Odio dover discutere obiettivamente del dibattito fra Kamala Harris e Donald Trump nel momento in cui vorrei solo memare e trollare. Purtroppo però la stampa italiana lo ha raccontato come al solito nella maniera più cialtronesca possibile (qui sotto uno screenshot dall’Ansa) e allora mi tocca, come le altre volte, fare sul serio (avete letto poi di Taylor Swift? Dunque vincerà la Harris).
Partiamo da un dato: Kamala Harris, dal punto di vista dei contenuti, è impresentabile. Per farvi capire, è come se una piddina moderata una volta ottenuto uno spicchio di potere avesse assunto posizioni da centrosocialara. Il lato più irritante di tale fenomeno è che, mentre la “destra” per aspirare a governare è obbligata a normalizzarsi, la “sinistra” invece può permettersi di radicalizzarsi in qualsiasi maniera ricevendo plausi e sostegno dal mainstream. Tuttavia, la signora ha buone possibilità di vincere se si considera che l’elettorato americano è piuttosto impulsivo e valuta perlopiù la “bella presenza” e i fuochi d’artificio (=Taylors Swifs).
Inoltre la Harris ha obiettivamente goduto, come ogni candidato democratico da decenni a questa parte, di una conduzione del dibattito sfacciatamente a proprio favore (i presentatori, oltre a improvvisare qualche fact checking sul momento -ricevendo sacrosante strigliate dall’ex Presidente- hanno stravolto la scaletta per farle rispondere alle “accuse” del candidato repubblicano), e probabilmente è stata “equipaggiata” anche con auricolari camuffati da orecchini (lo stesso modello che porta è acquistabile online), perché è noto che i suoi discorsi “a braccio” facciano rimpiangere Biden agli spinne doctorerse (sembra perennemente ubriaca, uno dei pochi aspetti che la rende basata)
Veniamo però alla sostanza del dibattito: il primo argomento, introdotto dalla Harris, sono state le tasse. Trump vuole tagliarle con l’accetta, offrendo ai democratici la possibilità di presentarsi quali paladini della classe media; il guaio però è che Kamala ha recitato il copione avvalendosi, come “opinione autorevole” sulla Trumponomics, degli studi di Goldman Sachs, cioè una delle “fonti” più sputtanate al mondo (persino in America!).
Il secondo punto è stato l’aborto, argomento che effettivamente potrebbe mettere in difficoltà Trump, le cui posizioni troppo “liberali” gli stanno facendo perdere voti dalla base religiosa (evangelici, ma anche cattolici). Nonostante ciò, la Harris è riuscita a offrire il destro all’avversario improntando la questione più sui “casi pietosi” (incesto ecc…) che sulla cantilena femminista, quindi non si capisce se abbia davvero convinto le gattare. Non di meno, invidio che negli Stati Uniti il dibattito sia caratterizzato da una timida dialettica (e che Trump sia addirittura in grado di infrangere qualche dogma).
Terzo tema: immigrazione. Argomento in verità introdotto a forza dal vecchio Donald, che ha aperto la polemica affermando che a Springfield (non quella dei Simpson) gli immigrati “si mangiano i cani e i gatti”: il riferimento è ad alcuni episodi occorsi nella cittadina dell’Ohio di cui si sarebbero resi protagonisti dei rifugiati provenienti dalla comunità haitiana, che negli ultimi quattro anni ha raggiunto le 20.000 unità in un paese che per popolazione, densità e superficie è paragonabile a Viareggio, Imola o Vigevano.
🚨TRUMP: “IN SPRINGFIELD THEY’RE EATING THE DOGS. THE PEOPLE ARE EATING THE CATS. THEY’RE EATING THE PETS OF THE PEOPLE THAT LIVE THERE. THIS IS WHAT IS HAPPENING IN OUR COUNTRY.”
😂😂😂 pic.twitter.com/hoEZ8yrGyh— Autism Capital 🧩 (@AutismCapital) September 11, 2024
Quarto punto: il famigerato fracking (l’estrazione di gas di scisto): Kamala è imprigionata nella gabbia del green ma deve comunque difendere milioni di posti di lavoro, oltre che la sostenibilità dei costi dell’energia. Argomento davvero noioso, perché è assurdo credere che una presidenza Trump possa “aggravare il cambiamento climatico” (o come lo chiamano ora), quando sia con uno che con l’altra verranno prese le stesse identiche misure con un maquillage lievemente diverso.
