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Il destino della Russia è la Cina

Jurij Tavrovskij, esperto di politica internazionale russo e Presidente del Comitato di Amicizia russo-cinese, ha pubblicato questo intervento il 28 luglio 2022 per il portale del “laboratorio di idee” (o dobbiamo continuare a usare l’espressione think tank?) Izborskij Klub, di orientamento conservatore.

Diverse generazioni della mia famiglia sono legate alla Cina. Mia nonna, Alla Fedorovna Ukhtomskaja, proveniva dall’antica e nobile casata degli Ukhtomskij. Alla fine del XIX secolo, Esper Esperovič Ukhtomskij, orientalista-buddista che prestò servizio presso il Ministero degli Affari Esteri, accompagnò l’erede al trono, lo zarevič Nikolai Alexandrovič Romanov, il futuro Nicola II, in un viaggio attraverso i paesi dell’Asia. Assieme hanno attraversato Persia, India, Sri Lanka, Thailandia, Cina e Giappone. E.E. Ukhtomskij ha poi descritto il viaggio in un libro in tre volumi, molto popolare in Russia e tradotto in diverse lingue [tranne che in italiano, ndt].

In quest’opera il Principe predisse l’ascesa del Celeste Impero e insistette per un riavvicinamento a esso da parte della Russia. I rapporti cordiali con lo zar che si svilupparono durante il lungo viaggio gli permisero di diventare in seguito presidente del consiglio di amministrazione della Banca Russo-Asiatica e della Ferrovia Orientale Cinese. Egli partecipò attivamente anche alla stipula del trattato segreto russo-cinese del 1896 diretto contro il Giappone.

Divenuto editore del “Notiziario di San Pietroburgo” [Sankt-Peterburgskie Vedomosti], E.E. Ukhtomskij condannò la repressione da parte dei paesi occidentali e del Giappone della rivolta della Yihequan nel 1900 [conosciuta anche come “rivolta dei Boxer”]. Successivamente sviluppò un’intera dottrina “asiatica”, allo scopo di far conoscere le proprie radici asiatiche al popolo russo e propagandare un riavvicinamento con i popoli dell’Asia. Dopo la Rivoluzione d’Ottobre, i seguaci di tale dottrina, rifugiatisi nei paesi d’Europa, l’hanno integrata e sviluppata, creando una dottrina “eurasiatica”, molto popolare nella Russia odierna.

Iscrittomi alla Facoltà di Oriente dell’Università statale di Leningrado nel 1966, scelsi il cinese, sebbene in quegli anni fosse meno popolare del giapponese e dell’hindi. La mia scelta fu influenzata anche dall’aver vissuto con i miei genitori in Kamčatka, dove negli anni ’50-’60 c’erano molti prodotti cinesi. Mangiavamo mele e ananas cinesi, bevevamo vino dall’uva selvatica Tonghua e i nostri appartamenti erano arredati con mobili cinesi. Mia madre fece un viaggio turistico in Cina nel 1959 e al ritorno portò non solo aneddoti interessanti, ma anche molti souvenir che ancora adornano il mio ufficio.

Studiare alla Facoltà Orientale è stato emozionante. Nonostante ci sia stata una “rivoluzione culturale” in Cina, i nostri professori riconoscevano la caducità di questo “esperimento” dalla prospettiva della millenaria storia cinese e auspicavano buoni rapporti con quel popolo. La conoscenza che là ho acquisito della lingua, della letteratura classica, della storia e della filosofia è stata molto utile dopo la laurea. Sono finito a Mosca a lavorare per le trasmissioni all’estero della televisione e radiodiffusione statale dell’URSS, sezione cinese. Il livello di conoscenza della Cina tra i giornalisti non era molto alto e mi venivano chieste analisi critiche di romanzi storici cinesi come I Briganti oppure delle opere di Confucio…

L’ottima formazione ottenuta all’Università di Leningrado ha avvantaggiato la mia carriera, e dopo sette anni alla radio sono stato invitato al settimanale “Tempi nuovi” (Novoje Vremja). Era una pubblicazione specializzata e molto influente sulla politica estera, pubblicata formalmente per conto del Consiglio dei sindacati, ma in realtà supportata dal Comitato Centrale del PCUS e dal Ministero degli Affari Esteri. Ero un editorialista per i paesi socialisti asiatici, ho viaggiato in Vietnam, Mongolia, Cambogia, ma non ho avuto alcuna possibilità di visitare la Cina. Ciò nonostante la maggior parte dei miei articoli era dedicata agli eventi in Cina, alle sue relazioni con l’America e il Giappone. Nel 1981, come studente di giapponese all’Università, fui mandato a lavorare come corrispondente a Tokyo. Rimasi lì per sei anni e scrissi diversi libri. In maniera piuttosto inaspettata, nel 1987 ricevetti un’offerta per lavorare nel Dipartimento ideologico del Comitato centrale del PCUS come responsabile della propaganda e contro-propaganda sovietica in Cina, Giappone e altri Paesi asiatici.

