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Il covid è come la peste manzoniana: uccide solo i cattivi

La pandemia da coronavirus ha ispirato una ridda di articoli -nessuno dei quali degno di esser ricordato- sulla cosiddetta “peste manzoniana”: paragone in ogni caso impietoso perché, almeno dalla prospettiva del Gran Lombardo, l’umanità non ha fatto poi grandi passi avanti negli ultimi quattro secoli. Anche questa volta, peraltro di fronte a un morbo infinitamente meno letale, abbiamo avuto gli stessi atteggiamenti iniziali di indifferenza e sottovalutazione seguiti poi da panico e ipocondria; e anche questa volta il popolaccio, sobillato da un governo di cialtroni e incapaci, non ha potuto far altro che scagliarsi contro gli “untori” (prima i cosiddetti runner, poi i discotecari, infine quelli che non mettono la mascherina mentre passeggiano nei boschi).

Indugiare in tali paralleli, per quanto suggestivi, alimenta però la stessa confusione di fondo, quella tra poesia e storia (per riprendere il tradizionale distinguo aristotelico: “Lo storico descrive fatti realmente accaduti, il poeta fatti che possono accadere”), che ha suscitato così tante mediocre rievocazioni. Come se il capitolo di un romanzo per quanto straordinario (forse il migliore di tutti i tempi) leggiucchiato a scuola potesse in qualche modo avere una valenza al di là del letterario.

La verità, amara, è semmai che aver assimilato il capolavoro di Manzoni nella maniera in cui viene propinato alle masse di discenti, ha influenzato indirettamente il nostro approccio nei confronti di virus, microbi e bacilli. Questo perché abbiamo voluto trovare un significato storico, morale e addirittura scientifico, in quella che fondamentalmente è solo una creazione artistica. Pensiamo, infatti, un istante a cosa sia la peste nei Promessi Sposi e quale funzione abbia nell’economia del romanzo: in un singolare ed enigmatico rapporto con la Provvidenza, essa non solo fa piazza pulita del principale ostacolo al connubio tra i due protagonisti (Don Rodrigo), ma alla fine consente loro di ritrovarsi al lazzaretto e coronare il loro sogno d’amore.

Pare proprio che Manzoni, per fuggire alle famigerate accuse di criptogiansenismo (la famosa “toppa” con cui vengono spiegati paradossi e incongruità nel “romanzo cristiano” per antonomasia), abbia continuamente smussato le asprezze della piaga (ricordiamo per esempio un’affermazione di Padre Cristoforo emendata definitivamente nella quarantana: “Gran Dio! Questo flagello non corregge il mondo: è una grandine che percuote la vigna già maledetta: tanti grappoli abbatte; e quei che rimangono, sono i più tristi, più agresti, più guasti di prima”), per farne una sorta di nebbia divina che misteriosamente rimette tutte le cose a posto (a parte la povera Perpetua, che però rivive nelle battutacce di don Abbondio: “Era il momento che avrebbe trovato il suo avventore anche lei”).

Questa concezione moralizzante sembra rivivere nell’odierna attitudine di alcuni italiani nei confronti del covid: molti sono convinti che anch’esso colpisca solo i “cattivi”. Chi si “comporta male”, s’intende, cioè stringe la mano a un amico, non indossa perfettamente la mascherina anche per una strada deserta ed esce un po’ troppo sul balcone di casa. Invece il dramma di una pandemia, o anche di una semplice epidemia, è che essa, come la morte nel popolare detto, “passa muri e porte”. È inutile credere di poterla fermare con liturgie per quanto post-moderne e “certificate”: se i dispositivi di protezione fossero così indispensabili, la categoria di lavoratori a più alto tasso di mortalità non sarebbero i medici.

Fa un po’ pena dover ripetere cose ovvie, ma ormai il “pensiero magico” si constata dappertutto, specialmente in quella parte politica che vagamente si richiama alla ragione, al progresso o ai lumi. La stessa che peraltro sostiene con forza che il virus contagerebbe solo chi va a ballare e divertirsi, ma eviterebbe accuratamente chi invece esce di casa per andare a studiare. Da qui uno dei tanti paradossi generati da questo moralismo pseudo-manzoniano (cioè dell’unico Manzoni che molti intellettuali e presunti tali conosco, quello dei banchi di scuola appunto): l’idea che le scuole siano automaticamente “luoghi sicuri” perché lì si fa “cultura” e non cocktail.

Dunque il don Rodrigo amante dei bagordi e insidiatore di contadine viene contagiato dal flagello provvidenziale (al pari del “negazionista” don Ferrante), mentre gli umili sono preservati ad maiorem Dei gloriam: nemmeno le tenebre del Manzoni reggono all’immarcescibile sentimentalismo italiano, che al posto “mezzo arbitrario” della processione di reliquie adotta nuovi paramenti quali mascherine, guanti e gel, e liturgie (distanziamento sociale, gesti apotropaici di saluto ecc). La “parte migliore del Paese” ci ha condannati nuovamente alla Colonna Infame.

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