Dopo il prevedibile battibecco, uno dei conduttori ha accusato Trump di aver fomentato i disordini del 6 gennaio 2021, e Trump ha glissato buttandola ancora sull’immigrazione (sostenendo la tesi che gli immigrati provocherebbero più caos delle sue presunte falangi), per poi ripetere ciò che ha sempre sostenuto, cioè che la vera responsabile di quanto occorso è Nancy Pelosi, poiché durante quella giornata campale avrebbe impedito alla Guardia Nazionale di intervenire. Kamala ha poi rilanciato con Charlottesville, la marcetta dei “nazisti dell’Illinois” del 2017 con la quale il tycoon c’entra davvero poco.
Infine, si è giunti alla politica estera: Kamala ha detto di aver viaggiato molto (come Vicepresident) e di essersi accorta che l’intero globo ride di Trump, mentre quest’ultimo ha sostenuto di aver ricevuto i complimenti di Orbán. Vabbè. Più interessante, la questione israeliana. Per la Harris lo Stato ebraico ha sempre e comunque “diritto a difendersi”, anche se dovrebbe evitare di ammazzare troppi bimbi palestinesi (riporto letteralmente). Certo, rispetto al porno-sionismo dei repubblicani è un passo avanti, ma alla fine pure uno come Donald ha tutti gli interessi a fermare il conflitto. Praticamente è la stessa storia del fracking: Trump deve giurare di voler “morire per Tel Aviv” e poi tirare al guinzaglio Netanyahu (sperando che esista davvero questo guinzaglio, cioè che la lobby ebraica sia ancora contenibile), mentre Kamala deve fingere di non essere moglie di un esponente di spicco della stessa lobby.
Sull’Ucraina, Trump ha parlato solo delle politiche di Biden e la Harris gli ha risposto pedissequamente che “adesso stai correndo contro di me”. Giustissimo, ma qual è l’attuale posizione dem sulla questione? L’incertezza potrebbe danneggiare i democratici, i cui elettori apprezzano quanto sta accadendo (la guerra per procura), soprattutto perché possono raccontarsi la favola del Russiagate (in cui rientra l’ingiuria di Kamala riportata dall’Ansa, Putin would eat you for lunch), ma al contempo non sono disposti a intestarsi un conflitto mondiale.
Dopo altro blablaggio sulla politica internazionale, Trump è stato accusato dall’intervistatore di aver fatto illazioni sulla negritudine di Kamala. La polemica però è legittima, perché essere black negli USA significa appartenere a un’etnia, cioè essere discendente dagli schiavi, mentre la Harris non ha nemmeno origini africane dirette (è indiana-giamaicana) e simula accenti negri a seconda della località in cui deve tenere un comizio.
In questi frangenti, Kamala ha evocato la propaganda birther di Trump (quella faccenda che Obama non fosse nato in America) e Trump ha risposto che le sue ricette economiche aiuteranno indirettamente anche gli afroamericani. Tutto qua.
L’imbolsito Trump ha concluso sostenendo che l’America è una nazione in pieno declino della quale tutto il mondo si fa beffe. Esatto, ma questo mi pare sia un dato obiettivo, indipendentemente da chi regnerà. Per il resto, Kamala ha trionfato, come dice l’Ansa o il Corriere o Repubblica o Sky o La Stampa o qualsiasi servo degli americani che piagnucola perché non può scegliersi il padrone a cui obbedire.
Incredibile che un popolo vota un politico in base a quello che dice un politico oppure un vip.
Hai detto anche qualcosa Quentin Tarantino
https://www.foxnews.com/media/quentin-tarantino-tells-kamala-harris-continue-dodging-interviews-until-election-dont-f-s-up
Trump ha detto che se vince la Harris, Israele sparirà dalla faccia della terra.
È la tipica promessa elettorale che non verrà mantenuta
Con l’avvicinarsi delle elezioni, quindi, entrambi i candidati, stanno “ammorbidendo” le loro posizioni. Trump in senso “liberale” . Si vede che non teme di perdere voti dalla base religiosa (evangelici, ma anche cattolici). Forse conta su un “Effetto Montanelli”. Molti fra i religiosi, “turandosi il naso” lo preferiscono sempre come “male minonore” . Pertanto i suoi consiglieri lo spingono a cercare voti in altre direzioni. Specularmente la Harris la facendo lo stesso all’opposto improntando la questione più sui “casi pietosi” che sulle tesi femministe.