A quei tempi Gorbaciov, nell’ambito della Perestroijka, voleva normalizzare le relazioni con il PCC e la Repubblica popolare cinese. Per fare ciò, era indispensabile limitare la propaganda ostile e sbarazzarsi dei quadri che si opponevano al miglioramento delle relazioni tra Mosca e Pechino. Fui io in persona a istruire i giornalisti sul nuovo corso del Cremlino, e dissuadere dal parlare di certi libri o articoli nocivi alle relazioni. Un altro compito importante affidatomi fu la preparazione della visita di Gorbaciov a Pechino. Vari dipartimenti del Comitato centrale del PCUS raccolsero rapporti da diplomatici, scienziati e ufficiali dell’intelligence, e li prepararono per Gorbaciov. Ho anche scritto dei discorsi per il Presidente e durante la visita sono stato responsabile del centro stampa sovietico nel nuovo Guoji Fandian Hotel. Gli accordi raggiunti a seguito delle conversazioni di Gorbaciov con Deng Xiaoping e altri leader sono stati davvero storici. Non sono stati completamente sviluppati a causa dell’instabilità, prima della Cina e poi dell’Unione Sovietica.

A Gorbaciov fu consigliato di studiare la strategia di Deng Xiaoping e di spostare l’attenzione al tema delle riforme dalla politica all’economia. Egli tuttavia rimase inorridito da ciò che ha visto a Pechino durante la sua visita e continuò quindi la sua politica a suon di perestrojka e glasnost senza cambiamenti, portando a un peggioramento della situazione economica e politica nel Paese e all’acuirsi delle contraddizioni nell’apparato del Comitato centrale del PCUS.

Ho lasciato il Dipartimento ideologico prima del crollo del Partito e dell’Unione Sovietica, diventando editorialista del quotidiano governativo Izvestia (“Notizie”). All’inizio non capivo tutte le conseguenze del crollo dell’URSS e dell’ascesa al potere di Eltsin. Ora sono d’accordo con Putin, che ha definito questi eventi “la più grande catastrofe del XX secolo”. Osserviamo le conseguenze di questa catastrofe anche oggi in Ucraina, nonché in altre ex parti dell’URSS.

Anche la Cina alla fine del secolo scorso fu minacciata dalla possibilità di una crisi nazionale. Il partito e il Paese vennero però stati salvati da un leader del calibro di Deng Xiaoping. Gorbaciov, al contrario, era un leader debole, inesperto e provinciale negli affari internazionali, influenzato dalla moglie o da altri capibastone disillusi dal socialismo e finiti sotto l’influenza dell’Occidente. Le tradizioni politiche di Russia e Cina forniscono però ai loro governanti un potere colossale che può essere utilizzato a beneficio della nazione o a scapito dei suoi interessi. Ecco perché penso che Putin e Xi Jinping non siano semplici dirigenti, ma veri e propri capi dei loro popoli. Il programma a lungo termine e senza precedenti del “Sogno cinese” e la sua certa attuazione sono una garanzia della rinascita del Regno di Mezzo. L’assenza di un’idea nazionale e di un programma graduale a lungo termine in Russia rallenta la sua liberazione dall’influenza del capitalismo liberale e la creazione di una società giusta.

La prima volta che ho potuto recarmi in Cina è stato nel maggio del 1989. Facevo parte di un gruppo di alti funzionari del PCUS e del Ministero degli Affari Esteri che stavano preparando la visita di Gorbaciov. L’ultimo viaggio è stato un incontro dei leader delle parti russa e cinese del “Comitato per l’amicizia, la pace e lo sviluppo” nel dicembre 2019, alla vigilia dell’inizio della pandemia di COVID-19. Nella parte russa di questo comitato, dirigo personalmente il “Consiglio di esperti”.

In trent’anni sarò stato in Cina una cinquantina di volte, facendo diversi lunghi viaggi, passando per tutta la parte cinese della Via della Seta e visitando i luoghi in cui vive e lavora il presidente Xi Jinping. Le mie sensazioni si possono riassumere in una parola: “Meraviglia!”. Per questo ho chiamato il mio primo libro di saggi Cina Meravigliosa. Le mie impressioni sui cambiamenti avvenuti in Cina si riflettono nel titolo di un mio altro volume, Il Grande Progetto del XXI secolo.

