito e allertò le autorità regionali calmucche e cecene di sigillare i rispettivi confini. Il giorno dopo i torbidi, il 19 agosto 2005, si tenne un incontro nella piazza di Jandyki con la partecipazione di centinaia di residenti e rappresentanti della polizia, della procura regionale e dell’FSB, oltre che politici locali. Nonostante le autorità tentassero di ridurre il conflitto a una scaramuccia momentanea non legata a motivi etnici, il governatore Žilkin fu di tutt’altro parere:
“Alcuni rappresentanti locali hanno dimostrato debolezza e indecisione, in particolare riguardo il controllo sulla regolarità della registrazione degli immigrati, sull’acquisizione di terreni e pagamento delle tasse. Spesso si tende a insabbiare l’oppressione esercitata dai nuovi arrivati sui residenti. Le persone che vengono qui devono rispettare le leggi dell’Astrakhan. Altrimenti li espelleremo dai nostri confini. Dal 1979, il numero di russi nella regione è diminuito del 5,8%. Allo stesso tempo, le diaspore caucasica e transcaucasica si sono notevolmente ingrandite. I loro rappresentanti hanno un’influenza forte e persino monopolistica in molti settori dell’economia del territorio, inclusi la pesca, gli affari e il commercio”.
Il 28 febbraio 2006, il tribunale distrettuale di Limanskij ha condannato 12 ceceni a pene da 2 a 5 anni.