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Il covid fa più male della cannabis?

Sulla rubrica quotidiana di Mattia Feltri (paladino della meritocrazia, ovviamente) del 10 settembre 2021, Nuoce gravemente, il caporedattore de La Stampa stigmatizza le dichiarazioni “proibizionistiche” del deputato forzista Alessandro Cattaneo, il quale avrebbe sostenuto che non è possibile legalizzare la marijuana perché “nessuno ha il diritto di farsi del male”. Feltri jr. sostiene che, siccome “ci si fa male in ogni modo e in ogni momento”, allora “stabilire il lecito e l’illecito semplicemente in conseguenza di ciò che fa bene o fa male” sarebbe una pretesa da “Stato etico”, anzi addirittura da “talebani”.

Ora, fino a qualche tempo fa me ne sarei fregato di tutte queste chiacchiere, ma adesso siamo in un’altra era, e il clima da guerra civile potenziale impedisce le posizioni terze, la neutralità e la cara vecchia ipocrisia: dal momento che Feltri è un “vaccinista” estremo, mi domando come possa permettersi un tale atteggiamento liberale (nel senso originario del termine) quando poi vorrebbe che lo “Stato etico” intervenisse a punturare tutti i no-vax che rivendicano il diritto a “farsi del male”.

Ricordo, come ex insegnante, quando molti colleghi corsero a farsi immediatamente la prima dose (alcune regioni offrivano la “corsia preferenziale”) proprio allo scopo di “tutelare se stessi”: ancora non era entrata nei cervelli la dimensione “sociale” della vaccinazione, dal momento che, tra le altre cose, all’epoca (primo trimestre del 2021) si diceva che l’immunità di gregge non si sarebbe mai potuta raggiungere nei confronti di un coronavirus. Verso l’estate è intervenuto poi lo “speranzismo” (che vorrebbe imporre il socialismo a colpi di starnuto) e si è iniziato a chiamare in causa gli “atti d’amore”, lo “spirito di comunità”, la “difesa dei più deboli” eccetera.

La storiella del comportamento individuale lecito che “non deve violare la libertà degli altri” è subentrata in seguito a un nuovo paradigma politico: presumo che all’epoca (parliamo sempre di qualche mese fa) anche i “feltrini” avessero interpretato la vaccinazione sub specie habeas corporis (concedetemi la licenza). Poi invece è diventato illiberale non vaccinarsi perché si rischiava di far del male agli altri contagiandoli. E allora il bla bla bla liberale è entrato a far parte dell’apparato ideologico della dittatura sanitaria.

A tal proposito mi sovviene la vicenda del sociologo Günter Amendt, teorico dell’antiproibizionismo,  che morì in un incidente automobilistico causato da un tizio… sotto effetto di hashish. Lo studioso, uno dei padrini del Sessantotto tedesco, sosteneva che:

“In un mondo in cui le droghe sono diventate, in ogni situazione della vita, un elemento ormai scontato della quotidianità, ci si domanda increduli come sia stato possibile che proprio la più innocua tra le sostanze psicoattive [scil. la cannabis], sia stata demonizzata in questo modo. Lo sbalordimento sarà uguale a quello che oggi proviamo rispetto al divieto di consumo per tè e caffè e alla conseguente applicazione repressiva all’inizio dell’epoca borghese» (cfr. No drugs, no future. Le droghe nell’età dell’ansia sociale, Feltrinelli, Milano, 2004, p. 61).

Ironia della sorte in quello stesso volume Amendt affermava anche che “è incontestabile quanto viene affermato da ricerche svolte sull’argomento: il conducente ‘fumato’ guida in modo più prudente e fa meno incidenti gravi di quello che ha bevuto”.

Tutto ciò per dire che la pericolosità sociale del cannabinomane non è inferiore a quella di chi rivendica il diritto a “farsi del male” rifiutando di assumere un certo medicamento. D’altro canto, questi stessi fantaliberali sostengono il diritto al “farsi del male” supremo, cioè l’eutanasia, senza tema di incoerenza. Questo però è ancora un altro problema. Forse potremmo tornare a sopportare tutto questo (o almeno a non commentarlo e occuparci di cose più serie) se i liberali all’amatriciana smettessero di fare le crocerossine a giorni alterni.

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