Il mio primo libro sull’attuale leader cinese si intitola Xi Jinping. Scalare il sogno cinese. L’ho scritto nel 2014 ed è uscito un anno dopo. Dalle analisi dei primi articoli e discorsi, mi è apparso subito chiaro che a Pechino era giunta una persona con una prospettiva profonda sul futuro e una volontà di ferro di raggiungere passo dopo passo gli obiettivi prefissati. Il secondo libro è stato pubblicato nel 2018 e si chiama Xi Jinping. Una nuova era. In esso descrivo e analizzo vari eventi, compreso il XIX Congresso del PCC. Già allora era chiaro che il “sogno cinese” si stava realizzando nei tempi previsti, che una “società di media prosperità” sarebbe stata costruita entro il 2021, che la povertà assoluta sarebbe scomparsa, e che il PIL cinese e il reddito pro capite sarebbero raddoppiati. Un altro libro sui progressi del programma a lungo termine, appunto il “sogno cinese”, dovrebbe essere pubblicato quest’anno. Lo intitolerò Radici e Frutti del Miracolo Cinese. In esso vorrei evidenziare le eccellenti qualità del popolo cinese nel resistere alla “guerra commerciale” condotta dagli Stati Uniti e nel tenere sotto controllo la pandemia di COVID-19. Un’altra idea chiave è il deciso sostegno dei cinesi alla strategia patriottica del “grande ringiovanimento della nazione” proclamata da Xi Jinping.

Non tutti i Presidenti cinesi avrebbero potuto far fronte al COVID-19. Xi Jinping aveva però esperienza nella lotta alla SARS nello Zhejiang, e aveva gestito l’intera Cina dal 2012. Ma soprattutto, egli appartiene a una rara categoria di “capi”. Si tratta di figure in grado di porsi obiettivi ambiziosi per un futuro lontano, di guidare le masse, superando gli inevitabili errori e le difficoltà. Il popolo cinese, mostrando sacrificio e disciplina, ha creduto nella correttezza della strategia della sua leadership, basata sui successi già raggiunti a quel tempo nell’attuazione del programma “Sogno Cinese”. Il popolo cinese e il suo attuale capo oggi sono uniti e ora si rafforzano a vicenda, rendendo inevitabile la rinascita della nazione cinese.

Negli ultimi dieci anni è divenuto chiaro che l’ordine mondiale basato sull’egemonia americana abbia perso la sua forza. Il capitalismo liberale ha cessato di diventare una “idea mondiale”, lo Zeitgeist, ma ora deve competere con altre idee mondiali, compreso principalmente il socialismo di stampo cinese. Il centro dell’economia globale si è spostato da ovest a est, nella regione Asia-Pacifico. La Cina è diventata il principale rivale degli Stati Uniti, aumentando rapidamente il suo potere militare, economico e finanziario.

Washington sotto Obama si è resa conto dell’incompatibilità dell’egemonia americana con l’ascesa della Cina. Trump ha cercato di combattere la Cina “autosufficiente” e si è schiantato. Biden cerca di unire il mondo contro Pechino sotto le stelle e le strisce. Non funzionerà. La Cina ha un potente alleato, la Russia, così come le decine di nazioni che non sono disposti a sostenere apertamente Pechino, ma non sono nemmeno inclini a schierarsi con Washington. In queste condizioni, la Cina ha preso l’unica posizione giusta: continua ad andare avanti verso la realizzazione del sogno cinese. “I cani abbaiano, la carovana passa”.

Le nostre relazioni si sono sviluppate lungo una traiettoria ascendente. Esse sono state accelerate dai buoni rapporti tra i due leader, dalla reciproca stima sorta durante il primo incontro del 2013. Tali sentimenti sono molto importanti in culture politiche come quella russa e cinese, dove l’opinione del capo gioca un ruolo decisivo. Penso che la “chimica Putin-Xi” funzionerà per più di un anno. La coincidenza e persino la sinergia delle nostre relazioni bilaterali si basa sulla coincidenza dei nostri interessi di sicurezza nazionale e sulla complementarità delle nostre economie.

Non c’è da stupirsi che la Russia e la Cina nei quattro secoli di storia delle loro relazioni non si siano mai dichiarate guerra l’una l’altra. Un potente incentivo per velocizzare il riavvicinamento negli ultimi anni è stata la [nuova] Guerra Fredda, che gli Stati Uniti stanno conducendo contemporaneamente contro entrambe le nazioni. Il “partenariato strategico” di Russia e Cina in alcuni ambiti è già un’alleanza a tutti gli effetti: i bombardieri strategici e le navi da guerra di Russia e Cina in un’unica formazione hanno dimostrato ripetutamente le loro capacità in aria e in mare vicino alle basi militari statunitensi in Giappone e Corea del Sud. La Russia ha bisogno di una Cina forte e la Cina ha bisogno di una Russia forte.

PS: Nel mio ultimo libro, La storia è un incubo dal quale sto cercando di svegliarmi, si parla del principe Esper Esperovič Ukhtomskij (1861–1921), convertito al buddhismo tibetano in adolescenza, convinto che «nelle comunità di Russia e Asia è racchiusa la futura soluzione della questione orientale» e che «nell’eterno conflitto tra Europa e Asia, la Russia dovrà schierarsi con l’Asia». Peraltro sarà proprio Ukhtomskij, grazie alla sua amicizia con Nicola II, a favorire la costruzione a San Pietroburgo del primo tempio buddista d’Europa, nel 1909.

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