Per sperimentare un po’ con l’intelligenza artificiale ho provato a discutere di un argomento che mi appassiona e di cui mi sono interessato negli anni scorsi: la bufala dell’estinzione delle api. Con questa storia ci sono cresciuto, sin dai banchi delle elementari, per poi ritrovarmela su ogni schermo sia come contenuto di dubbi servizi telegiornalistici sia come espediente pubblicitario per vendere il tale o tal prodotto che consentisse ancora all’umanità di poter gustare il miele.
La verità è che invece tutto lo stillicidio ha portato a un sensibile aumento delle api mellifere, le quali ora vengono presentate dalla stampa internazionale come una minaccia per altre specie di api selvatiche e impollinatori. Lo psicodramma sembra comunque avere origine nel 2006 quando negli Stati Uniti venne definito scientificamente il fenomeno del Colony Collapse Disorder e qualche scienziato si prestò senza problemi ad annunciare una catastrofe universale per gli alveari di tutto il mondo, assecondando il clima apocalittico riguardo il “riscaldamento globale” (poi “cambiamento climatico”) che avrebbe contraddistinto gli anni successivi.
Le istituzioni ma anche i soggetti singoli hanno deciso, in conseguenza dell’allarmismo, di “fare qualcosa”, finanziando progetti di popolamento e alimentando la moda dell’apicoltura urbana al di là e al di qua dell’oceano, portando infine a un aumento del 26%, (certificato dalla FAO) di colonie di api mellifere nel mondo (da 81,4 a 101,6 milioni di alveari).
Gli esperti dunque ora affermano che allo stato attuale ci sono più api mellifere sul pianeta di quante ce ne siano mai state nella storia dell’umanità. E tale dato diventa utile ad alimentare una nuova emergenza: l’estinzione delle api selvatiche, che in verità è più legato all’uso di pesticidi che non una “concorrenza” con le specie addomesticate, anche se l’aumento spropositato di quest’ultimo gioca un ruolo importante nella riduzione di risorse floreali disponibili.
Un segno del cambio di paradigma è stato il recente rifiuto, da parte del Presidente dell’Associazione degli apicoltori di New York, di installare arnie sul tetto del MoMA, sostenendo che le api mellifere avrebbero esaurito le risorse per altri impollinatori. Adesso gli stessi “addetti ai lavoratori” cercano di dirottare il fanatismo suscitato verso soluzioni meno allettanti, come l’allestimento di cassette per falene e vespe, di certo non così attraenti come le apine.
Nel video che segue, ho registrato un primo contributo in lingua tedesca e poi ho chiesto all’intelligenza artificiale di tradurlo mantenendo la mia voce (ciò spiega il tono -letteralmente- robotico dell’intervento in italiano). Le immagini mostrano il sottoscritto alle prese con docilissime api di campagna, non da allevamento ma cresciute allo stato brado, che tuttavia non mostrano alcuna aggressività (mi sono permesso di importunarle perché ho lasciato produrre infiorescenze alle mie piante, rinunciando al “raccolto”, solo perché so che le bestioline del quartiere ne sono particolarmente ghiotte).