Kajsa Norman è una giornalista svedese che si è trasferita da anni a Londra, per poter portare avanti inchieste in tutto il mondo, trovando il proprio paese “piuttosto noioso”. Mai avrebbe immaginato di doversi occupare della Svezia, con una indagine che sarebbe risultata così ostica, e persino dolorosa alla luce delle sue convinzioni personali.
Tutto nasce nell’estate del 2015 quando, ad un festival con 200mila persone in un parco di Stoccolma, le teenager che assistono al concerto vengono assalite da gruppi di giovanissimi immigrati, aggressivi e spavaldi. Per tutta la giornata, decine ragazze si rivolgono ai responsabili della sicurezza denunciando di essere appena state molestate nella folla. Un conoscente della reporter, che ha accompagnato la figlia, assiste attonito ad una situazione fuori controllo: rientrato a casa, manda una mail al più importante giornale della Svezia, denunciando i fatti e offrendo la propria testimonianza. Viene ricontattato subito dalla redazione: una giornalista si dimostra molto interessata al suo racconto, ma appena egli fa cenno all’evidente provenienza mediorientale dei molestatori, quella si irrigidisce, taglia corto e interrompe la telefonata. Non esce alcun articolo.
Il padre della teenager, frustrato dalla situazione, ha allora l’idea di rivolgersi al gestore di un blog di “informazione alternativa”, vicino al temuto partito populista degli Svedesi Democratici: immediatamente viene pubblicato un post sulla vicenda, che in poche ore diventa virale. Nei commenti sui social network si raccolgono molte altre testimonianze sul festival.
Solo a quel punto le autorità e i giornali iniziano ad occuparsi della vicenda: ma non per indagare su ciò che è accaduto al festival, quanto per minimizzare i fatti, confondere le acque o sopire le polemiche.
È impossibile, infatti, alle autorità ma anche a molti svedesi ammettere che le politiche migratorie seguite sinora dal loro paese abbiano delle falle, e molto gravi. Ogni elemento che possa incrinare questa visione idilliaca (e, paradossalmente, patriottica) di una “Svezia-che-accoglie”, di una “Svezia-che-non-è-come-gli-altri-paesi-egoisti” viene respinto e negato, trattato come “anti-svedese”.
Al contempo, però, da quell’estate in poi, il governo socialdemocratico e antipopulista dà il via, senza proclami, a un giro di vite sui futuri ingressi e sui migranti già entrati, che se non dà grandi risultati comunque costituisce una inversione a 180° delle politiche precedenti
La Norman parte da tale vicenda e da tale discrasia per una indagine che diventa una riflessione più ampia e via via disillusa sulla “utopia svedese”. Al di là degli sbandierati traguardi sociali e dei successi economici, in verità, nel paese domina anche una vera e propria cultura di conformismo, che tende a sopprimere ogni verità scomoda e favorisce la codardia morale.
Il libro della Norman, Sweden’s Dark Soul: The Unravelling of a Utopia, ripercorre quindi le imbarazzanti connivenze fra Svezia, allora neutrale, e il regime hitleriano durante la Seconda Guerra Mondiale, ricorda poi la entusiastica adozione, in quello stesso periodo, di politiche eugenetiche, abbandonate del tutto solo ad anni ’90, infine, il generale statalismo e senso di paternalismo istituzionale, fino ai nostri giorni.
Fonte: Gog&Magog